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TESTO Il vero culto e la vera devozione

don Alberto Brignoli  

S. Giuseppe Lavoratore (01/05/2020)

Vangelo: Mt 13,54-58 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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54Venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? 55Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? 56E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». 57Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». 58E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi.

Oggi in una sola celebrazione ricordiamo due momenti devozionalmente significativi per la nostra vita di fede: la memoria di San Giuseppe lavoratore e l'inizio del mese tradizionalmente dedicato alla Vergine Maria.

Le due celebrazioni hanno almeno un elemento in comune, oltre a quello abbastanza ovvio e quasi scontato del profondo legame tra i due divini sposi: un legame che va ben aldilà del semplice legame affettivo o relazionale, e che trova la propria ragion d'essere nel fatto che entrambi hanno accettato, per due strade diverse ma simili, di entrare in una reciproca comunione d'amore dopo aver risposto “sì” a una vocazione, a una chiamata di Dio che si è rivelata tutt'altro che semplice da un punto di vista puramente umano, ossia quella di essere genitori del Messia, del Figlio di Dio fatto uomo.

Esiste tuttavia, come dicevo, un altro elemento che accomuna le due commemorazioni, e che si rifà all'origine di ciascuna di esse.

Quella della memoria di San Giuseppe lavoratore (che viene in second'ordine rispetto alla Solennità celebrata il 19 marzo) è legata, com'è facilmente intuibile, alla Festa del Lavoro, che in tutto il mondo si celebra dal 1889, quando venne istituita a Parigi durante l'Assemblea Internazionale dei Lavoratori, che scelse di dedicare il primo giorno di maggio ai lavoratori di tutto il mondo ricordando ciò che era avvenuto il 1° maggio del 1886 a Chicago: la manifestazione di 80.000 lavoratori della seconda rivoluzione industriale americana in difesa delle otto ore lavorative (una conquista sindacale di pochi anni prima) fu repressa nei giorni immediatamente successivi con arresti ed esecuzioni di massa che provocarono almeno una ventina di morti, considerati da allora in poi “i martiri del lavoro”. Sappiamo poi come questa Festa del Lavoro sia stata usata, nei decenni successivi, come bandiera per lo sviluppo dell'idea socialista e marxista del lavoro in tutto il mondo; e dal momento che a partire dall'immediato dopo guerra essa divenne l'espressione di uno dei due blocchi mondiali contrapposti, allora caratterizzato da un forte ateismo di stato, la Chiesa Cattolica pensò di entrare dentro le dinamiche di questo processo storico e dentro le dinamiche del lavoro dando forza ai grandi movimenti operai di ispirazione cattolica (tra esse le Acli italiane e la JOC belga). Il grande papa Pio XII, il 1° maggio 1955, decise di mettere i lavoratori di tutto il mondo sotto la paterna protezione del santo Falegname di Nazareth, già venerato come Patrono della Chiesa Universale dal 1870, con l'intenzione non tanto di cristianizzare una festa di stampo comunista, quanto di assumere dall'interno le istanze e i problemi dei lavoratori affidandole da una parte al lavoro sapiente di associazioni e di singoli (imprenditori e operai) capaci di umanizzare una realtà troppo spesso improntata solo sul profitto e sulle leggi di mercato, e dall'altra alla potente intercessione dello sposo della Beata Vergine Maria.

La quale trova, nel mese di maggio, il mese dell'anno da sempre a lei dedicato, in particolare attraverso la recita del Rosario, anche se il mese del Rosario, di per sé, coincide con il mese di ottobre, in quanto il 7 di quel mese si celebra appunto la memoria della Beata Vergine Maria del Rosario. Da dove venga la devozione legata al mese di maggio non è semplice dirlo: chi l'ha “istituzionalizzata” è stato Paolo VI con l'Enciclica “Mense Maio” del 1965, ma i meno giovani tra noi sanno molto bene come sin dalla loro infanzia e certamente molto prima, le nostre famiglie vivessero con grande devozione la recita serale all'aperto della preghiera mariana per eccellenza, e il prolungarsi delle giornate diveniva anche l'occasione per tanti ragazzi (proprio perché tutti uscivano per il rosario) di andare in cerca di una futura compagna di vita, giacché la stagione dell'amore vedeva nel mese di maggio l'esplodere della vitalità e della fecondità primaverile. Fu proprio la fecondità della natura e della madre terra ad essere venerata dalla cultura greco-romana nel mese di maggio (pensiamo alla figura mitologica della dea Maia venerata dai Romani, la quale diede il nome al mese stesso): a partire certamente dal Medioevo quando nacque la preghiera del Rosario - ma con ogni probabilità molto prima - i cristiani acculturarono le loro pratiche religiose inserendosi in questo sostrato religioso-spirituale pagano a loro precedente e offrendone il patrocinio e la protezione alla Beata Vergine Maria, madre feconda non solo del Figlio di Dio e di Dio stesso, ma anche di tutto il sentimento di fede che, a lei affidato, rinasceva nel cuore dei credenti con la stessa intensità con cui la natura esplodeva nei mesi primaverili, e con la stessa passione con cui l'amore si manifestava nel cuore dei giovani amanti.

Dove sta, quindi, l'elemento comune all'inizio della devozione mariana del mese di maggio e all'origine della festa di San Giuseppe lavoratore? Sta proprio in questa capacità della comunità dei credenti, della Chiesa, nell'assumere le istanze umane, antropologiche, sociali e spirituali (ovvero tutto ciò che di più umano c'è nel cuore del singolo e della società), farle proprie, rielaborarle, renderle vitali e affidarle alla potente intercessione di Dio e dei suoi santi, in questo caso dei due Santi sposi di Nazareth. Non una Chiesa, quindi, che “cristianizza” l'umano pitturando le realtà umane di una vernice di religiosità, ma una Chiesa che umanizza la propria fede assumendo fino in fondo ciò che di più umano appartiene alla nostra natura.

Quanto sarebbe utile riprendere questo concetto di umanizzazione della fede, in un periodo come questo nel quale, invece, molti cristiani (e soprattutto, purtroppo, molti uomini di Chiesa) hanno come unica preoccupazione quella di cristianizzare una società da loro ritenuta “atea” (il che è tutto da dimostrare) facendo inutili e sterili lotte perché ci venga assicurata una “libertà di culto” - senza peraltro conoscere il significato di questa espressione -nella convinzione che questa si ottiene solo ritornando a celebrare messe e sacramenti con ampia partecipazione di popolo, nonostante la prudenza ci inviti ad attendere ancora un po' per evitare di ricreare problemi peggiori di quelli che già abbiamo vissuto sulla nostra pelle!

Preoccupiamoci, invece, di umanizzare la nostra religiosità entrando, ad esempio, nelle problematiche della vita delle famiglie, costrette ora a tornare alla normalità della vita lavorativa senza sapere a chi affidare i figli rimasti senza scuola; preoccupiamoci di entrare nelle situazioni umane di fatica di chi, pur tornando a lavorare, non riuscirà a portare a casa uno stipendio adeguato forse per diversi mesi; preoccupiamoci di affidare tutte le ansie, le preoccupazioni e anche le nostre legittime speranze di questi giorni all'intercessione potente di Giuseppe e di Maria. Anch'essi, nei loro anni di esilio in Egitto, non hanno potuto andare al tempio o alla sinagoga per il culto: ma non per questo hanno perso la fede, perché Gesù l'avevano comunque con sé.

Cosa che vale anche per noi, anche se non possiamo ancora celebrare il culto insieme.

 

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