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TESTO Molto più di due passeri

don Luca Garbinetto  

XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (21/06/2020)

Vangelo: Mt 10,26-33 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 10,26-33

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: 26Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. 27Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. 28E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. 29Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. 30Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. 31Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!

32Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; 33chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.

La paura è sentimento che ci assale, per svariati motivi. A volte ci sono cause reali che ci spaventano, altre volte il timore diventa terrore davanti a oggetti presunti o immaginati, di cui si riempie la nostra testa e si scuote il nostro cuore. Abbiamo paura anche dei fantasmi, che però non esistono. Che siano situazioni davvero pericolose, o inganni che ci distolgono dalla verità dei fatti, in ogni caso la paura è esperienza di vita, più o meno sperimentata da tutti noi. In fondo, ogni paura, piccola o grande che sia, porta dentro la traccia di ciò che più intimamente spaventa ogni essere umano: la morte.

In essa c'è la finitudine, e al solo pensarla si percepisce il paradosso dell'animo: fatto per desiderare l'infinito, proteso a una vita e a un amore che non termina, esso constata duramente l'ineluttabile confine di questa esistenza terrena. E la fine può venire da sé, improvvisa o prevista, ma può persino essere procurata da altri, in condizioni di innocenza e di non colpevolezza. È quindi un orizzonte drammatico, quello che si profila davanti al presente colmo di attese e di aspettative per il futuro, sia dei giovani che degli anziani pur carichi di anni.

Abbiamo paura. E se la paura ci vince, rimaniamo bloccati, e smettiamo di vivere prima del tempo. Il ‘nemico invisibile' - così è stato battezzato il coronavirus - ha semplicemente riportato a galla un'esperienza non più soltanto individuale, ma connotata di un terrore collettivo: la sensazione di non avere potere sulla propria integrità e di dover cedere le armi anche nella banale organizzazione dei ritmi quotidiani, spaventati dalla possibilità di una conclusione prematura del nostro pellegrinaggio terreno. Voglia o non voglia, la paura di morire, camuffata dall'ansia di una salute fisica ferrea e di una garanzia contro qualsiasi contagio, è appello a un al di là, o per lo meno a un significato, a una domanda incontenibile: ma se dobbiamo morire, perché viviamo?

Solo noi uomini, creature predilette da Dio, siamo in grado di porci questa domanda. Che però può diventare un tormento. Oppure, percorrendone con coraggio i sentieri aperti nell'interiorità del cuore, può scoperchiare risorse sorprendenti. Potremmo dire che lo stupore è primo antidoto alla paura. E così Gesù ci stupisce ancora.

Egli infatti propone come anticorpo al virus della paura - nelle sue connotazioni tipicamente umane, e per nulla condivise con il resto della creazione -... l'insignificanza di due passeri! Proprio così: due creature così piccole e vulnerabili da suscitare tenerezza anche nei cuori più duri, quando cinguettano pizzicando le briciole di pane sparse sul davanzale della nostra finestra. Al tempo di Gesù due passeri valevano un soldo, vuol dire metà del misero contributo della povera vedova al tesoro del tempio. Erano persino troppo poco per una offerta dei poveri che riscattasse i primogeniti d'Israele: creature di poco valore, dunque, i passeri. Come possono vincere la paura verso chi sa uccidere il corpo?

Ecco la meraviglia: “nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro” (v. 29b). Tutto è nelle mani di Dio, nulla sfugge al suo controllo. Verrebbe da pensare questo dall'espressione di Gesù. Ma non ci siamo ancora: come potrebbe un Dio controllore e calcolatore, che prevede anche il giorno e l'ora della morte di un passero, rassicurare il tormento dell'animo di chi questa morte vorrebbe proprio evitarla, in quanto punto finale della sua trepidazione di esistere? Un Dio che preveda, nel suo progetto, anche la fine delle sue creature, che siano uccelli o umani non importa, non può essere un padre, tanto meno un padre misericordioso.

Il fatto è che la traduzione non ci aiuta. Gesù, letteralmente, dice così: “nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il Padre vostro”. Non c'è nessun volere, o almeno non c'è una volontà di Dio intesa come deliberata decisione di far morire qualcuno o qualcosa. “Dio non è il Dio dei morti, ma dei viventi” (Lc 20,38); e la sua creazione è tutta per la vita (cfr. Sap 1,14). E allora Gesù dice in realtà che anche quando il piccolo del passero scivolasse dal nido mentre prova a imparare a volare, il Dio che lo ha creato starebbe lì con lui, ad accompagnarlo in questo doloroso passaggio al Cielo. Il volere di Dio è la sua fedele e instancabile presenza a fianco delle sue creature, in ogni istante e in ogni sorte, anche nell'attimo drammatico della morte, che nel mondo esiste per la malvagità del diavolo - “colui che ha il potere di far perire nella Geenna e l'anima e il corpo” (v. 28b) - e per l'irruzione del peccato, non per scelta di Dio.

Ecco perché Dio è Padre. Capace di un amore da capogiro. Quale mamma o quale papà, infatti, sa prendersi cura del proprio figlio al punto da conoscerne il numero dei capelli che ha in testa (cfr. v. 30)? La matematica di Dio non è quella di un calcolatore freddo e distaccato, ma la pazzia di chi perde tempo a trattenere nel grembo il capo delicato del suo piccolo, accarezzandone le tempie mentre piano piano sistema i riccioli scomposti e li conta come preziose tracce della bellezza della sua creatura. Una immagine di una tenerezza travolgente, quasi più materna che paterna.

Ecco la risposta alla nostra paura, ecco l'antidoto al timore di lasciare una vita a cui siamo aggrappati come passerotti con i fragili artigli stretti attorno a un rametto. Dio ci consegna la verità della nostra identità, che sprigiona la potenza di un valore immenso: noi siamo preziosi al cuore di Dio, in tutta la nostra persona, al punto da rubargli tempo anche per dedicarsi con struggente premura a carezzarci di intensa gratuità. La paura si vince dentro questo rapporto di reciprocità che non parte da misure economiche e da calcoli funzionali. Non siamo al mondo per fare risultati prestigiosi e prestazioni inequivocabili: anzi, il tempo ci sfugge, lo spazio spesso ci domina. Siamo al mondo per accogliere l'immensità della vita che, mentre ci oltrepassa, ci gonfia l'anima di passione e di dolcezza, tanto da diventare anche noi capaci di prenderci cura di un passerotto proprio nel momento in cui la fretta e la frenesia rischierebbero di farci attraversare le giornate distratti e amareggiati.

La paura è di chi non riesce ad abbassare il capo per farsi carezzare dal Padre. E il gesto è tanto più spontaneo e sincero quanto più ci alleniamo ad aprire gli occhi e a volgere lo sguardo stupito ad ogni dettaglio di piccolezza e di fragilità che fa della creazione un meraviglioso mosaico di tesserine uniche e irripetibili. Lì, come in noi, la volontà di Dio si compie: Egli semplicemente c'è, Padre e Madre fedele nella presenza profumata di eterno. E noi lo riconosciamo.

 

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