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TESTO La luce in fondo al tunnel? No, in cima al cero!

don Alberto Brignoli  

Veglia Pasquale nella Notte Santa (Anno A) (12/04/2020)

Vangelo: Mt 28,1-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 28,1-10

1Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba. 2Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. 3Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve. 4Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte. 5L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. 6Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. 7Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto».

8Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. 9Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. 10Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».

Una delle espressioni più inflazionate in questo periodo è: “La luce in fondo al tunnel”. “È ancora presto per vedere la luce in fondo al tunnel”; “Non si intravede ancora la luce in fondo al tunnel”; “Iniziamo debolmente a scorgere la luce in fondo al tunnel”, e via dicendo. Nelle più disparate forme e varianti, il succo del discorso è sempre quello: la situazione che stiamo vivendo a causa della pandemia ha immesso tutti noi (“tutti noi” significa tutta l'umanità, e già questo serve a farci comprendere la dimensione del fenomeno) all'interno di una caverna, di un tunnel, la cui oscurità è immensamente superiore a quella di tanti tunnel scarsamente illuminati delle nostre strade e autostrade, e la cui lunghezza è, purtroppo, incalcolabile, rispetto a quelli che percorriamo in auto e che, regolarmente, riportano la loro misura nel momento in cui li imbocchiamo, perché giustamente siamo preavvisati su quanto possa essere lungo o corto il tratto di oscurità che siamo chiamati a percorrere. Niente di tutto questo, quindi: il tunnel nel quale ci troviamo è una totale oscurità dal momento in cui lo abbiamo imboccato, abbiamo visto solo pochissimi segnali luminosi che ci indicavano la direzione da prendere (e difatti ci siamo schiantati parecchie volte contro le pareti del tunnel, ventimila volte solamente in Italia), e le poche luci che abbiamo intravisto sono state quelle fiammate di sacrificio, di orgoglio, di solidarietà, di generosità e di carità che hanno affollato il tunnel in questi giorni, e che hanno mantenuto viva in noi la speranza di sapere che, anche se il suo consumo in questo periodo è stato superiore a quello dell'acqua, l'ossigeno all'interno del tunnel non è mai venuto meno, per cui qualsiasi fiamma accesa non si sarebbe spenta.

Ma questa benedetta “luce in fondo al tunnel”, per quanto la si intraveda, tarda ad allargarsi, all'orizzonte, e se vogliamo pretendere di accelerare per arrivarci il prima possibile, compiamo la peggiore delle sciocchezze, perché purtroppo non sappiamo ancora se il tracciato all'interno del tunnel sia diritto o tortuoso, e quindi il rischio di schiantarci e di provocare un incidente dalle conseguenze inimmaginabili, è ancora altissimo. Calma, quindi: correre per arrivare alla luce non serve a nulla. Abbiamo atteso diverse settimane: non ci cambia la vita, anche se aspettiamo ancora un po', non è vero che, se non moriremo di Coronavirus, moriremo di fame, almeno qui nella nostra patria. Per cui, davvero: calma, pazienza e fiducia. Di pazienza ne abbiamo portata tanta in tutti i settori: pensiamo anche solo a quello tutto sommato meno gravoso sul bilancio delle vite umane e dell'economia, ovvero il settore della vita di fede.

È vero, ed è palese, che nessuno è morto perché non ha potuto andare a messa per alcune domeniche di fila, così come mi pare che nessuno possa dire di aver perso la fede perché la sua chiesa parrocchiale è rimasta chiusa, o perché nella sua parrocchia non c'è (o non si sente bene) la radio parrocchiale, oppure perché il parroco non ha dimestichezza con la tecnologia e allora non è riuscito a trasmettere da subito la messa attraverso i social network. Anzi: a me pare che abbiamo avuto mille occasioni più che in altri periodi, anche da parte delle televisioni laiche e solitamente basate solo sulla logica del profitto, di assistere a trasmissioni che facevano pregare, riflettere, pensare, meditare, e quindi anche sperare.

