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mons. Roberto Brunelli

II Domenica di Pasqua (Anno A) (19/04/2020)

Vangelo: Gv 20,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Qualcuno sosteneva, tempo fa, che Gesù è stato il primo socialista. Motivazioni politiche a parte, si può concordare, leggendo quello che avevano imparato da lui i suoi seguaci delle origini: la prima lettura (Atti degli apostoli 2,42-47) traccia un quadro riassuntivo della loro vita, dicendo che seguivano l'insegnamento degli apostoli, pregavano, partecipavano alla Messa e "stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno". Un bell'esempio che, se non è possibile riproporre tale e quale ai cristiani diventati milioni, dà tuttora da riflettere.

Oggi è la domenica "della divina misericordia", come ha stabilito san Giovanni Paolo II. Il motivo di questa intitolazione è implicito nel vangelo (Giovanni 20,19-31): manifestandosi loro risorto, Gesù dà agli apostoli un comando: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". Viene spontaneo chiedersi: mando dove? A fare che cosa? La risposta porta a scoprire il senso della Chiesa: Gesù l'ha voluta, per annunciare a tutti gli uomini, di tutti i tempi, la sua morte e risurrezione; vale a dire, la salvezza da lui compiuta, perché gli uomini non rimangano prigionieri della morte spirituale. Di qui le parole seguenti: "Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati". Li manda dunque a proclamare la sua infinita misericordia. Mistero profondo, e tremenda responsabilità! Dio ha voluto aver bisogno di uomini per raggiungere gli altri uomini; di più, ratifica in anticipo le loro decisioni. E' pur vero che assicura loro lo Spirito Santo, cioè la costante assistenza divina: ma il pensiero che la misericordia di Dio si consegna in fragili e indegne mani umane, fa tremare le vene e i polsi di chi è chiamato ad amministrarla.


 Il brano dice anche qual è la condizione per fruire della misericordia divina. L'evangelista dichiara di aver scritto "perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome". E poco prima, narrando il celebre episodio dell'incredulità di Tommaso, invitato dal Risorto a toccare le ferite per cui era morto, del Risorto riferisce le consolanti e insieme inquietanti parole: "Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto".

'Perché crediate', 'Quelli che hanno creduto'... La fede, dunque, è la condizione per essere perdonati e "avere la vita".


Tra "quelli che non hanno visto" e tuttavia sono invitati a credere siamo anche noi. L'episodio di Tommaso ci riguarda, ci coinvolge, porta a interrogarci: credo, io, che Gesù non è soltanto un uomo vissuto duemila anni fa, ma è, oggi e sempre, il Cristo salvatore, il Figlio di Dio che interpella me, personalmente me, e mi dichiara beato se lo riconosco? Io non ho visto, non ho toccato: posso nondimeno fidarmi di quanto è stato scritto e viene continuamente annunciato? Posso dirmi davvero cristiano, malgrado i miei dubbi, le mie oscurità, le mie infedeltà?


 Tali domande, una persona ragionevole se le porta dentro per tutta la vita, perché la fede non è la matematica o la geografia, in cui tutto si può dimostrare. La fede non è neppure un "pacchetto" di cose acquisite una volta per tutte; oscilla: ora cresce, ora cala; può raggiungere vette sublimi come nei martiri, può sembrare assente come in chi si dichiara ateo; va in crisi di fronte alle ingiustizie, si irrobustisce al pensiero di quanto sarebbe bello il mondo se tutti ne seguissero i dettami; si affievolisce quando la si trascura, si rafforza quando se ne approfondiscono i contenuti. In nessuno la fede è mai del tutto assente, né mai raggiunge il massimo possibile; e allora ciascuno può sempre ricordare quell'uomo interpellato un giorno da Gesù e far propria la sua risposta: "Io credo, Signore, ma tu aumenta la mia fede!"

 

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