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TESTO Commento su Matteo 18,21-35

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XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (11/09/2005)

Vangelo: Mt 18,21-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 21Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». 22E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

23Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. 27Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.

28Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. 29Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. 30Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.

31Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. 32Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. 34Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

* Questa domenica le letture, il salmo, il Vangelo si concentrano in modo particolare su un tema: il perdono.

* Il perdono, che cos'è? Ognuno di noi ha cognizioni diverse di questo concetto, dovute alla sua sensibilità, alla sua esperienza, al suo carattere... Per ora riflettiamo insieme sul perdono, enucleandolo da ogni discorso religioso. Perdonare è "assolvere" un altro da qualche cosa che ai nostri occhi rappresenta una colpa; l'altro ci ha fatto in qualche modo del male e noi siamo capaci di "scordarci" questo dolore per ricominciare un rapporto positivo con lui, senza serbare rancore per quello che è avvenuto, rinnovando una relazione come prima che l'evento che ci ha ferito avvenisse.

* Vorrei sottolineare alcuni aspetti di questa dinamica: perché vi sia perdono vi deve essere una relazione (anche indiretta) fra le persone coinvolte, un nesso... Anzi, a pensarci bene, è molto più facile perdonare chi ci è estraneo o indifferente, piuttosto che le persone su cui abbiamo riposto aspettative, affetto, amicizia che sono andate deluse... o coloro che ci hanno fatto del male colpendo i nostri affetti, i nostri valori, la nostra identità. Tanto più siamo coinvolti in prima persona, tanto più è complicato perdonare. Il perdono è un percorso che tocca più il cuore che il cervello. Se avviene, esso si effettua ai livelli più profondi della nostra anima, nel nostro nucleo più intimo.

* Soffermiamoci, dopo questa breve premessa, sul brano del Vangelo di oggi. La struttura è chiara. In seguito alla domanda di Pietro - "Signore, quante volte dovrò perdonare mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?" - la risposta di Gesù è: "fino a settanta volte sette". Questa risposta viene illustrata mediante la parabola del servo spietato. Le scene sono tre, collegate fra loro. La prima scena, che si svolge nel palazzo del re, vede protagonista un servitore che deve al re una somma esorbitante (diecimila talenti), da lui non posseduta. Il servo si getta ai piedi del re chiedendo pietà, promettendo che chiuderà il debito: accadimento in realtà impossibile, visto l'ammontare della somma. E qui c'è il colpo di scena, perché chi ascolta la storia si aspetta che o il re vada dritto per la sua strada, obbligando il servitore a saldare il suo debito, oppure convenga con lui una forma di pagamento dilazionato nel tempo: invece "lo lasciò andare e gli condonò il debito".

* La seconda scena è all'esterno, il servo ha ritrovato la libertà e incontra un altro servo che gli deve cento denari (una somma minima rispetto a quella che doveva lui al re). Incurante delle implorazioni di questi - dunque scordandosi il beneficio ben più grande appena ottenuto dal re - egli lo fa gettare in galera. Nell'ultima scena il re, a cui è stato riferito tutto, convoca il servo nel suo palazzo e gli toglie il beneficio accordato, esigendo il suo debito visto che egli non è stato capace di generosità di cuore nei confronti del suo compagno. "Così - dice Gesù - anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonate di cuore il fratello".

* Pensiamo, ora, ad ognuno di noi, partendo dalle stupende parole di S. Paolo della seconda lettura di oggi: "Fratelli, nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore".

Se noi siamo qui a leggere, meditare, pregare la Parola, è perché abbiamo ricevuto il dono della fede. Fede in Gesù, che ha cambiato con la sua incarnazione e la sua morte in croce i concetti di peccato e di perdono nella relazione uomo-Dio, e di conseguenza, per chi crede, la relazione coi fratelli.

* L'idea del peccato e del perdono da parte di Dio era già presente nell'Antico Testamento, prevedeva un pentimento da parte dell'uomo, accompagnato da sacrifici. Ma, nel Nuovo Testamento, emerge una prospettiva nuova: "È stato Dio, infatti, a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe" (2 Corinzi 5-19); e quale è stato il mezzo?

