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TESTO Non solo pronto soccorso!

don Alberto Brignoli  

VI Domenica di Pasqua (Anno A) (17/05/2020)

Vangelo: Gv 14,15-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. 18Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. 21Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

Il Tempo di Pasqua, così particolare perché vissuto in maniera anomala, almeno da un punto di vista della pratica religiosa, volge al termine. La prossima domenica saluteremo Gesù che “torna al Padre”, non perché glielo consenta l'allentamento delle misure restrittive di questi giorni, bensì perché termina la sua presenza terrena, carnale, fisica in mezzo a noi e ascende al cielo. Se ne andrà con la promessa di non lasciarci soli, di darci qualcuno che ci sostenga e ci accompagni in quello che diverrà il Tempo della Missione, dell'impegno, della testimonianza. Insomma - per riprendere il linguaggio di questo periodo emergenziale - il Signore si preoccupa della nostra “ripartenza” dandoci un sostegno concreto, che ci permetta quantomeno di non sentirci soli. Non si tratta, questo no, di un sostegno economico o di linee guida di comportamento (che a partire da domani, per inciso, ci verranno date per tornare a celebrare comunitariamente la liturgia), bensì di qualcosa di più grande: si tratta di qualcuno, di una persona tutta per noi. Stiamo parlando, e l'abbiamo già capito, perché lo sappiamo bene, dello Spirito Santo, che tra quindici giorni contempleremo presente con forza nella storia nostra e dell'intera umanità, nel mistero della Pentecoste.

Quello che richiama oggi la nostra attenzione è la modalità con cui Gesù lo presenta ai suoi discepoli, nel contesto dei discorsi dell'ultima cena. Va tenuto conto, innanzitutto, che si tratta della prima volta in cui Gesù, nel Vangelo di Giovanni, parla dello Spirito Santo rivolgendosi ai suoi discepoli riuniti insieme: si tratta quindi di dichiarazioni importanti, una specie di insegnamento, di catechesi che permetta a loro e a noi di entrare in questo mistero della presenza definitiva di Dio nella storia a partire dalla Pentecoste. Quando un oratore o un relatore devono presentare a un'assemblea qualche novità, qualcosa di cui nessuno aveva ancora mai sentito parlare, la loro preoccupazione principale è quella di cogliere immediatamente nel segno. Essendo un discorso d'esordio così importante, Gesù non può rischiare di fallire: e allora deve presentare lo Spirito Santo attraverso la sua principale caratteristica. E lo fa definendo lo Spirito Santo “un altro Paraclito che rimanga con voi per sempre”. Che cosa significa, in concreto?

Se Gesù ci parla di “un altro”, ovviamente vuol dirlo in relazione a qualcosa o a qualcuno, sottolineando che l'arrivo di questa persona è in aggiunta o alternativo a qualcosa che già esiste. “Altro” rispetto a cosa, rispetto a chi? È quasi certo che Gesù lo dica in relazione a se stesso, sia perché più avanti dirà esplicitamente ai suoi discepoli “ancora un poco e il mondo non mi vedrà più, voi invece mi vedrete"; sia per via della caratteristica principale che viene data a questo Spirito, “un altro Paraclito che rimanga con voi per sempre”. È chiaro che, se i discepoli avevano intuito che quella Pasqua sarebbe stata l'ultima di Gesù in mezzo a loro, la preoccupazione più grande che essi hanno è che non vengano lasciati da soli. Erano ormai tre anni che avevano lasciato casa, affetti, lavoro e progetti per il futuro per seguire il Maestro, investendo molto in energie, sia materiali che spirituali: se ora tutto fosse finito con la partenza di Gesù da questo mondo, lo sconforto avrebbe pervaso la loro vita in maniera significativa, con il rischio che tutto ciò che il Maestro aveva costruito crollasse miseramente, con buona pace di tutti e con la soddisfazione - latente ma nemmeno troppo - degli avversari di Gesù.

Ecco allora che arriva questo “dono”, un'altra presenza che prenda il posto di Gesù perché essi possano continuare la sua opera. Questa presenza “altra” viene chiamata “Paraclito”: si tratta di un termine greco, ormai per noi diventato abbastanza consueto, quando ci riferiamo allo Spirito Santo, soprattutto nella preghiera, nella liturgia e nel canto, che è tanto utilizzato quanto incompreso. Certo, ci sono diverse traduzioni di questo termine: consolatore, avvocato, difensore, aiuto...e chi può ne ha, più ne metta. Ma è un termine di non facile comprensione, la cui traduzione più adeguata, forse, è quella letterale: “colui che accorre quando viene chiamato”, ossia il soccorritore.

E anche qui, l'attualità viene grandemente in nostro aiuto. Quante figure di soccorritori abbiamo visto e vediamo ancora girare nelle nostre case, nelle nostre strade, soprattutto negli ospedali, nelle case di cura, nelle RSA per anziani: gente chiamata a far fronte a un'emergenza sanitaria (e non solo) che il singolo cittadino, colpito da questa terribile pandemia, non riesce ad affrontare da solo o con il semplice ausilio dei suoi stretti familiari. E allora si chiamano i soccorsi che, va riconosciuto, nella stragrande maggioranza dei casi sono accorsi con tempestività, e non smetteremo mai di ringraziare tutti questi “angeli custodi”. Ma essi, per quanto celeri, determinati, competenti e risolutivi, a un certo punto devono interrompere la loro funzione di soccorso immediato e rapido, perché sicuramente devono rimanere in attesa di prendersi cura di qualcun altro: e i drammi dei giorni passati ci dicono bene quanto incalzante fosse il suono delle sirene delle ambulanze che ci toglieva il sonno e la serenità.

Questo soccorritore promesso dal Maestro, invece, ha una caratteristica, che tra l'altro impedirà a noi di rivivere l'angoscia del suono delle sirene o di essere abbandonati nelle mani di qualcun altro, spesso del nostro incerto desino. Le sirene, dopo il suo soccorso, non suoneranno più, né per noi né per altri; e non avremo più la paura di essere abbandonati, da soli, nelle mani di altri di cui magari non conosciamo ancora la competenza e la capacità di salvare la nostra vita. Lo Spirito Paraclito “rimane con noi per sempre”: un soccorso immediato e definitivo, risolutivo, non perché ci guarisca immediatamente dalla nostra solitudine, ma perché rimane con noi per sempre.

Non mi stancherò mai di ripeterlo, alla mia vita e a quella di tutti gli altri miei fratelli di fede: il Dio di Gesù Cristo non ha la bacchetta magica per risolvere di colpo tutti i problemi dell'umanità. Anzi, a voler vedere, il problema numero uno - la morte - non l'ha affatto risolto né eliminato. Ha fatto di più: l'ha preso con sé e continua a prenderlo con sé ogni volta che un figlio dell'umanità muore, morendo e risorgendo con lui. E questa è la nostra più grande vittoria!

 

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