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TESTO Noli me tangere

don Alberto Brignoli  

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Domenica di Pasqua - Risurrezione del Signore (Anno A) (12/04/2020)

Vangelo: Gv 20,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 2Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». 3Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. 4Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 5Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 6Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, 7e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. 8Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Il brano di Vangelo che abbiamo letto nella Liturgia di questo mattino della Domenica di Pasqua descrive proprio ciò che avvenne la mattina di quel giorno, “il primo della settimana”, il primo dopo il riposo dello Shabbat, quando Maria di Magdala si reca al sepolcro di Gesù di buon mattino (molto presto, “quando era ancora buio”, dice Giovanni, non solo cronologicamente, ma anche simbolicamente) e vede “la pietra che era stata tolta dal sepolcro”. Non entra neppure: con un intuito tutto femminile (poteva pure essere capitato che la pietra non fosse stata collocata bene e che fosse rotolata via), giunge immediatamente alla conclusione che “hanno portato via il Signore dal sepolcro”, e quando di fretta corre ad avvisare Simon Pietro e lo stesso Giovanni, si affretta anche a precisare che non sa “dove l'hanno posto”. Perché la sua ansia, la sua angoscia, è proprio quella: non sapere dove l'hanno posto. Già: è dura non sapere dove sia stata sepolta una persona che ami, magari la persona che hai amato più di ogni altra, nella tua vita. E alla luce di quanto abbiamo vissuto e stiamo purtroppo ancora vivendo in questi giorni, non c'è particolare del Vangelo che cada così appropriato come questo: quante persone, in questi giorni, non hanno ancora potuto vedere, non sanno ancora, dove il corpo dei loro cari, i poveri resti mortali delle persone che hanno amato per tutta una vita, stiano riposando nella pace.

Maria di Magdala corre ad avvisare almeno due dei discepoli del Maestro, quelli che, in vita, lo hanno amato più degli altri dieci: del resto, l'angoscia che si trasforma in dolore è diversa, se può essere condivisa, e lo sa bene chi sta affrontando questa prova senza poter uscire di casa a condividere con altri questo dolore. Il brano di Vangelo termina, oggi, con i due discepoli che entrano nel sepolcro, verificano che il corpo del Maestro non c'è più, notano i teli e il sudario, descritti con dovizia di particolari dallo stesso Giovanni, il quale, con un pizzico di orgoglio, si affretta a precisare che lui - rispetto a Simon Pietro entrato per primo nel sepolcro a motivo della sua autorità - “vide e credette”. A cosa credette, non ci viene detto, ci è dato solo di intuirlo, a noi, oggi, dopo duemila anni: non così a chi ascoltava quel racconto per la prima volta, come kerygma, come annuncio, senza aver conosciuto la vicenda e il messaggio di Gesù. Ma per ora non ha importanza: ciò che conta è che qualcuno, tra i suoi discepoli, continuò a credere, ad avere fede, nonostante tutto.

Il racconto, però, prosegue con i discepoli che tornano a casa e con Maria di Magdala che si ferma piangendo fuori dal sepolcro: lo ascolteremo in questa settimana dell'Ottava di Pasqua, precisamente martedì. Maria piange non tanto per la morte del Maestro (questo pare scontato), ma perché l'unica cosa che le è rimasta da venerare e da amare, ovvero il luogo della sepoltura, non è più a sua disposizione, non ce l'ha più, ha perso pure quello. E a chiunque incontri, senza neppure pensare se si tratti di angeli o di giardinieri (a quel punto, tutto diviene davvero insignificante), chiede l'unica cosa che per lei conta: dove l'hanno posto, dove hanno posto il corpo del suo Maestro, perché vuole andare a prenderlo, vuole averlo nuovamente tra le braccia, lo vuole accarezzare, anche se tutto martoriato, lo vuole lavare per bene, venerare, onorare, amare come non ha potuto fare due giorni prima perché era la Parasceve, la sera della vigilia di Pasqua, e la Legge non consentiva di fare alcuna cosa, men che meno toccare un cadavere. Come termini la mattina di quel primo giorno della settimana, lo sappiamo bene: è sufficiente che il Maestro, da lei incontrato senza essere riconosciuto, la chiami per nome con quel tono affettuoso che solo chi ama sa riconoscere e comprendere anche con gli occhi pieni di lacrime, perché lei si getti ai suoi piedi per adorarlo e amarlo, non da morto come si era ormai rassegnata a dover fare, ma vivente, come aveva imparato a fare in vita.

