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TESTO Otto giorni dopo

don Alberto Brignoli  

II Domenica di Pasqua (Anno A) (19/04/2020)

Vangelo: Gv 20,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Ho sempre manifestato - e ancora oggi lo ribadisco- una grande simpatia per l'apostolo Tommaso, da tutti considerato come l'emblema dell'incredulità, del dubbio e dello scetticismo che, se pur veri, a mio avviso sono irrilevanti, rispetto a quella che personalmente (ed è un parere del tutto opinabile) ritengo invece una fede desiderosa di sapere, una fede che non si accontenta, una fede forse meno semplice e meno genuina di altre, ma decisamente più profonda di quello che possa apparire. Perché Tommaso non si accontenta di una testimonianza o di un annuncio, sebbene fatto da più persone insieme: lui vuole vedere, toccare, sentire. Lui ha bisogno di un'esperienza personale del Risorto nella propria vita. E come dargli torto? Chi di noi accetterebbe di credere tout court, incondizionatamente, all'annuncio della risurrezione e del ritorno alla vita di una persona morta, e per di più morta in una forma talmente cruenta e orribile che non dava alcuna possibilità a interpretazioni fittizie, come quelle di chi (nei secoli passati c'è stato pure questo) sosteneva che Gesù di Nazareth sulla croce avesse subito una morte solo apparente? No, nulla di apparente: sulla croce il Maestro ci era salito davvero, e la morte era stata cruenta, sebbene rapida, rispetto ai tempi soliti di agonia dei condannati a una morte di croce: i chiodi avevano veramente trapassato i suoi polsi e i suoi piedi, e il costato era stato veramente trafitto da un colpo di spada, così come chi era presente (ed erano in molti) ci ha raccontato.

Era proprio a quei chiodi nelle mani e nei piedi, e a quel costato trafitto, che Tommaso faceva riferimento nella sua ricerca di una verità che lo aiutasse non tanto ad aver più fede, ma a rafforzare quella che già aveva e che, in realtà, non aveva mai perduto. Perché perdere la fede, in situazioni come quella, era facile e addirittura rischiava di diventare una cosa scontata, inevitabile: per tre anni affidi totalmente la tua vita a una persona che non solo dice, ma dimostra con i fatti, con le opere, di avere una forza che gli viene dall'Alto e che fa veramente pensare a lui come al Figlio di Dio, al Messia, al Salvatore del mondo, e poi, in un batter d'occhio te lo portano via, te lo arrestano attraverso un banale tradimento, te lo giudicano sommariamente, lo condannano a una morte atroce, e tutte le tue speranze, i tuoi sogni, le tue credenze, i tuoi progetti, la vita che avevi costruito su di lui svaniscono come un sogno al mattino, come se nulla di reale - se non la sua assenza - fosse mai accaduto.

Nulla di poi così surreale o differente da quanto la stragrande maggioranza di noi - anche di chi sostiene di avere una fede incrollabile - ha vissuto e sta vivendo in questi giorni, nei quali una forza invisibile, silenziosa e incruenta, ma altrettanto letale - se non maggiormente - di una crocifissione, sta portando via in un batter d'occhio generazioni e generazioni di uomini e di donne che ritenevamo invincibili, resi forti dalla resistenza a una guerra catastrofica e dalla fame che ne conseguiva; persone che (giovani o vecchi che siano, non ha importanza) avevano imparato nonostante tutto a non smettere di sognare perché capaci di sconfiggere malattie terribili e molto più lunghe e tormentate che un virus; gente che di sogni nel cassetto ne aveva davvero ancora tanti, e rappresentava per molte altre persone non solo una speranza, ma una certezza, qualcuno su cui contare per la quotidianità di ogni giorno. Migliaia e migliaia di “cristi” senza croce, di crocifissi loro malgrado, di messia carichi di profetiche speranze che ora non ci sono più: e hai voglia tu, credente dalla parola facile, di consolare chi soffre, chi non ce la fa a stare senza di loro, di annunciare loro speranza dicendo che siamo nel tempo di Pasqua e quindi, più che in ogni altro periodo dell'anno, questi tuoi cari sono “morti e risorti con Cristo”.

No, non riesci a convincere proprio nessuno: se hai voglia e forza, credici tu, annuncia pure, a chi vuoi, che per te Cristo è la vita, e che con te Dio è stato misericordioso. Ma non rimanerci male se qualcuno non ci crede più; non prendertela, se qualcuno fa fatica a vedere vita perché rinchiuso in una stanza di morte; non dare del miscredente a chi si arrabbia con quel vecchio Dio dalla barba bianca che in questi giorni pare aver peggiorato la propria situazione di sordità, per cui non ci sente e non riesce più a esaudire le nostre preghiere. Non prendiamocela con i molti “Tommaso” di oggi, che prima di credere al Signore risorto hanno bisogno di vedere i segni concreti della sua presenza nelle nostre situazioni di dolore.

Lasciamo a loro - o forse saremmo più onesti se dicessimo “a tutti noi” - un po' di tempo per poter capire; prendiamoci anche noi, come se li è presi il Maestro con Tommaso, “otto giorni” per accettare che Dio nella nostra vita parla in forme che a noi non è dato comprendere, alla luce della ragione. “Otto giorni” nel Vangelo non sono un tempo qualsiasi, e soprattutto non sono soggetti al calcolo delle ore e dei minuti, e nemmeno ai calcoli di chi pensa già a quando ripartire, alla “fase 2”, alle riaperture, ai tempi e ai modi in cui rifaremo partire l'economia. Quelli sono calcoli dei veri miscredenti, di chi non ha ancora capito che in tutta questa storia, ormai, i calcoli non siamo più noi a farli; sono i calcoli di chi vorrebbe avere la pretesa di avere ancora in mano tutto, di avere ancora in pugno la situazione. Ma se non abbiamo neppure la capacità di calcolare quanti minuti di vita abbiamo a disposizione!

Prendiamoci allora questi “otto giorni”, che sono uno in più dei giorni di cui Dio ha avuto bisogno per creare il mondo, per dare una mano a lui e a noi a “ricreare” il nostro mondo; prendiamoci questi “otto giorni” (che sono i giorni che solitamente lasciamo passare tra una domenica e l'altra per ascoltare la Parola e spezzare il pane) prima di poter tornare a trovare nella sua Parola e nel suo Pane spezzato la forza per andare avanti; prendiamoci questi “otto giorni” per restare in silenzio, e aspettare nel silenzio che sia il Signore a prendere l'iniziativa, e che “otto giorni dopo” faccia la stessa cosa che ha fatto quella sera di Pasqua, quando né noi né Tommaso siamo riusciti a vederlo o a sentirlo presente nella nostra vita. Sarà sufficiente che torni in mezzo a noi, nonostante le porte del nostro cuore rimangano chiuse dalla sofferenza, e ci dica: “Pace a voi”.

Sarà lui, poi, a prenderci per mano e a farci entrare nelle piaghe del suo e del nostro dolore per mostrarci che lui è vivo, e che rimane, sempre e comunque, il nostro Signore e il nostro Dio.

 

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