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TESTO Accogliere fa sempre bene!

don Alberto Brignoli  

XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (28/06/2020)

Vangelo: Mt 10,37-42 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: 37Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; 38chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. 39Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.

40Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. 41Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. 42Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

Leggendo la Liturgia della Parola di oggi, mi è venuto da fare un pensiero che credo sia frullato nella mente di molte persone, in questo periodo estivo: ancor meglio, nelle settimane precedenti, quando si era in attesa di capire come o cosa avremmo potuto fare per ridare a questa estate così particolare quella parvenza di stagione del riposo, dell'incontro, della vita sociale all'aria aperta che la caratterizza e la distingue da tutte le altre stagioni. E credo che questo pensiero sia presente in modo ancor più forte e costante tra la popolazione di paesi e di zone - come è la nostra - che hanno fatto dell'accoglienza e dell'ospitalità la loro ragione di vita. Il pensiero è facile da intuire, e si può sintetizzare in una domanda molto semplice: che cosa facciamo, quest'estate? Che cosa possiamo e ce la sentiamo di fare perché tutte le persone che negli anni precedenti hanno usufruito della nostra ospitalità e della nostra accoglienza, possano, pur con tante difficoltà e restrizioni, sentire che qui (qui, come in altri posti di villeggiatura e di vacanza) sono al sicuro, come a casa loro?

La domanda “che cosa facciamo” è una domanda semplice: la risposta, purtroppo, non lo è. E sappiamo tutti quanti molto bene il motivo: la paura che ogni nostra scelta, piccola o grande che sia, pur ben calcolata e ponderata, possa essere causa di ricostituzione di quelle condizioni che ci porterebbero a ricadere nell'incubo del contagio e del ritorno alla fase del lockdown, comprensibilmente ci frena, non ci fa sentire liberi di preparare, organizzare, programmare al meglio e con totale libertà di mente e di cuore quanto avremmo intenzione di fare per vivere al meglio questo periodo estivo.

Un po' tutti ci siamo trovati in questa condizione: le amministrazioni locali che sono le prime responsabili della sicurezza dei propri cittadini permanenti o temporanei che essi siano; le strutture di accoglienza che non sanno mai fino a che punto ciò che hanno pensato risponde non solo agli obblighi di legge ma anche e soprattutto alle esigenze di chi viene qui per cercare serenità e riposo (soprattutto in un periodo come questo); gli esercizi commerciali che vorrebbero offrire servizi quantitativamente e qualitativamente validi e alla portata del maggior numero di persone senza che nessuno debba soffrire disagi o disservizi; chi gestisce in modo specifico i servizi alla persona, che deve cercare di capire quali siano le reali esigenze dei singoli e delle famiglie in una situazione come questa; anche la comunità credente, nel suo piccolo e nella limitatezza delle sue capacità, si è interrogata e continua a interrogarsi su come gestire al meglio le proprie strutture e le proprie attività, e non solo per quanto riguarda le celebrazioni liturgiche, ma anche per tutti quegli aspetti ricreativi e aggregativi che sono segno di una comunità che accoglie nel nome di Colui che tutti accoglie.

Accogliere: ecco la parola chiave della Liturgia della Parola di oggi che ha accompagnato i pensieri che frullavano nella mia testa. Il modo migliore per sapere se ciò che facciamo o pensiamo di fare va bene, è quello di pensare esclusivamente a questo: accogliere. Per sapere se ciò che sto mettendo in atto è cosa buona o no, devo solamente pensare ad accogliere. E per sapere se sto accogliendo o meno, devo solamente fare una cosa: accogliere. Quand'è che una comunità civile, un esercente, un albergatore, un commerciante, un organizzatore di eventi, una comunità cristiana sanno di fare qualcosa di giusto e di buono per chi, da loro, cercano accoglienza? Quando accolgono. E l'accoglienza ha mille sfaccettature e mille forme, e ovviamente ha delle normative e delle modalità che sempre (ma oggi ancora di più) vanno rispettate perché ognuno e tutti si sentano sereni, tutelati e al sicuro: ma la legge che più di tutte regola l'accoglienza, è l'accoglienza stessa.

Non è un gioco di parole: anzi, oggi è la Parola stessa, quella con la “P” maiuscola, che invece di “giocare” con le nostre vite (come spesso le parole di tanti ciarlatani fanno) ci insegna come vivere e far vivere bene gli altri e noi stessi.

La donna Sunamita che accoglie nella sua casa il profeta Eliseo ogni volta che questi passa da casa sua, non sta a pensare se questo possa comportare per lei qualche vantaggio economico o la perdita di alcuni dei molti beni che essa possedeva: lo accoglie e basta. E lo fa coinvolgendo il marito e quelli della sua casa; e lo fa con una dovizia di particolari e con una cura e una finezza tutte femminili che io credo dovremmo davvero recuperare e valorizzare come un aspetto fondamentale dell'accoglienza. Perché non basta accogliere, bisogna farlo bene, nel migliore dei modi, in maniera rispettosa, per tutto quanto sta nelle nostre possibilità. Chiudere le porte e le finestre, farsi prendere dalla paura dell'altro (soprattutto del diverso), guardare con diffidenza a tutto ciò che avremmo in mente di proporre, pensare e ripensare a come fare per accogliere e dare un servizio e poi decidere di non fare nulla per paura o ancor peggio per accidia, non solo rischia di renderci umanamente gretti, ma rischia anche - per noi che ci diciamo credenti - di allontanarci dal Vangelo.

E se vogliamo essere umani del tutto, fino in fondo, non dimentichiamoci che accogliere con umanità e apertura non è un investimento a fondo perduto: ha la sua ricompensa. Non sempre, grazie a Dio, si tratta di una ricompensa economica o monetizzabile: ma è una ricompensa che dura per la vita. “Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto”. E la Sunamita, sterile e avanti negli anni, ne sa qualcosa, giacché - per aver accolto Eliseo e Giezi suo servo - ha ottenuto di diventare madre.

“Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d'acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa”. Il bene che facciamo ha sempre la sua ricompensa. Il bene che facciamo agli altri ci torna indietro tutto. Anche il male, per fortuna, perché almeno ci pensiamo due volte prima di farlo. Ma quando dobbiamo fare il bene, accogliere, offrire un servizio, pensiamo prima di tutto a una cosa: a farlo. È uno degli insegnamenti più belli di Madre Teresa di Calcutta, che ci lasciamo come augurio di buon'estate: “Se fai il bene, ti attribuiranno secondi fini egoistici: non importa, fa' il bene. Il bene che fai verrà domani dimenticato: non importa, fa' il bene”.

 

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