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TESTO Entrare e uscire dalla Porta

don Alberto Brignoli  

IV Domenica di Pasqua (Anno A) (03/05/2020)

Vangelo: Gv 10,1-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.

7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

La Quarta domenica del Tempo di Pasqua che oggi celebriamo è denominata “Domenica del Buon Pastore” perché ogni anno la Liturgia ci invita a leggere una parte del capitolo 10 del Vangelo di Giovanni, che è il capitolo nel quale Gesù pronuncia il famoso discorso (da alcuni studiosi ritenuto addirittura una parabola) in cui, utilizzando differenti immagini tratte dal mondo della pastorizie, paragona se stesso alla porta del recinto, all'ovile sicuro, al pastore buono, in contrapposizione con altri tipi di pastori che sembrano, piuttosto, dei “mercenari” (come li definisce lui stesso), ovvero salariati che il pastore assume perché lo aiutino nella custodia del gregge, ma che - proprio perché lavoratori occasionali e non proprietari del gregge - si limitano a fare lo stretto necessario corrispondente al loro salario, senza preoccuparsi più di tanto dell'incolumità del gregge di fronte, ad esempio, agli attacchi di un branco di lupi.

Oggi, in una società nella quale la figura del pastore che guida un gregge è divenuta tanto bucolica e pittoresca quanto rara, fatichiamo a comprendere quale sia il rapporto tra un pastore e ogni singolo capo di bestiame che gli appartiene: ma esiste certamente un legame affettivo fortissimo, che arriva spesso alla conoscenza per nome di ogni pecora, di ogni agnellino, ognuno con la propria storia, le proprie bellezze e le proprie fatiche. Questa immagine così pacifica ma insieme così sacrificata, così distaccata dal mondo ma così dedita al proprio gregge, sta alla base anche della Giornata Mondiale di preghiera per le Vocazioni, che da quasi sessant'anni si celebra ogni anno proprio in questa domenica: Paolo VI, quando istituì questa giornata nel 1964, chiese ai cristiani di tutto il mondo di pregare tutti insieme, in unico giorno, perché non mancassero mai giovani e ragazzi “che sappiano alimentare nel loro giovane cuore il desiderio di servire un giorno la Chiesa, e di donarsi alle anime per tutta la vita, per riprodurre in sé i lineamenti del Buon Pastore, e seguirne fedelmente le orme”. Pare che, almeno qui da noi in Italia, dopo 56 anni dobbiamo riconoscere di aver pregato poco o forse male, visto il drastico crollo delle vocazioni al sacerdozio proprio a partire dal decennio immediatamente successivo a quello...

Rimane comunque, quella del Buon Pastore, un'immagine suggestiva per noi che nella Chiesa svolgiamo questo ministero. Suggestiva ma insieme piena di gravi responsabilità. Perché essere buoni pastori che seguono fedelmente le orme di Cristo Buon Pastore e che riproducono fedelmente in sé i lineamenti, le caratteristiche dello stesso Gesù, è un compito tremendamente gravoso e che difficilmente siamo riusciti a realizzare con fedeltà nella storia del cristianesimo. E che essere buoni pastori dediti al proprio gregge sia tutt'altro che semplice o scontato, ce lo dice anche il brano di Vangelo di oggi, e in generale tutto il capitolo 10 di Giovanni, dove Gesù se la prende in maniera indiretta ma esplicita con i “pastori” di allora, ovvero le guide religiose del popolo d'Israele.

Per comprendere appieno questo testo, occorre fare un brevissimo passo indietro, al capitolo 9 di Giovanni, che crea continuità con questo brano: Gesù stava discutendo con le autorità religiose dei Giudei in seguito alla guarigione del cieco nato, avvenuta in giorno di sabato, e quindi in maniera illegale, cosa che faceva annoverare Gesù tra i peccatori alla stregua del cieco, la cui infermità era ritenuta un castigo di Dio per i suoi peccati e quelli dei suoi genitori. Gesù arriva a definire i capi del popolo “guide cieche”, perché incapaci di vedere, di riconoscere la presenza di Dio nella storia del suo popolo. L'immagine del Buon Pastore contrapposta in alcuni punti a quella dei mercenari e in altri punti a quella di ladri e briganti, o semplicemente a quella di un “estraneo”, denota chiaramente l'intenzione da parte di Gesù di mostrare cosa significhi essere guide, pastori dediti con tutta la propria vita al bene del gregge, del popolo che è stato loro affidato.

Le similitudini usate in questo capitolo 10 sono davvero molte, ma oggi mi voglio soffermare brevemente solo su una di esse, che mi pare centrale anche se a volte rischia di passare in secondo piano. Gesù oggi si definisce non tanto “il Buon Pastore” quanto “la porta delle pecore”: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo”. La porta ha, come sappiamo, la funzione di chiudere e aprire il passaggio da un luogo a un altro, in questo caso l'ovile. Gesù ci dice che troveremo in lui salvezza, pascolo e vita in abbondanza nella misura in cui passeremo attraverso di lui, “entrando e uscendo”. È proprio questo duplice movimento, quello di entrare e uscire dalla porta, che ci dona salvezza. Qual è la differenza tra Gesù Buon Pastore, tra Gesù Porta delle Pecore e i mercenari, i ladri, i briganti, ovvero coloro che agiscono nel loro interesse sfruttando le pecore, usandole, facendone scempio? È la libertà che Gesù lascia di “entrare e uscire”, perché questa libertà permette di andare alla ricerca e trovare pascolo e vita in abbondanza; mentre il mercenario, il ladro, il brigante punta solo ad approfittare delle pecore, negando loro la libertà di entrare e uscire, con il solo scopo di rapirle e tenerle per sé.

Io ho il timore che spesso la nostra attività pastorale, in primis quella di noi pastori ma anche quella di tanti credenti impegnati in comunità, privi il gregge, il popolo di Dio, di questa libertà, di questo movimento di “entrare e uscire”, puntando ogni cosa sul “o dentro o fuori”, in una sorta di ”aut-aut”, di “o così o niente” che impedisce alla gente di trovare pascolo e vita in abbondanza.

“Vorrei fare qualcosa in comunità, ma non sono molto dentro nelle cose di Chiesa...” - “O entri in questo gruppo, o non puoi fare niente di testa tua”;

“Vorrei credere, ma fatico su alcune cose...” - “O credi a tutto quello che la Chiesa ti insegna e ti butti dentro senza tentennamenti, o non va bene”;

“Vorrei poter comprendere qualcosa di più per la mia vita di fede, ma non so come fare...” - “O accetti di fare questo cammino in comunità come tutti gli altri o puoi andare da un'altra parte”.

Pensate che dialoghi di questo tipo siano rari, nelle nostre comunità? E credete che queste risposte significhino essere “porta delle pecore” come lo fu il Maestro? Personalmente, credo che questo significhi solo “rubare, uccidere e distruggere” la speranza di persone in ricerca.

E menomale che Gesù è venuto per dare vita, e vita in abbondanza...

 

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