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TESTO Gesù la nostra via, la nostra vita e la verità per tutti

padre Antonio Rungi

V Domenica di Pasqua (Anno A) (10/05/2020)

Vangelo: Gv 14,1-12 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. 2Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? 3Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. 4E del luogo dove io vado, conoscete la via».

5Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». 6Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. 7Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».

8Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». 9Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? 10Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. 11Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.

12In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre.

La parola di Dio della quinta domenica del tempo pasquale ed in particolare il vangelo ci invita a riflettere su Gesù Maestro, che dialoga con i suoi discepoli sui grandi temi riguardanti la sua persona e la sua missione.
Il testo di Giovanni è, infatti, incentrato su alcune affermazioni di carattere Cristologico che è opportuno richiamare alla nostra attenzione, riflessione e meditazione.
Prima cosa che Gesù dice è un'espressione per rasserenare gli animi dei suoi discepoli, probabilmente agitati perché non sapevano chi effettivamente fosse quel giovane maestro che aveva già fatto un buon seguito, quali prospettive di vita e di attesa di futuro poteva dare, visto che avevano accettato di mettersi sulla sua scia: Quindi rivolti a loro dice: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me”.
Gesù chiede di superare paure e di credere in lui e nel Padre. Poi apre orizzonti di attesa diversi per gli apostoli e dice con chiarezza di intenti che “nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: Vado a prepararvi un posto?”
Gesù assicura così un posto non di lavoro, né di prospettive economiche e di benessere per i suoi discepoli, parla, invece, del posto nel suo regno futuro ed eterno. In qualche modo crea attesa e speranze nel cuore dei suoi discepoli al punto tale che dice: “Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi”.
Riferimento alla sua ascensione al cielo e alla sua seconda e definitiva venuta sulla terra.
La prospettiva escatologica è così evidenziata in questo suo parlare criptato, potremmo dire oggi, e che necessita di decodificazione da parte di coloro che sono in sintonia con Gesù.
Gesù quindi parla del luogo dove andrà e che i discepoli conoscono la via. Ma si tratta di un rebus, di un rompicapo per capire quello che effettivamente sta dicendo al gruppo.
Allora Tommaso, che come al solito è quello che vuole sapere, toccare ed accertarsi di tutto e di più si rivolge a Gesù e gli dice francamente: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?».
E' evidente lo stato di confusione in cui vivevano gli apostoli circa la figura di Cristo e la sua missione.
A questo punto Gesù diventa più esplicito e diretto nel parlare e fa capire a Tommaso e agli altri chi Egli è effettivamente: «Io sono la via, la verità e la vita”.
Via per andare dove? Verità per sapere cosa? Vita per assaporare che cosa?
Tre precise indicazioni date dal Maestro a chi non sa chi sia.
Ed allora indica la meta dell'itinerario, di cui lui è la strada maestra ed insostituibile: “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».

La prima questione teologica è così risolta ed assodata. Ma chiaramente non a tutti il discorso fatto da Gesù è chiaro.
A questo punto prende la parola Filippo, il quale chiede a Gesù: «Signore, mostraci il Padre e ci basta».
Filippo ha bisogno di dimostrazioni, di toccare anche lui con mano quello che ha detto Gesù, di vederlo per poi acconsentire, cioè per esprimere quell'atto di fede necessario per camminare insieme con Lui.
A questo punto del dibattito, di questa tavola rotonda di Gesù con gli apostoli, il Maestro precisa e fa un lungo discorso sulla sua identità e del suo rapporto con il Padre.
C'è qui la manifestazione completa del mistero trinitario e della rivelazione della divinità di Cristo: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?”
Come è possibile che dopo tanto tempo gli apostoli non hanno capito nulla di Gesù? E allora il Signore esplicita ulteriormente il concetto di base: “Chi ha visto me, ha visto il Padre”.
Chi vede Cristo vede la Trinità. Perciò Gesù resta meravigliato di quello che chiede di sapere il povero Filippo: “Come puoi tu dire: Mostraci il Padre?”.
A quel punto Gesù stesso prende atto che non hanno fede, non hanno fatto quel salto di qualità comprensivo della sua identità vera e pone questo interrogativo a Filippo: “Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?”
Ed aggiunge a conferma di questo stretto rapporto tra le persone della Santissima Trinità, che le parole che egli dice, non le dice da se stesso; ma in nome e per conto del Padre, che rimane in Lui, perché Dio agisce in mezzo all'umanità mediante Cristo.
Alla fine di questo difficile discorso Gesù si rivolge con particolare enfasi ai suoi cari apostoli: “Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch'egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».

La chiesa che si mette all'opera e che è in efficienza ci viene presentata nel testo della prima lettura di oggi, tratta dagli Atti degli Apostoli, in cui si narra della scelta di altri sette diaconi per il servizio della mensa e della carità, già allora necessario per venire incontro ai bisogni dei più poveri. Oggi non è diverso da allora. E oggi come allora si trovano sempre persone generose e disponibili per mettersi al servizio dei fratelli più in necessità, di cui la Chiesa e non tanto lo stato, se ne fa carico.
Questo testo degli Atti degli Apostoli ci insegna molto sul significato cristiano del volontariato. Aumentando il numero dei discepoli si rendeva necessaria l'assistenza quotidiana delle vedove. I Dodici che erano impegnati più nell'abito della evangelizzazione, convocarono una riunione per scegliere sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affidare l'incarico di assistere le vedove con i figli. I sette diaconi scelti si chiamavano Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. Gli apostoli imposero le mani su di loro e li consacrarono per questo servizio. Nasce così il diaconato nella Chiesa come servizio alla carità e non alla liturgia come poi si è trasformato nei secoli.
Evangelizzatori, oranti e volontari della carità insieme fanno una chiesa grande nelle aspettative e nelle attese. Pietro lo intuisce e lo scrive nel brano della sua prima lettera, nella quale ricorda ai cristiani il messaggio centrale della fede e dell'annuncio: Al Signore, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, noi ci accostiamo quali pietre vive, come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio. E come sacerdoti abbiamo il dovere di pregare, di rendere grazie e soprattutto di aver fede. I non credenti sono avviati alla perdizione, ma ai credenti è spianata la vita della salvezza, con chiaro riferimenti agli ebrei, in quanto sono stirpe eletta, appartengono al sacerdozio regale, ad una nazione santa, a quel popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che ci ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa”.
E' evidente che chi si pone sulla scia della fede e si abbandona totalmente in Dio, compie opere grandi, in quanto in Lui agisce Dio, che è amore e tenerezza e mai odio e disprezzo.

 

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