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TESTO Commento su Giovanni 10,1-10

fr. Massimo Rossi  

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IV Domenica di Pasqua (Anno A) (03/05/2020)

Vangelo: Gv 10,1-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.

7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

Il pastore chiama le sue pecore per nome, perché le conosce una per una.

La questione delicata non è se Lui, il pastore, conosca le sue pecore; ma se le pecore conoscano e riconoscano la voce del loro pastore. In altre parole, noi conosciamo il Cristo?

Il discorso di Pietro alla casa d'Israele, nel giorno di Pentecoste, non è una ‘semplice' accusa rivolta a coloro che direttamente, o indirettamente condannarono e uccisero Gesù. Le parole del principe degli apostoli sottendono un problema di ignoranza (degli Israeliti) nei confronti del Nazareno. Un'ignoranza che, paradossalmente, non è del tutto colpevole. Dico questo perché, in buona linguistica, si distingue tra ignoranza e nescienza: la prima allude a verità che è necessario conoscere, dunque, non conoscerle è colpevole. La nescienza riguarda invece verità che il soggetto non è tenuto a conoscere, dunque non conoscerle non è colpevole.

Al cap. 3 degli Atti degli Apostoli, Pietro dichiara esplicitamente: “Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, così come i vostri capi.” (3,17).

Nel caso della condanna a Gesù, c'è un importante aspetto da considerare, che complica la questione all'inverosimile e non consente di formulare un giudizio di colpevolezza tout court contro gli israeliti, ammesso che noi si possa giudicare qualcuno (cfr. Mt 7,1). L'elemento che pesa e pesa molto sulla questione-Gesù è la Legge di Mosè e, secondo la legge di Mosè, chi si fa Dio è reo di morte, per il crimine di bestemmia. Al cap.26 del suo Vangelo, Matteo scrive: “(...) Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio». «Tu l'hai detto, gli rispose Gesù, anzi io vi dico: D'ora innanzi vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra di Dio, e venire sulle nubi del cielo.». Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Perché abbiamo ancora bisogno di testimoni? ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». E quelli risposero: «È reo di morte!»”.

Il passo che abbiamo appena ascoltato come prima lettura rivela la disponibilità di coloro che ascoltavano Pietro a seguire le sue indicazioni, manifestando il desiderio di una conversione radicale. “Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone.” (At 2,41).

È ancora Pietro, nella sua prima lettera, a dichiarare che Cristo non commise alcun peccato, né ingannò nessuno: evidentemente la passione di Gesù aveva scatenato dure polemiche tra i suoi oppositori, ma anche tra i discepoli. E mentre i nemici della fede accusavano il Signore di bestemmia, alcuni discepoli - forse un po' tutti - manifestavano più di un sospetto che il Maestro di Nazareth li avesse ingannati, promettendo la salvezza, mentre poi era finito in croce nello spazio di un weekend...

Ricordiamo che nei giorni in cui Pietro predicava, la Risurrezione del Signore era conosciuta da pochi, limitatamente all'entourage degli apostoli. Certo, ai notabili del sinedrio e alle autorità del popolo non conveniva far trapelare la notizia, per evitare che la gente cambiasse nuovamente opinione sul conto di Gesù, e tornasse a credere in Lui. Quotidiani, internet, TGflash non erano ancora stati inventati... le notizie si diffondevano passando di bocca in bocca.

È sempre Matteo a riferirlo: “Alcune guardie giunsero in città e annunziarono ai sommi sacerdoti quanto era accaduto. Questi si riunirono allora con gli anziani e deliberarono di dare una buona somma di denaro ai soldati dicendo «Dichiarate: i suoi discepoli sono venuti di notte e l'hanno rubato, mentre noi dormivamo. E se mai la cosa verrà all'orecchio del governatore noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni noia.». Quelli, preso il denaro, fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questa diceria si è divulgata fra i Giudei fino ad oggi.” (Mt 28,11-15). Quell''oggi' è da riferire agli anni in cui Matteo scriveva, fine del primo secolo (70-100 d.C.).

Ancora un accenno al Vangelo di oggi; in sostanza, Giovanni ribadisce un'idea soltanto: la fede in Cristo ci rende forti abbastanza per uscire dall'ovile, dai nostri luoghi di culto, dalle nostre famiglie cattoliche, dagli ambienti per così dire protetti e sicuri, e addentrarci nel mondo sociale, politico, economico, culturale, per cercare e trovare il nutrimento necessario. Perché il cibo per vivere, non è qui, non è dentro, ma fuori di qui, in giro per il mondo.

Se ci teniamo vicini a Cristo, nulla ci può spaventare, nulla può recare danno alla nostra fede e dunque a noi.

C'è un ultimo aspetto da chiarire, onde evitare la tentazione di pensare la Chiesa come l'unico posto sicuro, e il mondo come una landa desolata e piena di pericoli... È un'idea già presente ai tempi di Gesù, allorché alcuni integralisti di fede ebraica avevano abbandonato Gerusalemme e il contesto cittadino in genere, ritenuto pericoloso per la purezza della fede, e si erano rifugiati lontano, nel deserto, al sicuro... Conosciamo tutti l'espressione “fuga mundi”, fuga dal mondo...

La parabola del buon pastore, afferma proprio il contrario. Non bisogna temere il mondo! quel mondo, il nostro mondo, Dio lo ha scelto per inviare il suo Verbo ad incarnarsi tra noi, uno di noi!

Se non si è vergognato Lui di scendere dal cielo e venire a vivere qui, perché dovremmo vergognarci noi e prendere le distanze dal mondo?

La Chiesa non sta fuori dal mondo! o, meglio, il mondo non sta fuori dalla Chiesa. La Chiesa vive dentro il mondo, e non può che vivere dentro il mondo! La Chiesa siamo noi! noi che camminiamo con il Cristo... E così l'incarnazione progredisce in noi e con noi.

E il mistero dell'Incarnazione continua a darci vita e a darcela in abbondanza!
Parola del Signore!

 

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