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TESTO Il Vangelo è dei piccoli

don Luca Garbinetto  

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XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (05/07/2020)

Vangelo: Mt 11,25-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 11,25-30

In quel tempo Gesù disse: 25«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Gli anawin, nell'Antico Testamento, erano i poveri d'Israele che vivevano in atteggiamento di totale fiducia e abbandono verso il Signore, desiderosi di essere fedeli agli insegnamenti e ai precetti della Legge. Consapevoli della propria debolezza, a volte scoprendo a proprie spese il peso della vita, sceglievano di abbassare la fronte per riconoscere l'assoluta Maestà di Dio. Erano gli umili, senza pretese né abilità particolari da rivendicare o esporre dal punto di vista della Legge, eppure totalmente consegnati al Signore della Legge. A volte inevitabilmente impuri, eppure fortemente radicati nella Parola.

Al loro stile fa riferimento Gesù, che esulta di gioia nel riconoscere la presenza del Padre dentro i cuori dei piccoli. Gode della loro presenza, il Maestro, scegliendoli come propri compagni di strada e discepoli. E ne manifesta l'identità più intima, proponendo se stesso come modello. La via della piccolezza, riconosciuta e consegnata, infatti, è la via della gioia. Solo il povero si può riconoscere figlio.

Ecco perché Gesù ha scelto la follia della kenosis, dell'abbassamento. Dio si è mostrato debole non per porre una parentesi nella sua esistenza onnipotente, ma per svelare il segreto dell'onnipotenza: la relazione, la fiducia, l'affidamento. Il legame intimo tra Padre e Figlio, possibile solamente perché l'uno ha bisogno dell'altro per essere se stesso, diviene paradigma, ma anche ambiente vitale per gli uomini religiosi - ‘religo' significa ‘legare' - che accolgono la bellezza di un vincolo liberatore.

Nel linguaggio biblico, il giogo fa riferimento alla Legge. Nei campi, si tratta di un attrezzo necessario affinché i buoi possano essere orientati da chi guida verso il giusto sentiero e compiere adeguatamente la loro missione, scavando solchi affinché venga innestata la vita. Una dinamica di necessità e dipendenza, ma anche di servizio e di fecondità. Gli Ebrei cercavano di sottostare al giogo della Legge per essere felici, cioè graditi a Dio.

Ma ‘i dotti e i sapienti' a un certo punto tendono sempre a presumere di saperne di più della guida, a voler gestire da soli lo strumento: fuor di metafora, a imporre e a imporsi norme e criteri insopportabili pur di guadagnarsi il merito di imbastire il giogo migliore. Rinunciando però a portarlo, troppo carico di orpelli intollerabili; e scaricandolo sulle spalle dei più piccoli, di chi non ha ragioni e forze per scrollarsi di dosso l'inutile.

Gesù allora non evita il giogo, non lo toglie. Lo trasforma. Consegna il suo. Il giogo è attrezzo sempre a doppio posto; proponendo di prendere il suo giogo su di noi, Gesù implicitamente promette e rassicura: dall'altra parte c'è Lui, a portare la sua parte. E dietro, a guidare il cammino, c'è il Padre, l'Agricoltore, Colui che conosce bene non solo il campo da lavorare e la linea da seguire, ma soprattutto i figli che lo aiutano nel lavoro.

Il ristoro proveniente dal Figlio, allora, non è l'oziosa paralisi di chi, riconoscendosi inadeguato, viene posto al lato del sentiero della vita. È invece l'avventura entusiasmante del percorso da intraprendere insieme, è l'invito a fare strada, alzandosi in piedi anche se la fatica è tanta, è l'entusiasmo di avviarsi insieme su per il sentiero, pur in salita, ma con una prospettiva di vita.

Così il peso diventa leggero. Perché ci sente degni di camminare e di portarlo. Si porta in due, si hanno le spalle coperte, si prospetta un orizzonte, uno scopo, un valore che ha il sapore di frutti da raccogliere. Mistero grande, rivelato a coloro che rinunciano a saperne più del contadino e, alla scuola del Figlio, raccolgono l'eredità di essere anch'essi figli. Una fragilità, infatti, una debolezza pesa più di un macigno se è portata da soli, se non vi è un legame a farci da contrappeso.

La benevolenza del Padre, la sua infinita prodigalità, ha voluto trasformare l'indigenza in opportunità di affidamento. E così, schierato tra i miti, identificato con gli anawin, Gesù coinvolge e raccoglie, quasi come una chioccia i suoi pulcini, l'interminabile schiera degli scartati, schiacciati dal giudizio dei legislatori - anziché rinnovati dalla freschezza della Legge. E avviene in questo modo il miracolo della Chiesa, comunità dei discepoli, carovana di piccoli che hanno teso la mano e, lasciandosi sollevare dalla dolce fermezza del Fratello, hanno intrapreso con Lui la paziente opera di aratura e seminagione nel campo del mondo.
Perché i poveri evangelizzeranno la terra.

 

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