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TESTO Non abbiate paura, voi perseguitati per la giustizia del regno!

diac. Vito Calella

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XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (21/06/2020)

Vangelo: Mt 10,26-33 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 10,26-33

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: 26Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. 27Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. 28E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. 29Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. 30Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. 31Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!

32Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; 33chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.

Lo sfondo delle beatitudini.

Quando Gesù proclamò le beatitudini disse due cose essenziali: il «Regno di Dio qui ed ora è dei poveri in spirito» (Mt 5,3) e «di coloro che sono perseguitati a causa della giustizia» (Mt 5,10).

La «giustizia», secondo il vangelo di Matteo, è una parola che comprende due cose essenziali per noi, che vogliamo essere discepoli di Gesù.

La prima è la scelta dello stile di vita dell'umiltà e la seconda è l'orizzonte ideale su cui protendere il nostro vivere quotidiano proiettato nel futuro: l'unità nella carità.

L'umiltà, cioè l'essere poveri in spirito, è lo stile di vita del cristiano.
Consiste in tre esperienze forti.

La prima è il sentire la consolazione di essere figli amati del Padre nell'ora del pianto, a causa delle perdite dolorose di relazioni significative nella nostra vita: «Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati» (Mt 5,4).

La seconda è sperimentare la mitezza come esperienza di resa fiduciosa al Padre, nella nostra radicale povertà, facendoci sentire la libertà del cuore, non più aggrappato a idoli e sicurezze di questo mondo: «Beati i miti perché avranno in eredità la terra» (Mt 5,6).

La terza è il coraggio di perseverare quando ci ritroviamo, come Gesù, inchiodati nella croce dell'impotenza, costretti ad attraversare il buio dell'impossibilità di relazioni vitali di vicinanza, di affetto, di comunione intessuta dal reciproco rispetto, a causa dell'egoismo umano o di situazioni calamitose come una pandemia, una carestia, un cataclisma: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5,7).

L'unità nella carità è un orizzonte ideale di cui possiamo assaporare soltanto alcuni momenti intensi e fantastici, perché, fin che stiamo in questo mondo, saremo sempre perseguitati.

Abbracciati come figli amati del Padre, vogliamo diventare misericordiosi, ma tutti sappiamo quanto sia esigente il perdono e quanto dolorosa la non indifferenza verso la sofferenza dell'altro: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7).

Più il nostro cuore sceglie di essere libero di sicurezze e idoli, più vive l'assalto delle tentazioni e alla fine di ogni giornata la sua purezza di cuore diventa il coraggio dell'offerta al Padre del coraggio di condividere con chi ci sta accanto l'esperienza del nostro cuore frantumato e sanguinante. Segnati da questa lotta interiore, scopriamo che l'unità nella carità diventa più autentica quando ci accogliamo reciprocamente con questi cuori spezzati: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8).

Vogliamo essere artigiani di pace e sappiamo che bastano una parola o un gesto banale per demolire una lunga storia di amicizia: «Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,8).

Le beatitudini fanno da sfondo al vangelo di questa domenica.
La sapienza del timore di Dio

Il cammino dell'umiltà delle beatitudini si basa sulla consapevolezza del timore di Dio, che significa riconoscere la differenza: l'uomo è uomo, Dio è Dio; l'uomo è creatura, Dio è creatore; noi siamo figli, Lui è il Padre di tutti, unito al Figlio nello Spirito Santo. Senza la Trinità nella nostra vita è impossibile andare avanti. Non ce la facciamo da soli! Nella vita ci sono troppe perdite da sopportare, ci sono sfide grandi da affrontare. Una delle sfide più impegnative è la relazione tra noi esseri umani, perché entra in gioco l'imprevedibile libertà di ciascuno. Possiamo essere rispettati oppure schiacciati dalla tessitura di relazioni umane che necessariamente fa la nostra vita quotidiana. Incredibilmente, come ci testimonia lo sfogo del profeta Geremia, chi cerca di essere giusto si ritrova ad essere maggiormente perseguitato dagli altri, soprattutto da coloro che vivono proteggendo a spada tratta i propri interessi e difendono il proprio “Io”.
Abbandonati al Padre unito al Figlio nello Spirito Santo

Il cammino dell'umiltà ci porta all'esperienza dell'abbandono fiducioso al Padre. Ci ha già fatto il dono del Figlio suo, diventato uomo come noi, «il nuovo Adamo, l'uomo Gesù Cristo», l'uomo delle beatitudini del Regno, colui che le ha vissute fino in fondo, soprattutto quando è stato crocifisso per noi, deposto nell'oscurità del sepolcro e risuscitato. Come possiamo permetterci di rinnegare Gesù Cristo, se la conoscenza di Lui mediante il nostro incontro orante con la Parola di Dio, ci ha fatto scoprire di essere già graziati del dono dell'amore divino, cioè dello Spirito Santo «riversato in abbondanza su tutti (Rm 5, 15)»?

