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don Mario Simula  

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XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (05/07/2020)

Vangelo: Mt 11,25-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 11,25-30

In quel tempo Gesù disse: 25«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

C'è tanta maternità e paternità nelle parole rivolte da Gesù al Padre per parlargli di noi.
Noi siamo povere creature. Non abbiamo meriti da far valere perché siamo piccoli, senza potere, senza ricchezze, senza medagliere sul petto. Eppure Gesù dedica una preghiera al Padre per raccontare di noi. Una preghiera del tutto particolare: “Padre mio, ti ringrazio perché a questi piccoli, a queste comunità sguarnite, semplici, dai gesti genuini hai rivelato i tuoi segreti.
Li hai invece tenuti nascosti ai sapienti e ai dotti. A te, Padre, piacciono uomini, donne, ragazze, ragazzi, anziani, che si avvicinano agli altri sempre con quella delicatezza di chi chiede il permesso. Con l'umiltà di chi crede di disturbare e allora chiede scusa.
Sono, Padre, i poveri del regno. Coloro ai quali hai fatto le promesse più grandi. Fra tutte la più grande: hai rivelato te stesso”.
Gesù sta pregando proprio per noi. Lo fa per un unico motivo: sa di essere la via che ci conduce al Padre; chi vede Gesù vede il Padre; chi conosce Gesù, conosce il Padre.
Si crea una scala di ascensione verso Dio. Nel primo gradino c'è ciascuno di noi con i suoi limiti e le sue povertà. Nel secondo gradino c'è Gesù, il ponte che ci conduce verso il Padre, il Figlio amatissimo che ci svela il volto del Padre. Nel terzo gradino c'è l'incontro con Dio. Quell'incontro che dovrebbe fare da fondamento e da sostegno per la fede delle nostre comunità.
Gesù sa che noi abbiamo difficoltà nella vita. In alcune circostanze le prove sembrano schiacciarci. Quando le barche sembrano affondare Gesù si rivela Madre e Padre. Chiede a tutti noi, stanchi e oppressi dalle vicende quotidiane, dalle relazioni a volte difficili, dai silenzi che appaiono insormontabili, di andare da lui per trovare ristoro. E' un'immagine meravigliosa di comunità che nella preghiera guarda la sua ferialità e viene incoraggiata a non scoraggiarsi, a non perdersi d'animo. Anche se siamo pochi e smarriti. Gesù ci chiede di andare da lui. Ci chiede di piegare le ginocchia davanti a lui.
Prima ancora di metterci a ricercare soluzioni ai problemi, Gesù dice: “Venite a me”. Ci domanda di trovare il ristoro, la pace del cuore, la serenità dei pensieri in Lui.
Se rimaniamo affaticati e oppressi, perdiamo la speranza. Quale gioia, quale fiducia, quale futuro potremmo testimoniare al mondo?
L'esperienza di andare da Gesù, pur consolante, deve fare i conti con la fatica. Non esiste una vicenda umana alla quale siamo allenati. Non si tratta di esperienze nelle quali le comunità si sono confrontate per crescere.
Il Maestro sempre attento alla nostra crescita nella fede e nell'amore, ci incoraggia a prendere il suo giogo sopra le nostre spalle. Non solo, ma Gesù si lega alla stessa catena con noi.
Non è un legame che ci fa schiavi, è un legame liberante. Dobbiamo prenderlo quel giogo, è il suo; è il giogo della vita quotidiana; è il giogo del confronto dentro noi stessi; è il giogo dei tentativi zoppicanti di cammino verso il Signore. Siamo chiamati a prendere il suo giogo. L'alternativa sarebbe caricarci di catene pesanti e opprimenti. Le catene del nostro attaccamento al peccato. Le catene che fanno prevalere i nostri bisogni su ciò che è buono e santo. Le catene che ci confinano in una prigione da soli, privandoci della beatitudine contenuta in ogni comunione fraterna.
E' sempre dolce soltanto il giogo di Gesù.
Da lui dobbiamo imparare. Quale maestro è più attendibile, amabile, affidabile di lui?
Da lui dobbiamo imparare. Soprattutto due virtù: la mitezza e l'umiltà del cuore.
La mitezza trasforma l'arco di guerra e lo fa diventare strumento di pace. La mitezza ci fa essere forti, coraggiosi, incorruttibili; allo stesso tempo ci chiede di dare testimonianza, non di cercare rivalse.
L'umiltà è la virtù della verità totale su noi stessi e sulle nostre comunità. Chi è umile e le comunità umili sanno piegarsi fino a terra e riconoscere la propria debolezza, perché trionfi la potenza di Dio.
Tutti noi sappiamo per esperienza quanto siano impegnative e difficili queste virtù come stile di vita che Gesù ci propone.
Eppure il Signore non torna indietro, non toglie nemmeno una virgola. Conferma con forza che alla mitezza e all'umiltà è legato il ristoro che cerchiamo per la nostra vita.
La tenerezza di Gesù arriva al culmine quando, con molta semplicità, ma con uno sguardo che ci sostiene e ci ama, dice alle nostre chiese e a ciascuno di noi: “Il mio giogo è dolce, è dolce, lo puoi prendere come un cibo delizioso, ti riempie di pace, ti riempie di dolcezza. Il mio peso è leggero”.
Il peso c'è, ma è leggero perché Gesù lo porta con noi. Il peso non esiste per farci stramazzare a terra.
E' il peso quotidiano della nostra esistenza che, a volte, vorremmo scrollarci di dosso, mentre Gesù ci dice che questo peso è leggero perché c'è lui. Ci sono gli altri. Anche gli altri con i quali dobbiamo condividere la fatica dei pesi. Questa è la Chiesa che dà testimonianza. Questa è la comunità di fratelli che si amano. Questa è la comunità che ama il suo Maestro.
Lo ascolta, impara da lui, e ogni giorno sente il bisogno di seguirlo. Ogni altra strada sarebbe una trappola.

