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don Alberto Brignoli  

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XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (19/07/2020)

Vangelo: Mt 13,24-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 24espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. 25Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 26Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. 27Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. 28Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. 29“No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. 30Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio”».

31Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. 32Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».

33Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».

34Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, 35perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:

Aprirò la mia bocca con parabole,

proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo.

36Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». 37Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. 38Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno 39e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. 40Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. 41Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità 42e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. 43Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!

Forma breve (Mt 13,24-30):

In quel tempo, Gesù 24espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. 25Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 26Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. 27Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. 28Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. 29“No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. 30Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio”».

Se abbiamo letto la parabola del seminatore della settimana scorsa in chiave moralistica (ovvero, che tipo di seme sono io nella mia vita), commetteremmo lo stesso tipo di errore, qualora facessimo la stessa cosa con la parabola della zizzania che la Liturgia della Parola ci presenta oggi. E soprattutto, rischieremmo di non comprendere appieno le altre due “microparabole” che la accompagnano, quella del granello di senape e quella del lievito. Leggerla in senso moralistico significherebbe chiederci se anche noi, nel nostro cuore, nella nostra vita, nelle nostre relazioni sociali, nella nostra comunità cristiana, sperimentiamo la presenza della zizzania che nasconde la bontà del grano, interrogandoci su cosa possiamo fare perché il grano possa comunque giungere a maturazione. Così facendo, dimenticheremmo lo scopo per cui Gesù annuncia le parabole del Regno di Dio, che è quello non di farci interrogare su come noi accogliamo il Regno nella nostra vita, ma di infonderci speranza: la speranza, cioè, che nonostante tutto il Regno di Dio e la sua potenza si realizzano nella nostra storia personale e nella storia dell'umanità. Nonostante tutto: nonostante la presenza del male (che ha una dimensione personale, ma anche sociale, strutturale), nonostante la superficialità della nostra fede, l'indifferenza alla Parola di Vita, la nostra brama di apparire e di possedere, e anche nonostante la scarsa visibilità e popolarità che il Vangelo sembra avere agli occhi dell'umanità.

Perché - lo vedremo bene oggi - l'insignificanza del Regno di Dio rispetto a tante cose della vita e a tanti altri “regni” terreni è davvero disarmante: ma la potenza che ha in sé è impressionante, e soprattutto, non si ferma di fronte a nulla. Anche perché Dio sa bene come risolvere gli insuccessi e le fatiche che sperimentiamo nella nostra vita: e lo fa in maniera diametralmente opposta a quella che adotteremmo noi che, come i suoi discepoli, preferiamo affrontare i problemi risolvendoli di colpo, con immediatezza e senza mezzi termini, convinti, così, che il bene possa trionfare in maniera più evidente e immediata se estirpiamo il male di mezzo a noi in modo drastico e immediato.

Dio, però, non ragiona così. Se il padrone del campo nel quale è stato seminato un seme buono avesse dato ascolto ai suoi braccianti che, accorgendosi della zizzania cresciuta nel campo insieme al grano, avrebbero voluto estirparla immediatamente, quel campo di grano non avrebbe dato frutto: il rischio di strappare, insieme all'erba cattiva, anche il buon grano, sarebbe stato troppo elevato, e il raccolto non avrebbe certo dato il frutto sperato. Zizzania e buon grano possono tranquillamente convivere: il raccolto sarà poi occasione di cernita per separare le piante buone da quelle cattive.

A volte, c'è più zizzania nel cuore dei servi che nel campo di Dio: perché le nostre errate valutazioni e soprattutto la nostra scorretta mentalità fanno più danno del male che noi vorremmo eliminare. Spesso, anche noi ragioniamo come i servi, convinti che una società, un gruppo di persone, una comunità - anche una comunità ecclesiale - funzionano meglio se si estirpa il male da dentro di esse, immediatamente, con mezzi drastici: e tendiamo, così, a creare comunità di pochi eletti, di “pochi ma buoni”, di persone accuratamente selezionate e mantenute ben distinte dalle altre per la loro presunta bontà. Ma il bene e il male convivono in maniera talmente aggregata tra di loro nella società e nel cuore di ognuno di noi da rendere difficile, se non impossibile, la loro separazione, a meno di gravi danni per tutti, anche per il bene che a fatica si riesce a costruire.

L'invito di Gesù ai servi del Vangelo - e a noi - è quello ad avere pazienza: la pazienza di aspettare, di continuare a essere - per quanto ci è possibile - grano buono, e lasciare che il bene cresca e trionfi. Crescerà anche il male? Certo, senza dubbio, ed è inevitabile: ma nel disegno di Dio, non è il male ad avere l'ultima parola. Alla fine, il bene è vincente, sempre. E “alla fine” non significa necessariamente alla fine dei tempi o alla fine della nostra esistenza: significa anche alla fine di una vicenda, di una situazione, di un percorso, di qualcosa che ha un tempo e uno spazio ben delimitati. Di certo, non sta a noi conoscere i tempi della mietitura. Fa parte dei misteri del Regno, la cui forza trionfa sempre e comunque. Anche quando si manifesta nel nascondimento, nella piccolezza, o addirittura sotto spoglie di apparente inutilità.

Qualsiasi coltivatore ebreo del tempo di Gesù, sentendolo parlare del seme di senape, sapeva di che cosa stesse parlando: del seme di una pianta inutile e infestante, un seme grande quanto un granello di polvere, proprio per questo facilmente trasportato dal vento ovunque ci fosse un po' di terra, soprattutto negli orti dei contadini, dove cresceva tanto da riuscire a dare ombra e riparo. Inutile cercare di fermarlo e di eliminarlo, perché era talmente piccolo e talmente infestante che si sarebbe solamente perso del tempo, prezioso e utile per il lavoro nei campi. E questo ci dà la dimensione della potenza del Regno di Dio, piccolo e impercettibile agli occhi degli uomini, ma talmente potente che nulla lo può fermare.

A volte, invece, l'insignificanza del Regno manifesta la sua potenza nella straordinaria ricchezza di cui è impregnato, anche se saremmo tentati di farne a meno, perché riteniamo di avere già la soluzione per i problemi della vita, di avere già gli ingredienti necessari per vivere bene, e quindi di non avere più bisogno di nulla. Ma se questo “nulla” ha le stesse caratteristiche del lievito, ingrediente in apparenza insignificante rispetto all'impasto, eppure indispensabile per poter mangiare un pane abbondante e gustoso, allora è proprio vero che il Regno di Dio non ha bisogno né di mettersi in mostra, né di essere considerato utile alla vita degli uomini, né tantomeno di estirpare il male, per avere la meglio: il Regno di Dio, e il bene che ne consegue, ha l'ultima parola sulla storia, sempre e comunque. Voler anticipare i tempi di Dio creando comunità di persone senza difetti e senza macchia, di qualità e accuratamente selezionate, non serve proprio a nulla, tantomeno alla logica del Regno.

 

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