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TESTO Di cui è facile mangiare

padre Gian Franco Scarpitta  

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno A) (14/06/2020)

Vangelo: Gv 6,51-58 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Le Domeniche che abbiamo vissuto in precedenza tratteggiavano il Mistero in sé e la sua comprensione da parte nostra. Il Mistero di Gesù che, una volta risuscitato dopo le sue apparizioni ascendeva al Cielo, il mistero ineffabile dello Spirito Santo che ne riafferma l'attualità e la presenza anche ai nostri giorni, sia pure nella forma invisibile e (appunto) misteriosa e impercettibile e da ultimo il mistero ancora più profondo che Gesù stesso ci rivela di Dio che in se stesso pur essendo Uno è una Trinità. “Mistero” è qualcosa che appartiene a Dio, rientra nell'ambito della trascendenza piena e di cui per questo la mente umana non può parlare. O altrimenti può parlarne soltanto nella misura in cui Esso stesso ce ne offre i mezzi e la possibilità. E del resto, se Dio svelasse interamente se stesso non sarebbe più Dio, né Gloria o Trascendenza. Resta sempre in sé ineffabile e irraggiungibile, anche se ci rende partecipi di sé. Su qualsiasi mistero infatti è possibile speculare e dibattere, di esso non è impossibile razionalizzare, ma non prima di essercene meravigliati e di averlo accolto come parte integrante della nostra vita.

Dio infatti pur essendo se stesso si rende vita per noi e in Gesù Cristo il mistero di Dio incarnato è per noi via, verità e vita (Gv 14, 6). Come conseguenza, anche noi dobbiamo viverne e l'unica prospettiva con cui atteggiarci di fronte ad esso è la risorsa congeniale dell'accettazione, dell'accoglienza e della fede, con una semplice esclamazione con cui escludiamo ogni preclusione e ogni riserva accogliendo, accettando e vivendo dopo esserci immedesimati: Credo. Come si diceva, qualsiasi oggetto di fede ha poi la sua giustificazione razionale, non va omessa la speculazione e l scienza e la filosofia sono di ausilio a che la fede e la speranza abbiano le loro ragioni, tuttavia il credere e l'aderire sono il principale atto di reazione di fronte al Mistero che Dio ci rende manifesto.

Ecco che allora, tutte le volte che si celebra l'Eucarestia, il sacerdote conclude l'atto di consacrazione con le parole: “Mistero della fede”. Il sacramento del pane e del vino, accanto alla Trinità, all'incarnazione, passione, morte e risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, è uno dei Misteri più insondabili della presenza reale di Gesù nelle specie del pane e del vino. Che Gesù sia presente nel Sacramento va accolto con fede semplice, umile e disinvolta e ad Esso non possiamo che affidare la nostra vita, fiduciosi e convinti di una presenza certa, anche se ineffabile e in questo caso anche in forza dell'alimento di un cibo spirituale che risolleva e che da forza.

Nell'Eucarestia infatti Cristo Figlio di Dio, Verbo Incarnato, morto e risorto, si fa nostra vita e nostro alimento, rendendosi per noi “pane vivo disceso dal cielo”. Non era sufficiente che Gesù per noi morisse e risuscitasse e non bastava che nello Spirito fosse presente tutti i giorni in mezzo a noi fino alla fine del mondo (Mt28, 20) e neppure riteneva sufficiente averci rincuorati con i suoi insegnamenti e con la pedagogia dei discorsi e delle parabole. Voleva incidere ancora di più nella nostra vita, rendendosi “pane vivo disceso dal cielo”, per farsi mangiare e assimilare e non solo in senso metaforico.

E così, prima ancora di consegnarsi alla condanna, durante la famosa Cena consumata con i suoi, prende del pane, ringrazia il Padre per questo dono che da sempre ha unito tutti i commensali, spezza il pane e lo ripartisce a tutti i presenti. Ratzinger nota che lo spezzare e distribuire il pane da parte del padre di famiglia è indice di spontanea autodonazione: è attitudine del donare se stesso ai figli in parti uguali e con questo suo “spezzarsi” Gesù si ripartisce inesorabilmente in modo che tutti i suoi discepoli ricevano il dono esaltante di Lui medesimo. E' questa è appunto la finalità del Sacramento: il dono. Romano Penna afferma che Gesù nel rendere presente se stesso nel pane e nel vino vuole significare ancor più che la presenza ontologica il valore dinamico del suo donarsi ai suoi e a tutti noi perché in ogni tempo siamo raggiunti da Lui stesso.

Ma ciò che avvalora ulteriormente questo dono è il commento che ne segue: “Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio Corpo.” Nelle lingue orientali vuol dire “Questo sono io”. Quindi non “questo significa il mio Corpo, ma questo è... (greco estin)”. Per di più il “questo” adoperato è un termine neutro, che immediatamente si riferisce al Corpo. Gesù insomma non dice “questo pane è... “Il pane in quell'attimo scompare e diventa Corpo di Gesù, per un fenomeno denominato transustanziazione, per il quale l'oggetto pur mantenendo intatte forma e apparenza cambia la sua sostanze. Il pane diventa subito Corpo di Cristo che si offre per noi. Il calice del vino contiene invece il Sangue dell'alleanza, quello che Gesù verserà sulla croce di lì a poco e che sostituisce il sangue sacrificale delle vittime animali. E in tutto questo è abbastanza convincente la frase conclusiva “Fate questo in memoria di me”, che comanda di perpetuare il memoriale della passione e della morte di Gesù nella ripresentazione costante di questo sacrificio. Cosicché dalla Cena in poi ogni volta che ci si raduna nello “spezzare il pane” si verificano tre eventi: 1) Il pane (Ostia) presente sulla mensa diventa Corpo di Cristo reale e sostanziale 2) Si ripresenta sull'altare il medesimo sacrificio avvenuto una volta per sempre sul luogo detto Cranio, quello dell'immolazione di Gesù che nel suo sangue inaugura la nostra salvezza. 3) Il Corpo di Gesù diventa alimento di vita per tutti noi che siamo stati appena edificati dalla Parola; di esso mangiamo con fede, lo consumiamo ciascuno consapevolmente e con fiducia, certi che il Signore stesso, pane vivo, vuol diventare nostro alimento per la vita di tutti i giorni.

L'Eucarestia è infatti la vita in quanto la Vita prende corpo in noi eliminando l'errore, la disfatta, il peccato, le aberrazioni e per ciò stesso sconfiggendo la morte. Ma è vita perché noi da essa traiamo le motivazioni e lo sprone per il nostro quotidiano, siamo incoraggiati, motivati e sospinti ovunque ci troviamo dalla presenza in noi del Signore Risorto, che nello Spirito Santo infonde sempre più slancio, sprone e motivazione.

Forse è per questo che Gesù ha voluto essere presente nelle specie eucaristiche fin quando non farà ritorno alla fine dei tempi: è consapevole che vivere appieno è trarre alimento, non basta mangiare in senso metaforico, ma occorre nutrirsi materialmente per poter protrarre l'esistenza. E allora ha voluto rendersi presente concedendo, anzi volendo, che mangiassimo la sua carne e bevessimo il suo sangue, con la sola condizione di aver coscienza radicale di Chi riceviamo ogni qual colta ci avviciniamo all'Eucarestia.

Un Mistero assurdo per chi non vuole farsi raggiungere dalla gratuità del dono e dalla grazia, ma salvifico ed esaltante per chi invece si lascia avvincere dal fascino di un Dio capace di farsi nostro alimento del quale forse è difficile parlare, ma è molto più semplice mangiare.

 

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