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don Mario Simula  

IV Domenica di Pasqua (Anno A) (03/05/2020)

Vangelo: Gv 10,1-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.

7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

Gesù guarda la gente che lo segue. Ne prova compassione, fino a sentire il bisogno di attardarsi sulla storia di ciascuno.
Sicuramente, per Lui che non conosce l'anonimato, tutte quelle persone hanno un nome, una vicenda umana, una povertà da portare, un conto aperto con la vita.
E' una umanità vera, rugosa, affaticata e sfruttata.
Ha bisogno di Lui fino a sentire la necessità di toccarlo. Gesù è ai loro occhi la novità assoluta dell'amore. L'amore senza aggettivi, essenziale, diretto. L'amore di cui ciascuno di noi ha sete e che solo Lui, Gesù di Nazareth, può far sperimentare a quei volti segnati dalla fatica della vita.
In questi incontri instancabili e diuturni, Gesù intuisce che cosa fa soffrire quella gente.
Si ferma per guardarla intensamente. La osserva oltre le apparenze, poi, ad alta voce, esclama: “Ho compassione di tutta queste persone: sono come pecore senza pastore. Hanno le loro guide, ma sono mercenari e ladri. Sfruttano le pecore grasse e non curano quelle deboli. Per loro non esiste il gregge da servire. Esiste un capitale ignaro da usare per il proprio tornaconto. Ho davanti a me tanta umanità che si sente come gregge senza pastore”.
Il dolore di Gesù è questo. Un dolore che lo fa sanguinare. Un dolore che lo fa indignare.
Non può resistere oltre.
“Io sono il buon pastore!”.
Gesù il nostro pastore, la nostra certezza, il vincastro dei nostri percorsi accidentati.
Sento la sua presenza di pastore buono con gioia, se penso alle sue attenzioni.
Sento la sua presenza di pastore buono con rimorso, se penso alla mia attitudine di mercenario.
Al culmine della com-passione Gesù sente l'urgenza di esclamare: “Sono come pecore senza pastore!”.
Gesù sarà e sarà sempre il Pastore buono.
Me ne accorgo perché conosce ciascuno per nome. Ha scritto i nostri nomi sulle sue mani.
Quando ci cerca entra per la porta con delicatezza e trepidazione. Non vuole farci violenza. Non vuole violare il segreto della nostra casa. Entra con così dolce attenzione che la sua presenza ci illumina.
Può esistere un gregge, una comunità che non si lasci visitare dal Pastore immolato e Risorto?
Abbiamo bisogno di Lui.
I suoi pascoli sono fecondi e saporiti. Le sue fonti sono genuine e salutari.
Se ci smarriamo viene a cercarci. Se ci dividiamo si dona tutto per ricomporre l'amore. Se rimaniamo feriti e sanguinanti, Gesù, il Pastore buono, diventa samaritano delle nostre sofferenze.
Gesù, Pastore crocifisso e immolato, entra nella nostra vita come ospite atteso, che rispetta come un segreto la spontaneità del nostro cuore.
Gesù conosce le notti interminabili dei pastori che amano il gregge.
Sa che se cammina davanti a noi ci incoraggia e ci dà energia.
Non ha tregua nell'amore. Dura sempre. Brucia sempre. E' sempre all'erta, senza farcelo pesare.
Gesù, il Pastore buono, è la tenerezza che si rivela ad ogni passo. Anche quando è stanco e vuole passare all'altra riva. Si trova immancabilmente la gente ad aspettarlo.
Allora tra Gesù e le folle esiste una comunicazione intensa e intima. Non dichiarata. Vissuta.
Sembra che quella comunità dai molti volti, dai molti odori, dalle molte abitudini sia la sua vera famiglia.
Il buon Pastore non può fare a meno delle sue pecore.
Non ne deve perdere una.
A volte, guardando le nostre comunità, mi chiedo dove sia il pastore o chi sia il pastore.
Gesù prepara per la sua famiglia una mensa di amore. Ci vuole tutti attorno. Un cuore solo, un'anima sola.
Un solo pane. Un solo Padre. Una sola appartenenza.
Dov'è il pastore? Chi è il pastore delle nostre comunità?
Non ha fisionomia perché fa il mestiere di pastore.
Non ha sorrisi, perché non ama il gregge.
Non trova parole di vita, perché esistono sempre faccende più importanti.
Non spreca il tempo, perché è troppo faticoso il ritmo delle pecore.
Adesso capiamo cosa ci dice Gesù: “Sono come pecore senza pastore!”.
Adesso capiamo cosa vuole dirci Gesù: “Io sono il buon pastore. Impara da me. Segui me. Ascolta me. Ama me. Ti troverai immerso nella vita di ogni uomo e di ogni donna. Scoprirai soprattutto che molte pecore non sono ancora nell'ovile. Quelle devo ricondurre nel recinto aperto dell'amore. Tutte. Tutte quelle che io ti ho affidato!”.

Gesù, non ho mai capito cosa significhi pascolare. Oggi la memoria del cuore mi aiuta ad intuire che pascolare significa nutrire.
Oggi mi folgora questo pensiero e diventa una domanda: nella mia esperienza di prete ho nutrito o mi sono nutrito?
Gesù, una volta ho letto che il prete è un uomo mangiato. Che nutre. Che si offre come nutrimento.
La mia storia! Ad ogni pagina il rimpianto diventa dolore. Il ricordo diventa amarezza.
Se piango davanti a te, le lacrime diventano verità che mi libera.
Gesù, dimmelo francamente: sono stato mai un uomo mangiato? Ho nutrito con la mia vita tanta fame di amore che ho incontrato? Ho sfamato bisogni immediati, essenziali, urgenti o li ho rimandati perché pensavo che il piatto apparecchiato bastasse per uno solo: e quell'uno ero io?
Tu hai sempre saputo il mio problema. Per questo motivo non si contano le notti nelle quali ti ho obbligato a venirmi a cercare. Passando da un burrone all'altro, andavi dietro il mio lamento forte o tenue; ma sempre distinguibile. Lo avevi imparato a memoria. Sapevi di quale argilla ero impastato. Sapevi quali erano i miei rifugi pericolosi. Di notte, anche per te era difficile rintracciare le mie orme. Confondevo, per volermi far male, i segnali del mio nascondiglio.
Gesù, come sei riuscito a trovarmi?
Ricordo: hai pronunciato il mio nome ed io, anche se lontano, ho riconosciuto la tua voce. Ho vibrato nell'anima come la sposa che cerca lo sposo. Il nome che pronunciavi aveva l'armonia delle dichiarazioni di amore. Non era un rimprovero. Non raccontava durezza. Un po' di dolore sicuramente.
Gesù, io conosco il sapore dei tuoi pascoli. Conosco la limpidezza delle tue fonti. Ho memoria dei tuoi gesti. Ho seguito le tue indicazioni. Quando riuscirò a far gustare agli altri la mensa che per me tu prepari? Desidero diventare pane spezzato e vino versato. E' l'unico sentiero per ritrovarmi o per farmi ritrovare.
Gesù, concedimi di gustare la voce del Pastore Buono. Concedimi di sentire il sapore del Pastore Bello.
Gesù, metti nel mio cuore il bisogno irresistibile di rimanere nel tuo recinto. Con gli altri. Come pastore penitente, proverò gioia ad essere cibo per qualcuno. Anche per uno solo. Per quell'uno tu, ancora oggi, vai pellegrinando finché non lo ritrovi.
Fino a quando non sarà al sicuro nel tuo cuore.

Don Mario Simula

 

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