Centralizzati dunque nell'uomo Gesù Cristo, obbedienti al Padre come ha fatto lui, ci lasciamo guidare dallo Spirito Santo nostro consolatore nell'ora della persecuzione e della prova, nostra fortezza nell'ora della lotta contro il Maligno, nostro ispiratore nell'ora della missione.

Spirito Santo consolatore nell'ora della persecuzione e della prova.

Nell'ora della persecuzione e della prova lo Spirito Santo ci rende compartecipi della stessa esperienza di crocifissione e risurrezione di Gesù, nostro fratello. Lui che visse l'esperienza della comunione cuore a cuore con il Padre anche nella dolorosa esperienza dell'obbedienza imparata nelle cose che patì, inchiodato sulla croce. Per Cristo, con Cristo e in Cristo la nostra preghiera diventa fiducia incondizionata, ricolma di speranza, nonostante le dure prove della vita.

Abbiasmo pregato così con le parole del salmo: «Ma io rivolgo a te la mia preghiera, Signore, nel tempo della benevolenza. O Dio, nella tua grande bontà, rispondimi, nella fedeltà della tua salvezza. Rispondimi, Signore, perché buono è il tuo amore; volgiti a me nella tua grande tenerezza. Vedano i poveri e si rallegrino; voi che cercate Dio, fatevi coraggio, perché il Signore ascolta i miseri, non disprezza i suoi che sono prigionieri» (Sal 68).

Nella nostra radicale povertà, oppure ospitando in noi con il cuore sanguinante la sofferenza degli altri, le parole di Gesù, ora per noi Cristo risuscitato, diventano sorgente di pace: «Non abbiate paura... Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!» (Mt 10,26a-30-31)
Spirito Santo di fortezza nella lotta contro il Maligno.

L'ideale di perseverare uniti nella carità e di garantire giorno dopo giorno, soprattutto con i più poveri e sofferenti, la comunione colorata della gratuità d'amore divino viene costantemente ostacolato della tentazioni del Maligno e dalle decisioni umane che, voglia non voglia, spesso creano sistemi di “giustizia” che salvaguardano i più forti e i più sani a scapito degli ultimi più vulnerabili.

L'uccisione dell'anima, ad opera del Maligno è il non credere più che siamo figli amati del Padre, è il toglierci la speranza della comunione con il Padre unito al Figlio nello Spirito Santo. Il Maligno si serve degli uomini guidati dal loro egoismo.

Una volta uccisero brutalmente anche Gesù, sul patibolo della croce.

Sconfissero il corpo, ma non la sua comunione con il Padre. L'anima di Cristo sul patibolo della croce rimase vittoriosa per l'abbandono che Gesù, dopo aver gridato l'angoscia dell'abbandono del Padre disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,48).
Spirito Santo ispiratore nell'ora della missione.

Ci vuole rispetto silenzioso di fronte alle lacrime di chi è perseguitato a causa della sua fede in Cristo, o di fronte alle lacrime di chi condivide radicalmente la sua vita con la carne del Cristo risuscitato in quella di chi soffre.

Rispettiamo in silenzio i perseveranti nella prova, che non hanno risposte al loro farsi dono gratuito!

Sono esperienze così profonde da diventare un segreto tenuto nascosto nelle tenebre. Nessuno di noi può dire a parole ciò che Gesù stesso passò negli ultimi istanti dolorosissimi della sua passione, fino alla sua morte da crocifisso.

Nessuno di noi può esprimere a parole quanto sia duro il prezzo dell'amore vero messo a dura prova dall'egoismo umano o dalle leggi inamovibili determinate dal sistema della convivenza umana. Chi può dire il dolore dei familiari degli anziani vittime del covid 19 o degli «ultimi degli ultimi» isolati dal resto del mondo nelle strutture sanitarie a causa dei protocolli di sicurezza messi in atto? La missione della Chiesa, cioè l'annuncio del Cristo risuscitato fatto dalla cima dei tetti, prima dovette passare attraverso il silenzio, il segreto, la tenebra della morte di croce del Figlio. Dove sta la forza di uscire dalle porte chiuse del cuore per andare in cima ai tetti ad annunciare apertamente, coraggiosamente in pubblico il Cristo morto e risuscitato?

È la forza eterna della comunione mai infranta anche quando questa comunione è stata duramente messa alla prova e testata dolorosamente nell'esperienza tenebrosa della croce.

 

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