Di fatto, però, il dramma l'abbiamo avvertito, eccome: nemmeno il più anziano degli ultracentenari penso possa dire di ricordare che in tutta una nazione o in un intero continente le chiese fossero rimaste chiuse ai fedeli, e senza celebrazioni pubbliche, durante il Triduo Pasquale. Questa Pasqua, così come la Quaresima appena conclusa, ce la ricorderemo in eterno, negli annali della storia. E se la Quaresima vissuta in questo modo poteva pure starci, perché non ha fatto altro che aumentare il carattere penitenziale e sacrificale di questo tempo, una Pasqua così, con le campane che finalmente tornano a suonare solo per annunciarci che Cristo è Risorto ma che non possiamo celebrarlo, è un colpo al cuore. Ci manca, poi, che quest'anno la Pasqua sia coincisa, climaticamente parlando, con l'esplosione della primavera, quando magari gli altri anni eravamo costretti a ombrelli e giacche a vento: tutta quella natura che rinasce possiamo contemplarla solo dal balcone di casa, dalle finestre (sempre che non viviamo tra file di alberi di trenta piani...) o, per i meno sfortunati, scendendo un attimo in giardino evitando di mettere i piedi a più di 50 metri dalla nostra abitazione. Altro che Pasqua di vita: è una Pasqua che ci parla di tutto, in questi giorni, meno che di vita.

Ma se c'è qualcosa di bello nella nostra fede, è che il nostro Dio è un Dio del “ma”. Sì, del “ma”: di questa congiunzione avversativa che, appunto, esprime contrarietà e contrapposizione a quanto fino a quel momento espresso in una frase. Che la nostra fede, o meglio che il nostro Dio sia un Dio del “ma”, lo vediamo già questa sera, e lo vedremo e sentiremo ancor di più nei prossimi giorni: quando sentiremo dire più di una volta che i capi del popolo, i sacerdoti, i soldati romani, gli empi, qualsiasi altra categoria, hanno preso suo figlio Gesù, “lo hanno inchiodato sulla croce e l'hanno ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte”.

Questa notte, avremmo dovuto iniziare la Veglia Pasquale all'esterno, con la benedizione del fuoco, a luci spente, perché il suo crepitio, il suo calore e la sua luce facessero ulteriore breccia nel nostro cuore pronto ad accogliere l'annuncio di Pasqua: “ma” la contingenza attuale ce l'ha impedito. “Ma” Dio non si è fermato di fronte a questo impedimento: non abbiamo acceso il suo fuoco, “ma” abbiamo acceso una piccola luce, una fiammella, e non l'abbiamo collocata in fondo al tunnel, “ma” sopra lo stoppino di un cero; è una luce che non può avere la pretesa di illuminare chissà cosa, “ma” ha una simbologia fortissima, perché ci dice che il buio della morte non ha vinto. Questa luce non è alimentata da chissà quale fonte energetica alternativa e rinnovabile frutto dell'intelligenza umana, “ma” è alimentata dalla cera, che - classica o liquida che sia - è pur sempre di umile origine, e per di più animale, neppure umana. È una luce alla quale è bene non fare arrivare spifferi di aria, perché si spegne facilmente (ci ricordiamo bene, gli anni passati, le fatiche per accendere il cero pasquale all'esterno, sperando rimanesse acceso fino all'arrivo sull'altare!), “ma” altrettanto facilmente la si può riaccendere. Non fa una grande luce, come abbiamo detto, “ma” ha il vantaggio di consumarsi molto lentamente, e quindi, di poter rimanere accesa a lungo, come la speranza che è nel nostro cuore questa sera, e che rimarrà accesa tanto più a lungo, quanto più avremo - come dicevo all'inizio - acquisito la virtù della pazienza che si consuma in una lunga e snervante attesa, “ma” che rimane comunque accesa a lungo.

Sarà e rimarrà ricordata a lungo, negli annali della storia, come una Pasqua anomala, dolorosa e per certi aspetti triste; “ma” il nostro Dio ha comunque deciso, anche quest'anno, di risuscitare suo figlio Gesù dalla morte. Quest'anno è impercettibile, certo, la forza della Resurrezione, così come lo fu quel giorno a Gerusalemme, quando nessuno si accorse del momento in cui Gesù risuscitò: “ma” qualcuno ha trovato la tomba vuota, e molti lo hanno visto, vivo.

È lui, il Risorto, la nostra “luce in fondo al tunnel”.

 

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