E qui, nasce quell'icona che i più grandi artisti di ogni epoca hanno raffigurato in mille modi, cogliendone al tempo stesso la drammaticità, l'emozione e l'amore. È quella che abbiamo scelto anche per la nostra celebrazione di stamattina, e che la nostra Diocesi di Bergamo ha addirittura indicato alla base del cammino pastorale di quest'anno; quella che - riprendendo la traduzione in latino della Vulgata di san Girolamo, tra il IV e il V secolo - è passata alla storia con il nome di “Noli me tangere”, “Non mi toccare”, o “non mi trattenere”, come leggiamo nella nuova traduzione. È il perentorio comando di Gesù a Maria, che vorrebbe trattenerlo per sé, abbracciarlo, donargli calore, affetto e amore come ha fatto per tre lunghissimi anni. Tuttavia, questo non è possibile: Gesù deve prima tornare ad abbracciare la persona più importante, il Padre, suo Padre e suo Dio, Padre e Dio di tutta l'umanità, e rendergli grazie per il dono della vita restituita. A Maria di Magdala, nel frattempo, affida un incarico, il più importante: quello di andare dai suoi discepoli ad annunziare la sua Resurrezione. È l'annuncio più importante della storia del cristianesimo, e Gesù lo affida alla persona che, nella società di allora e purtroppo in molte situazioni anche attuali, era la meno valorizzata, e quindi ritenuta la meno credibile e la meno affidabile: una donna, e per di più, da ciò che sappiamo, neppure sposa e ancor meno madre. Perché l'amore è capace di andare oltre a tutti i pregiudizi, le categorie, i cliché, le stigmatizzazioni, le imposizioni e le norme, corrette o meno che esse siano.

A Maria viene impedito di manifestare il suo amore a Gesù con il gesto più caloroso che possa esistere tra due persone che si vogliono bene, l'abbraccio; ma Gesù approfitta di questa situazione per affidarle un incarico che dà ancor più senso a quell'amore, ovvero l'annuncio della Resurrezione, la vittoria della vita sulla morte, l'annuncio che il buio della notte, sceso da due giorni nel cuore dei discepoli, era stato spazzato via dalla luce dell'aurora di quel giorno, il primo della settimana.

A costo di sembrare banale e pesante, non posso non leggere le analogie di questa icona con la cruda realtà che stiamo vivendo in questi giorni. Le norme comportamentali che devono essere adottate in questa situazione di pandemia ci impongono, lo sappiamo bene, questo infinito “Noli me tangere” che ci logora, perché vorremmo, soprattutto se stiamo soffrendo, sentire il calore dell'abbraccio delle persone che amiamo. Ci è impedito, come fu impedito a Maria di Magdala di abbracciare il suo Gesù: ma come a lei, anche a noi il Signore affida un incarico, una missione: “Va' dai miei fratelli” e annuncia loro che sono risorto e che ho vinto la morte.

Come fare questo, oggi? Certo, non è facile “andare” dai nostri fratelli, proprio per le limitazioni che giustamente ci sono state imposte: ma possiamo farlo in tanti modi, con uno scritto, una parola, una telefonata, una videochiamata, o un altro qualsiasi dei tanti modi che ci mette a disposizione la tecnologia (fino a ieri demonizzata da molti, oggi benedetta da tutti...anche questo è risorgere a vita nuova). E se siamo più fortunati di altri, e abbiamo la possibilità di fare gesti concreti di carità ai più bisognosi, a partire dai nostri vicini di casa, magari da quelli che abbiamo sempre mal sopportato, non perdiamo tempo, e come Maria Maddalena trasformiamo il dolore del “Noli me tangere” per un mancato abbraccio reale, in gioia per un altro tipo di abbraccio, ben più significativo e meritevole agli occhi di Dio.

E allora, quando tornerà il tempo per tornare a incontrarci e a toccarci fisicamente, i nostri abbracci avranno il sapore pieno della vita e dell'amore ritrovati.

 

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