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TESTO La rivelazione dell'enigma della "porta", prima del "pastore bello"

diac. Vito Calella

IV Domenica di Pasqua (Anno A) (03/05/2020)

Vangelo: Gv 10,1-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.

7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

La quarta domenica di Pasqua tradizionalmente è definita la “domenica di Gesù buon pastore”.

Ma all'inizio del capitolo dieci del vangelo di Giovanni, incentrato su Gesù «Pastore bello» (cfr. Gv 10,11.14), lui si autodefinisce «porta delle pecore» e non «pastore delle pecore». L'attenzione non è ancora rivolta al pastore, anche se è bellissimo questo personaggio, da lui stesso evocato, che «chiama le sue pecore, ciascuna per nome, le conduce fuori» dal “recinto” (Gv 10,3) e, finalmente fuori tutte le sue pecore, «cammina innanzi a loro, ed esse lo seguono, perché conoscono la sua voce» (Gv 10,4). L'insistenza sull'importanza della voce del pastore viene messa in risalto dal contrasto con la voce inascoltata degli estranei.

C'è dunque una porta. C'è un recinto, che è uno spazio chiuso, definito “atrio” invece che “ovile”. C'è lo spazio aperto dei pascoli erbosi, che riecheggia le bellissime parole del salmo 22, pregato come salmo responsoriale. C'è anche un guardiano addetto all'apertura della porta. C'è il ladro o il brigante, il quale non vuole saperne di entrare per la porta, ma scavalca il recinto da un'altra parte. Egli viene «per rubare, uccidere e distruggere» il gregge, che non gli appartiene (Gv10,10a).

È un enigma tutto da svelare, difficile da interpretare, come i primi interlocutori che «non capivano cosa significava ciò che diceva loro» (Gv 10,6).

Il contesto è di forte tensione tra Gesù e le autorità religiose, soprattutto i farisei, a causa della guarigione del cieco fatta durante la festa della Dedicazione, o festa delle luci, che celebrava la dedicazione del nuovo altare del tempio di Gerusalemme, dopo la profanazione avvenuta all'epoca con Antioco IV Epifane nel 165 a.C. (Cfr. 1Mac 4,58-59). Gesù, prima di ridonare la vista al cieco aveva detto di essere la luce del mondo (Gv 9,5). Quel cieco era diventato il simbolo del vero discepolo che vede in Gesù la luce venuta nel mondo per vincere le tenebre dell'egoismo provocante azioni non rispettose della dignità degli altri e tante forme di schiavitù paragonabili alla morte. Il capitolo 9 si conclude così: «Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: "Siamo ciechi anche noi?". Gesù rispose loro: "Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: "Noi vediamo", il vostro peccato rimane"» (Gv 9,40-41).

I ladri e briganti dell'enigma delle parole di Gesù sono proprio loro: i farisei e i giudei, cioè le autorità religiose del sistema cultuale del tempio di Gerusalemme, coinvolti in una relazione sempre più conflittuale contro Gesù, al punto tale da tentare di lapidarlo di nuovo (Cfr. Gv 10,31), come avevano fatto dopo l'assoluzione della donna adultera e la lunga discussione sulla sua vera identità (Cfr. Gv 8,59). Il peccato che rimane in loro, rendendoli ladri e briganti, è la loro cecità verso l'iniziativa misericordiosa e bella di Dio, che interviene nella storia della nostra umanità rompendo ogni “muro”, “barriera”, “recinto” di separazione tra giusti e peccatori, tra puri e impuri, tra sacerdoti e popolo, in nome della Legge da osservare scrupolosamente facendo leva solo sulla buona volontà umana. I farisei e le autorità della religione giudaica del tempio facevano tanta fatica a capire che Gesù voleva rivelare di essere in profonda relazione con il Padre, una relazione unità tale che «lui e il Padre sono una cosa sola» (Gv 10,30). Da questa unità sgorga come una sorgente di acqua viva, la gratuità dell'amore divino, donato a tutti indistintamente, senza attendere necessariamente la risposta umana a questo dono di gratuità. Si perché la volontà del Padre è che ciascun essere umano, in comunione con tutta l'umanità, rotti tutti i muri di separazione, si riconosca figlio amato del Padre grazie al Figlio Gesù che viene a donare la nuova Legge dell'amore gratuito: lo Spirito Santo. I farisei invece uccidevano la speranza del popolo insegnando la religione della retribuzione: Dio premia i buoni, i volenterosi obbedienti ai suoi comandamenti. Castiga i cattivi, mandando malattie e disgrazie ai peccatori e agli impuri. Le autorità sacerdotali de tempio di Gerusalemme trasferivano nel sistema sacrificale la logica dell'«Io ti do se tu mi dai». I sacrifici di animali al tempio erano tutti finalizzati a propiziarsi le benedizioni di Dio. Ma potevano accedere al tempio solo i purificati, gli “a posto” con la Legge. Non c'era niente di gratuità nel sistema cultuale del tempio di Gerusalemme. Gesù viene a scombussolare tutto questo sistema, al punto tale da essere accusato di essere un bestemmiatore, un sovversivo, meritevole di lapidazione.