Gesù, nessuno di noi e nessuna delle comunità alle quali apparteniamo, avrebbe mai immaginato un amore così grande, tenero e soave da parte tua.
Ci sconvolge, Gesù, il bisogno urgente che ti arde nel cuore, di rivelarci il volto di tuo Padre. Non sei geloso; sei solo impaziente di farci condividere questa felicità incontenibile e indicibile.
Tu, Gesù, ci fai entrare nei segreti del tuo amore, ci sveli le meraviglie che solo tu conoscevi. Volutamente allora dici: “Venite a me!”.
Una parola e un invito che dovrebbero spezzare di fiducia il nostro cuore. Tu, il mio creatore, il mio Dio, il mio Amore, tu nutrimento delle nostre comunità ci inviti: “Venite a me!”. Gesù, cosa trovi in ciascuno di noi per dirci: “Venite a me”? Molto più che un po' di zavorra? Eppure tu ci inviti: “Venite a me”.
Tu conosci la nostra stanchezza e la nostra oppressione e non vuoi che viviamo questi momenti nell'oscurità ma in compagnia con te. “Venite a me” ci ripeti, “la vostra stanchezza e la vostra oppressione non mi spaventano. Scatenano il mio amore a tal punto da far scaturire dal mio cuore acque purissime che ristorano.
Gesù, sei così buono da introdurci nel mistero della tua persona. Della tua persona intima. Ci narri il tuo profilo di persona mite e umile.
Gesù, forse capiamo perché fai così. Soltanto la tua umanità mite e umile non ci incute paura, non ci fa sentire fuori posto.
Se sbagliamo, non ci fa sperimentare il rifiuto, ma la più dolce accoglienza. Sono proprio la mitezza e l'umiltà a ristorare il nostro cuore. A ristorare la nostra vita.
Con questo amore è veramente dolce il tuo giogo da portare. E' veramente leggero il peso delle tue esigenze. Diventano altrettanti atti d'amore che ci doni a piene mani.
L'unico giogo che ci avvilisce è dentro di noi. Il peso che ci mortifica è dentro di noi. Il nostro peccato.
Tu, Gesù, ci vuoi soltanto liberare, ci vuoi soltanto amare, come un padre e come una madre.


Don Mario Simula

 

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