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TESTO Piccole ascensioni

don Angelo Casati  

VII domenica T. Pasqua (Anno A) (24/05/2020)

Vangelo: Lc 24,13-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 24,13-35

13Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, 14e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. 15Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 17Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. 21Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba 23e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». 25Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! 26Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.

28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. 32Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 33Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». 35Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Sarà un dettaglio, ma forse no, nel racconto di Luca è come se tutto fosse connesso. Proprio in un giorno, quello dell'ascensione, che potrebbe essere letto come una sconnessione: è portato in alto, scompare agli occhi, viene meno la connessione. "E dunque" - potrebbe sussumere qualcuno - "sconnettetevi dalle cose della terra: e a interessarvi siano le cose del cielo dove Cristo è asceso. E a difesa potrebbe portare, stravolgendole, parole sacre, custodite nella lettera ai Colossesi: "Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra" (Col 3,1-2).

Vi confesso che leggere l'ascensione di Gesù come una sconnessione mi fa tristezza. Ma devo anche ammettere che, lungo i secoli, e a volte ancora oggi, questa lettura triste ha trovato consensi. Come se le cose di lassù chiedessero l'abbandono delle cose di quaggiù. Come se la ricerca delle cose di quaggiù avesse come conseguenza ineludibile la smemoratezza delle cose di lassù. Fa tristezza - ma dovrebbe suscitare anche indignazione - il fatto che, ancora in questi giorni, qualcuno, con letture invelenite e fuorvianti, vada dicendo che questo Papa non parla del cielo. Sono uomini della sconnessione. Per loro il cielo è un fantasma. E anche le cose di Dio, del cielo. sono un fantasma. Che cosa sta a cuore a Dio. che cosa è il suo cielo? Non stravolgere il cielo. Gesù dice: "Vado al Padre".

Non so se avete notato. Si canta la bellezza della relazione. Essere presenti gli uni agli altri nella pienezza di una familiarità, stretti e liberi, connessione totale, immensa, trasparente, gioiosa, leggera, senza pesantezze, senza incrinature, senza imprigionamenti, senza appannamenti. Gesù ha dato anche un'immagine: "casa", casa dalle molte "dimore". Dimorare è verbo che evoca il cuore, perché se non c'è dimorare nel cuore, la casa diventa albergo o confinamento. E Gesù sorprendentemente opera connessione e usa l'immagine della dimora per il cielo e la usa, stessa immagine, per la terra. "Casa dalle molte dimore" il cielo. E la terra? "Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui". Dimorare è verbo di intimità. Chi ama lo conosce.

E' salito al cielo con il suo corpo. Videro le mani che benedicevano. Non se le scordarono più. Ne scrissero. Il corpo. Anche il corpo, evocato - voi lo sapete - da rigorismi di lungo corso per sconnettere anima e corpo, per sconnettere ciò che Gesù ha connesso. Mi fa gioia pensare che, prima che se ne andasse, non li portò che so io a un ritiro, a una ascesi di digiuno, ma li volle a un pranzo. Se ne andava, poteva dire che era venuto il tempo di togliere importanza ai corpi. Disse: "Avete qui qualche cosa da mangiare?". Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro".

Nei racconti della risurrezione trovo odore di pesce arrostito: nel nostro racconto in casa, ma anche sul litorale del lago. Anzi, là sulle sabbie fu lui, il Risorto, a preparare su brace pesce arrostito ai discepoli, sfiniti per pesca notturna. C'è oggi una parola imperdibile nella lettera agli Efesini, imperdibile per tutti coloro, che non sono malati di ideologie stanche. Parola per coloro che ancora si chiedono che cosa significhi "ascensione".

Riascoltiamo, non avremo mai finito di riascoltare: "Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose" Altra connessione: se ti sta a cuore ascendere, bada di fare come il tuo maestro. Che è disceso, fin nel più profondo della terra, dell'umanità: "discese agli inferi" recita il simbolo degli Apostoli. Discese nell'inferno dei drammi della terra per sollevare tutti da dove regna il soffocamento dell'umano. Seguo l'immagine, e leggo per me, per tutti noi, l'invito pressante ad ad essere testimoni "scendendo". Come è sceso il nostro Maestro. "Scendere", non "proclamare dai balconi", scendere nella concretezza della storia.

Scendere là dove le condizioni sono a dir poco disumane. Scendere è garanzia di ascensione. Voi capite l'insistenza di un papa: a lui sta a cuore che ascendiamo, per questo ci invita a scendere. Gli sta a cuore il cielo, per questo ci dice: "Vi stia a cuore ogni donna, ogni uomo, ogni fremito della creazione". Solo chi è disconnesso non capisce. Ci sono creature che sono tenute soffocate, sono agli inferi. Per quanto puoi, scendi come il tuo Signore e tenta di farle riemergere alla vita. Sarai testimone di vere ascensioni.

E' un pensiero che mi accompagna da alcune settimane. Dopo ciò che ho veduto un mattino di aprile. Nulla di importante, di trascendentale. Siamo nel regno del piccolo. Delle piccole cose. Voi ricordate i giorni in cui la città era immobile, strade deserte, silenzi palpabili. Come tutte le mattine, anche quella mattina, uscii di casa alle sette, non un'ombra umana per strada. E' mia abitudine da anni uscire a prendere il giornale a quell'ora, anche se so che finirò per sfogliarlo a strappi la sera. Persino imbronciati mi apparvero i semafori che accusavano l'insignificanza del loro lavoro.

Il più delle volte mi capita di attraversare la piccola piazza oltre i semafori, con gli occhi in alto, immersi nelle fronde, ogni giorno più rigogliose, dei quattro gelsi che non si lasciano intimidire per mancanza di un prato verde e, a tempo giusto, danno generosi more nere di città. Stavo per lamentarmi per l'assenza dell'erba, quando gli occhi mi corsero ai lastroni di pietra che fanno la pavimentazione della piccola piazza. E fu indugiare stupito all'incanto di ciuffetti di erba che osavano affacciarsi tra lastrone e lastrone dalle piccole fessure. Come trasognati, per assenza di piedi che li calpestassero, sembravano chiedersi che cosa stesse accadendo.

Quasi non sembrasse loro vero che potessero sporgersi a curiosare e stare senza pericolo all'aperto, sconfinare dall'assedio. Piccole ascensioni. Nel ritorno dall'edicola a dilatare le immagini un piccolo di merli, che saltellando mi accompagnava allegro, precedendomi sino al portone di casa. Di lì volò via nel silenzio. Ritornai con il pensiero ai piccoli ciuffi d'erba della piazzetta antistante l'edicola. Per un attimo pensai che il mio Signore ne avrebbe fatto una parabola. Avrebbe sposato il sogno di ascensioni delle erbe e il volare libero del piccolo dei merli. Forse in ogni donna e in ogni uomo, e anche in un filo d'erba, c'è un anelito di ascensioni. Quanti aneliti calpestati.

Come dicessimo: "Tu no. Rintànati sotto l'immobilità dura, fredda, delle pietre". Quasi uno non avesse diritto di vivere, di respirare. Negato il volo. Ti prego, tu che credi all'ascensione del tuo Signore, non stancarti di impegnarti perché anche il più fragile ciuffo di erbe osi affacciarsi alla vita. E trovi non pesantezze, ma respiro.

 

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