La religione del merito, che fa immaginare Dio come un contabile dedito a sommaare le nostra azioni buone e cattive e tende a separare discriminando giusti e peccatori, ruba la dignità di figli amati del Padre, perennemente garantita nel cuore di ogni essere umano! Uccide la speranza di liberazione perché umanamente siamo troppo fragili e non ce la facciamo confidando solo con le nostre forze a obbedire ai comandamenti luminosi e saggi contenuti nelle Sacre Scrutture.

Gesù, ormai prossimo all'evento della sua morte e risurrezione si sbilancia annunciando il suo enigma che diventa chiaro per noi, cristiani oggi.

Che cos'è il recinto che racchiude le pecore? Sono le leggi e prescrizioni dei comandamenti della Sacra Scrittura da osservare, imposte dalle autorità religiose (farisei e sacerdoti del tempio). Essi, più che pastori del popolo, sono denunciati coraggiosamente da Gesù come ladri e briganti, perché, abusando del recinto della Legge, non rispettavano il popolo, avendo creato tutto un sistema impietoso di giudizio e discriminazione. Chi usciva dal “sistema” poteva essere lapidato!

Chi è la porta? È Gesù contemplato nel suo passaggio drammatico della morte di croce.

Quando Gesù pronunciò quelle parole, prima che avvenisse la sua morte di croce, ciò che diceva era un enigma difficile da capire. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10, 7-9)

La porta rappresenta l'evento della morte di Gesù sulla croce, che oggi possiamo contemplare grazie alla prima lettera di Pietro, nella quale, prima di invitarci a guardare al «pastore e custode delle nostre anime» (1Pt 2,25) ci fa sostare in silenzio facendo memoria della passione e morte di Gesù sulla croce, per la guarigione delle nostre piaghe: «Anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti» (1Pt 2, 21b-25a).

La porta della croce fa riecheggiare l'invito fatto da Gesù, registrato dai sinottici: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta» (Lc 13,24a). Senza la nostra compartecipazione alla morte di Gesù in croce, sia sentendoci peccatori e schiavi dei nostri vizi, ma liberati da quel suo farsi dono totale per noi; sia consegnandoci al crocifisso con la nostra vulnerabilità e con la nostra condivisione di vita in comunione ai servi sofferenti, è impossibile fare esperienza di Gesù Pastore bello.

Chi è il guardiano? Mi piace contemplare il Padre, vigile della porta, custode dell'evento storico di salvezza che ha trasformato la storia dell'umanità e della creazione. È guardiano di una porta aperta: segno che la morte di croce non è l'ultimo atto. C'è la risurrezione! Fino all'ultimo istante di vita, Gesù non ha mai rotto la sua relazione d'amore e di obbedienza con il Padre. Il Padre c'è per fare di questa porta, la morte di croce del Figlio, una porta aperta alla nuova alleanza di comunione di tutta l'umanità con Lui, grazie alla guida sicura del Risorto, Pastore bello, il quale ci dona «la vita in abbondanza» dello Spirito Santo (Gv 10,10). Gesù pastore delle pecore si autoproclamerà «Pastore bello» nel testo a seguire del Vangelo di oggi.

Già sappiamo che l'immagine del «Pastore bello» è contemplazione del Cristo vincitore della morte. La sua voce è l'annuncio pasquale della sua morte, sepoltura e risurrezione. Noi oggi la vogliamo riconoscere e fare profondamente nostra, come gregge di sua appartenenza. Questo annuncio-voce del Pastore bello, è il fondamento della nostra risposta gioiosa di fede per passare dalla condizione di pecore erranti, a quella di pecore discepole del Risorto, il quale cammina davanti a noi.

Il recinto, dopo la morte, sepoltura e risurrezione di Gesù, diventa immagine della Chiesa che continua a lasciarsi illuminare dai comandamenti della Sacra Scrittura, ma questo “recinto” della Legge è finalizzato a farci diventare un popolo libero da ogni tipo si separazione e discriminazione. Cristo risuscitato, Pastore delle pecore, ci fa diventare comunità cristiana protesa verso la realizzazione del Regno di Dio, senza rischiare di rimanere una comunità chiusa e autoreferenziale rispetto al resto di umanità che fa ancora fatica a credere, non viene in chiesa, aderisce ad altre tradizioni religiose.

Gli spazi aperti e verdeggianti dei campi, fuori del recinto, possono diventare immagine del Regno di Dio che oltrepassa i confini del nostro necessario e sicuro essere Chiesa. Con il nostro animo rinfrancato dalle acque tranquille dello Spirito Santo, che abbiamo già ricevuto in dono e abbiamo riconosciuto presente in noi dal giorno del nostro battesimo, possiamo anche camminare per le valli oscure delle vicende di questo mondo, ma non temiamo alcun male perché il Pastore bello è l' «Io ci sono». Celebriamolo questo suo esserci in noi, con la nostra comunione spirituale, rivolti alla bellezza del banchetto eucaristico preparato per noi, di fronte a tutti i nemici che attentano le nostre relazioni gratuite nella casa del Regno di Dio, sentendoci unti, inviati ad annunciare la gioia trabocchevole del calice dell'amore divino offertoci in dono per la nostra salvezza.

 

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