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TESTO Dalla cavità di una rupe

don Angelo Casati  

VI domenica dopo Pentecoste (Anno A) (12/07/2020)

Vangelo: Lc 6,20-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 6,20-31

20Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:

«Beati voi, poveri,

perché vostro è il regno di Dio.

21Beati voi, che ora avete fame,

perché sarete saziati.

Beati voi, che ora piangete,

perché riderete.

22Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. 23Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.

24Ma guai a voi, ricchi,

perché avete già ricevuto la vostra consolazione.

25Guai a voi, che ora siete sazi,

perché avrete fame.

Guai a voi, che ora ridete,

perché sarete nel dolore e piangerete.

26Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.

27Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, 28benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male.

29A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. 30Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.

31E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro.

Vorrei iniziare il mio commento con voi dalla lettura dell'Esodo: il nostro brano è parte di un contesto di rara bellezza: Mosè da una parte, e Dio che gli parla nella tenda e poi sul monte. Tra montagna e falde del monte accadono parole e gesti che da un lato illuminano e dall'altro riempiono di domande, sino a sfiorare a volte la contraddizione. Ma non è forse poi vero che la contraddizione appartiene alla vita? E Mosè e Dio sono testimoni della contraddizione di un popolo.

Ma - lasciatemi dire - a volte la contraddizione sembra sfiorare pure il volto di Mosè e persino quello di Dio. Faccio una premessa per dirvi che nel mio cuore - anche con il passare degli anni - non sminuisce di un grumo il fascino per la figura di Mosè. Pensate, il grande traghettatore di un popolo, in una traversata stupefacente di deserti, quarant'anni. I condottieri al solito sono uomini tutti d'un pezzo, inscalfibili dai sentimenti, sono come rocce, non li vedresti mai in ginocchio. E ecco una prima eccezione: Mosè è uomo che si prostra davanti a Dio. Uomo dell'azione, ma gli è rimasto nel cuore il desiderio di vedere Dio, Dio e la sua gloria.

E a questo proposito affiora l'ombra di una contraddizione, perché, pochi versetti prima dei nostri, leggiamo: "Il Signore parlava con Mosè a faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico" ( v 11). A faccia a faccia, eppure è salvaguardata una distanza. Perché alla richiesta di Mosè di vedere la gloria di Dio, il Signore risponde: "Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo". Aggiunse il Signore: "Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano, finché non sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere". Voi mi capite, parlare faccia a faccia e vedere Dio solo di spalle. Tutto diventa intrigante.

E ancora di più, se con il pensiero vai al vangelo di Giovanni, dove è scritto "Dio nessuno l'ha mai visto, il Figlio unigenito, che è Dio e vive nel seno del Padre, è lui che ce ne fatto il racconto" (Gv 1,18). Ce lo ha raccontato con la sua vita. Ha aperto squarci, ma rimane - come avverte Paolo - qualcosa di non svelato. Nella prima lettera ai Corinzi Paolo scrive: "Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto" (1Cor 13,12).

Parole - voi mi capite - che dovremmo sempre ricordare per non ergerci a proclamatori presuntuosi di certezze, urlatori di verità assolute, negatori di ogni scintilla di verità nell'altro, maestri e mai discepoli, burocrati di Dio, tanto più burocrati quanto meno capaci di confessare la propria fragilità e lontananza. Stare come Mosè nella cavità della rupe, salire il monte con due tavole che non sono le prime, fatte a pezzi, mi richiama un atteggiamento dello spirito. Che spesso mi capita di evocare con una immagine a me cara, quella della soglia: "stare sulla soglia".

C'è una soglia dell'altro che non mi è lecito né oltrepassare né occupare: E ciò vale per Dio e il suo mistero e vale per le creature e per il mistero che le abita. Non è terra di invasioni né di occupazioni, è terra sacra, quasi una Terra promessa. Su cui non mi è dato di mettere il piede da padrone. Solo mi è dato, come a Mosè sul monte Nebo, scrutare con emozione da lontano. Sta a questa distanza. E venera come sacra e inviolabile questa distanza. Rifuggi dalla presunzione di coloro che si sentono autorizzati a sfondare le porte, le porte dell'anima. Dio non sta nella compagnia di coloro che sfondano le porte. Sta nella compagnia di coloro che bussano.

Bussano al silenzio e alla libertà. E ora permettete un breve raccordo con il brano delle beatitudini nel vangelo di Luca. Noi siamo soliti leggerle nella redazione di Matteo e sono diventate per noi il discorso del Monte. Diversa l'ambientazione di Luca. Ecco il contesto. Gesù viene da una notte sul monte e Luca scrive: "Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti immondi, venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti".

Siamo in un luogo pianeggiante. Lasciatemi dire: siamo nel territorio della nostra umanità più vera, colta nella sua fragilità, donne e uomini di pianura, non circoli di illuminati né gente segnata da appartenenze religiose. Vengono da Gerusalemme, dalla Giudea, ma anche dal litorale di Tiro e di Sidone. Gesù come Mosè scende dal monte e si immerge in questa umanità. Come Mosè mosso da compassione. Ma ecco una cosa sorprendente: è lo sguardo. Gesù guarda questa gente semplice, che riconosce la propria fragilità e - pensate! - mette in luce tutta la bellezza e la ricchezza che la abita.

"Beati voi". "Voi" e li guarda. "Voi" - sembra dire - "avete valore, a differenza di quelli che si sentono pieni e sazi". Porta alla luce il valore dei piccoli. Li mette all'attenzione di tutti per il bene spesso silenzioso che li abita. Un bene da riconoscere, da preservare: è fermento prezioso per questa terra, Una realtà quotidiana direbbe Charles Péguy: "che il Verbo vuol stringere nelle sue mani, come creta per nuove creazioni, più perfette delle prime". Capite che cosa è la compassione di Dio, di Mosè, di Gesù: non è "compatire", è disseppellire - dalla fragilità e dalle contraddizioni del vivere quotidiano - il bene che ci abita, creta da rimodellare. Ma ora ritorno agli occhi di Mosè, che - sembra una contraddizione - contempla da lontano una terra a lui negata.

Rossi di sabbia
i tuoi occhi, Mosè.
Non li spense,
li accese,
il deserto di vento.
Non indurì il tuo volto
la dura cervice
del tuo popolo.
Condottiero di tribù,
scopritore di piste,
ora fissi la striscia
lontana
oltre il Giordano,
terra promessa e negata
e la striscia vicina
carovana tenera
e stanca
di uomini
donne, vecchi e bambini.
E tu, condottiero di tribù,
che da dura roccia
chiamasti l'acqua del miracolo,
dietro il dorso della mano
ora nascondi
il pianto.

 

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