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TESTO Le piaghe nel corpo risorto

don Luca Garbinetto  

II Domenica di Pasqua (Anno A) (19/04/2020)

Vangelo: Gv 20,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Il tempo che va dall'alba della Risurrezione all'ottavo giorno sono incorniciati, per l'evangelista Giovanni, testimone privilegiato di tanta meraviglia, dallo sguardo fisso al costato aperto di Gesù. Proprio come sul Calvario. È il paradosso della Pasqua: nella gioia debordante di ritrovare l'Amato, il segno visibile e la garanzia che non sia un inganno è la ferita del dono dell'Amante. Nulla viene perduto, nell'irrompere della grazia che viene dal Padre, di quanto il Figlio ha vissuto, fino alle estreme conseguenze dell'agonia e della morte. Viene da riconoscere con stupore che il corpo reale del Risorto porta impresse per sempre le piaghe della passione, ora finalmente accolte nel loro significato più profondo: non ignominia e sconfitta, ma offerta e vittoria della vita sulla morte!

Sono le piaghe del corpo del Risorto, o meglio nel corpo del Risorto, a permettere ai suoi di “gioire al vederlo” (cfr. v. 20). È così sappiamo che in Paradiso Gesù, il Figlio, dimora a fianco del Padre portando in sé le tracce di tutta la vita umana e mortale vissuta tra noi. Ciò che è sconvolgente a una logica razionale e calcolatrice, diviene mistero di rivelazione per chi si affida alla mentalità divina, visto che “i suoi pensieri non sono i nostri pensieri” (cfr. Is 55,8). Duro da accettare, ma anche intimamente consolante: significa che nulla delle nostre piccole o grandi passioni, dei nostri piccoli o grandi dolori, delle nostre intime e reali morti è estraneo al corpo e alla persona del Risorto, del Figlio di Dio. La sua vita terrena non è stata una parentesi concessa a noi, povere vittime di un destino infame; né un parata di vanto per mostrare l'assoluta distanza tra la nostra meschinità e la Sua potenza. È piuttosto il trionfo dell'amore che si impregna, anzi si tatua nella carne risorta la nostra sorte di creature, perché ci accorgiamo che siamo fatti - proprio così come siamo fatti - per una Vita altra, per una Vita piena, per una Vita nuova.

Tommaso, in fondo, ci è maestro. Non solo nella fatica a credere, che a volte possiamo guardare in lui con compiacenza, quasi a voler giustificare noi del nostro pigro egoismo. No, Tommaso è tutt'altro che pigro: è un ricercatore appassionato, uno che aveva desiderato andare a morire con Gesù (cfr. Gv 11,16), e che era rimasto spiazzato dalla maniera infame e indegna con cui avevano crocifisso il suo Maestro. Tommaso è un uomo dagli ideali grandi. Per cui la sua esigenza di ‘prove' sembra davvero attingere a un grido più profondo, molto vicino a quella vertigine che ci prende quando abbiamo la sensazione che Dio ci stia chiedendo, o donando, qualcosa di troppo grande per noi: “ma davvero quel crocifisso, proprio lui, è il Risorto? Davvero quindi può essere gradito a Dio un uomo ridotto a brandelli e trattato da malfattore? Davvero Dio si prende cura di quanto vi è di più scandaloso e disumano nella nostra umanità, cioè di una vittima di violenza ingiusta e assassina?”.

Tommaso, e noi con lui, assetati di pozzi di vita profonda, percorre i versetti del salmo pregato da Gesù sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato!”, e sembra tremare di desiderio e di paura davanti alle parole finali di lode e di fiducia per “l'opera del Signore” (Sal 22). Chiede, in fondo, di poter davvero credere in un Padre che non abbandona nulla dei propri figli.

È per questo che solo le piaghe nel corpo del Risorto possono dare una risposta a tanta sete di pienezza. E se le sue piaghe vengono così redente e trasformate in feritoie di luce, allora anche le nostre non sono mai - dico, mai - estranee a Lui. Così anche la tragedia di una pandemia si può rivelare come un canale di accesso alla nostra intrinseca vulnerabilità, per far risuonare le domande di senso più vere: ‘o Dio, ma noi ti interessiamo sempre, anche quando siamo scaraventati al tappeto dalla nostra connaturale fragilità, oppure ci sei soltanto se siamo in forma, sani e belli? O Dio, ma il tocco premuroso e tenero di una carezza e di un abbraccio, che ora tanto ci manca, significa solamente una vicinanza di affetto e di benevolenza, o è capace di scavare e conformare la nostra identità profonda di persone, che non possiamo esistere ed essere noi stessi da soli e senza un ‘tu' a cui consegnarci e da accogliere?'

Tommaso, alla fine, rinuncia a toccare le piaghe del Signore. Le ha viste, dirà qualcuno. Sì, ma soprattutto ha visto Colui che le porta impresse, e non gli serve altro. Anche noi possiamo vederlo, se iniziamo a riconoscere che le piaghe, le ferite, anche la morte sono inevitabili, in qualsiasi modo incrocino la nostra esistenza. Ma che ciò non implica che siano né l'unica né l'ultima parola. Piuttosto, proprio da esse torna insistentemente a sgorgare il soffio di vita del Signore, che risorge da ogni perdita e da ogni fallimento, con i suoi doni, lasciati agli apostoli riuniti nel cenacolo, ma rinnovati costantemente in noi, sua Chiesa custode di tanta grazia: la Pace, il Paraclito, il Perdono. Tre nomi di un unico misterioso miracolo, che rende quotidiana e concreta la Risurrezione oggi, poiché lì si trasfigura la tragedia pasquale e il corpo di Cristo che è la Chiesa si gonfia di germogli di vita nuova capaci di incidere nel presente della storia per un futuro diverso. Non fondato su buone strategie economico-finanziarie, ma sulla scelta fedele a noi stessi di essere costruttori di Pace dove si insinua la violenza, aperti all'azione dello Spirito Paraclito dove si azzera la tensione al trascendente, coraggiosi nel Perdonare offese e sgarri quando parrebbe logico - ma in realtà è solo distruttivo - rivendicare diritti e pretese.

TOMMASO
Tocchi il costato aperto,
tocchi il cuore di Dio.
Lascia che il suo dito creatore
tocchi la piaga tua.
Sarai tu corpo risorto,
nuova splendente creatura.
Non servirà più toccarlo:
toccando te, tocchi lui.

 

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