La nuova alleanza suggellata dal sangue di Gesù, agnello immolato.

Nella Lettera ai Romani, S. Paolo scrive: "Ma Dio ha dimostrato il suo amore verso di noi, perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggiore ragione ora, giustificati per il suo sangue, saremo salvati dall'ira per mezzo di lui" (Romani 5,8-9).

* Dio ci ha donato suo figlio, che ha accettato la morte in croce, per amore nostro. Siamo con la morte del Signore riconciliati con Dio. Quindi chi crede sa che è continuamente in debito con Dio, in debito perché esistiamo, in debito per il creato, in debito per tutti i doni che abbiamo ottenuto, per il suo progetto su di noi. E siamo in debito per i nostri peccati.

* Una delle caratteristiche del cattolico è il riconoscersi peccatore. Oltre a pentirsi dei propri peccati, egli sa chiedere perdono a Dio mediante il sacramento della riconciliazione, fiducioso che mediante questo otterrà la remissione dei suoi peccati. Se questa cognizione ci accompagna, allora non agiamo come il servitore della parabola. Perché, essendo debitori, il nostro atteggiamento di creditori muta grazie a questa cognizione. Noi, che siamo debitori del sangue effuso di Cristo, come possiamo chiedere ad un altro/altra "saldaci il nostro debito?"

Non recitiamo il Padre Nostro: "rimetti i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori"? Sono parole vuote o ci crediamo veramente? Lo domando a voi ma anche a me stessa... So perdonare? So capire le ragioni dell'altro/altra? So non mettere sempre al primo posto il mio "io", il mio orgoglio, il mio egoismo? E quando dico che ho perdonato, è vero? È stato fatto veramente col cuore, o soltanto con le parole? Perché, a volte, si può perdonare in maniera "apparente", cioè comportarsi come se non fosse successo nulla, o come se i problemi fossero superati, mentre nel fondo di noi stessi sappiamo che così non è...

Chiaramente ognuno ha in sé le risposte a queste domande, io le mie, voi le vostre, ognuno le può applicare alla sua esistenza, alle sue esperienze, alla sua vita...

* Ma il Signore, nel raccontare questa parabola, fa un passo in più: ci conferma che quello che sarà il nostro modo di agire coi fratelli - quelli che sono al nostro stesso livello, come lo schiavo creditore è al livello dello schiavo debitore - sarà quello di cui risponderemo davanti a Dio. Amando e perdonando i fratelli andremo incontro alla Sua misericordia; mentre, se non ne siamo capaci, come possiamo pensare che Lui ci perdoni? Come leggiamo nella prima lettura: "Ricordati della tua fine e smetti di odiare". Per chi crede, dopo la morte c'è il giudizio di Dio.

* La parabola ci ricorda che le azioni che compiamo ora, qui, nella nostra vicenda terrena, con chi ci circonda, hanno agli occhi del Signore un valore importante: dimenticando i torti subiti, ci invita a ragionare con un'ottica nuova: l'ottica dell'amore e del perdono verso gli altri. Quindi se abbiamo qualche "conto in sospeso" con qualcuno, sarebbe bello, dopo questa domenica, andarlo a cercare, perdonarlo, e con un cuore nuovo ricominciare un cammino insieme.

* Vorrei concludere considerando il salmo responsoriale, a cui abbiamo risposto "Il Signore è buono e grande nell'amore". Il salmo 103 è in realtà più lungo, e la Bibbia di Gerusalemme lo intitola "Dio è amore". Esso attiene proprio al tema del debito che abbiamo con Dio. Se lo leggiamo con calma, magari nella versione completa, ci rendiamo conto di quanto siamo debitori verso Dio, per tutti i suoi benefici, per cui le parole del salmisti di rendimento di grazia non possono che diventare nostre:
"Benedici il Signore anima mia
quanto in me benedica il suo santo nome
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tanti suoi benefici"

Entrando nel nostro cuore, questi benefici ci aiuteranno a vivere in un'ottica nuova: quella del perdono e dell'amore reciproco, che il Signore ci invita con la Parola proclamata oggi a vivere come esperienza reale e concreta nella nostra vita.

 

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