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TESTO Sacerdoti involontari ma reali

don Alberto Brignoli  

Giovedì Santo (Messa in Cena Domini) (09/04/2020)

Vangelo: Gv 13,1-15 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. 2Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, 3Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. 5Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. 6Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». 7Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». 8Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». 9Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». 10Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». 11Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».

12Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? 13Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. 14Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. 15Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi.

Ho sempre trovato molto suggestiva la celebrazione della messa serale del Giovedì Santo: e devo confessare che, tra le celebrazioni e i riti suggestivi della Settimana Santa, è quella che mi colpisce di più. Forse perché è la meno “roboante”, quella con meno riti liturgici aggiunti (e quest'anno, ancor meno, data la situazione che stiamo vivendo); quella che sta all'inizio di tutto il Triduo e quindi anche la meno partecipata nel senso “caotico” o “precettistico” del termine; quella che mi teneva appassionatamente occupato tutta la Quaresima cercando di individuare a quale categoria di persone avrei lavato i piedi; quella che solitamente riuscivo a vivere con maggior intimità perché non ancora immerso nell'alternanza tra celebrazione liturgica e confessionale dei giorni successivi; quella che ricorda l'istituzione dell'Eucarestia e del sacramento dell'Ordine; quella che termina in punta di piedi, senza neppure una benedizione, a volte dopo diverse ore passate in solitudine in chiesa, in attesa che anche l'ultimo fedele termini di adorare Gesù nel “sepolcro”.

Era resa suggestiva, soprattutto, da quel gesto che, secondo il vangelo di Giovanni (e solamente secondo lui), fu l'unico segno istituito sacramentalmente da Gesù, e non si tratta né dell'Eucarestia né dell'Ordine Sacro, ma di quel Sacramento dell'Amore di cui la lavanda dei piedi è il simbolo più profondo che il Maestro ci abbia lasciato, e anche il primo a essere abbandonato in fretta e furia dalla Chiesa, visto che - a differenza dei sette sacramenti istituzionali - ha sempre pensato di celebrarlo solo una volta all'anno, e per di più inserito in un altro Sacramento, certamente il più importante e il più vitale per noi credenti in Cristo.

Quest'anno, una triste e inaspettata vicenda storica ci chiede un sacrificio terribile e inimmaginabile: quello di non celebrare neppure il rituale di questo Sacramento dell'Amore che Gesù, quella sera, nel pensiero e nel cuore di Giovanni, lasciò come unico testamento ai suoi discepoli. Ci manca qualcosa, questa sera, senza quel gesto. È vero, è solo un rito, con una forte componente scenografica, se vogliamo, soprattutto quando vengono coinvolti bambini e ragazzi, ai quali non puoi farlo vivere senza una certa ilarità, perché per loro è comunque un divertimento, più che un rituale: e menomale che ogni tanto, in chiesa, si possono divertire e riescono a starci allegramente! Ad ogni modo, si tratta di un rito fortemente significativo perché ricorda a noi Chiesa (a noi uomini di Chiesa, soprattutto) che il Maestro ce l'ha lasciata come testamento, come ultima volontà, quella di spogliarci delle nostre ricche vesti e di cingerci il grembiule del servizio, quella di abbandonare calici sacri, preziosi e dorati, e prendere in mano un catino e una brocca, quella di prendere in mano non un'Ostia consacrata che si fa Corpo di Cristo ma il corpo dei nostri fratelli (e non certo la parte più osservata e desiderabile) per farne Ostia, vittima sacrificale sull'altare del servizio e dell'amore.

Questa sera, però, a noi sacerdoti è stato chiesto un altro sacrificio, un altro gesto ancor più umile di quello che facciamo lavando i piedi ai nostri fratelli: il gesto umile di metterci da parte, e di lasciar fare questa lavanda dei piedi, di lasciar celebrare questo Sacramento dell'Amore, ad altri celebranti, ad altri sacerdoti.

Sono sacerdoti senza chiesa e senza altare, perché la loro chiesa è un ospedale e il loro altare una barella. Sono sacerdoti rivestiti non di camice e stola, ma (quando va bene) di camice, guanti e mascherina. Sono sacerdoti che non hanno calice e patena fra le mani, ma bacinelle, cannette, siringhe, sacche e flebo. Sono sacerdoti che non possono nemmeno programmare a che ora celebrare il loro sacrificio eucaristico, perché la loro stessa vita, in una situazione come questa, è un continuo e perenne sacrificio. Sono sacerdoti “loro malgrado”, involontari, che delle due dimensioni fondamentali del sacerdozio - datori del sacro e gente dedita agli altri - hanno scelto di consacrarsi solo alla seconda, ma che in questi giorni sono stati chiamati anche a “dare le cose sacre” - foss'anche solo una benedizione ai morenti - al nostro posto: e, ironia della sorte, hanno ricevuto questo incarico da noi, noi clericali, che spesso nella complessità delle loro vicende personali li abbiamo magari messi ai margini perché “non ne avevano i requisiti canonici”, per un matrimonio andato male, per una fede ricevuta e poi abbandonata, o anche solo perché donne e quindi non idonee al sacerdozio. Sono sacerdoti che vengono da altri paesi e da altre culture, ai quali ieri chiudevamo le porte e i porti e oggi accogliamo come eroi. Sono sacerdoti che non professano neppure la nostra fede, oppure che, se la professano, non la possono vivere apertamente, perché nei loro paesi di origine, credere nel Dio di Gesù Cristo è ancora un reato.

Eppure, volontariamente o no, oggi sono loro ad avere tra le mani il Corpo di Cristo vittima di salvezza sull'altare della croce. Non hanno tra le mani il Corpo di Cristo fatto di frumento; e si sporcano le mani con il Sangue reale di Cristo, non quello misticamente adombrato nel vino che consacriamo. Soprattutto, vivono per noi, in questo Giovedì Santo così anomalo, quel Sacramento dell'Amore che noi, forse, anche quest'anno, avremmo “liquidato” con una rituale - e per quanto suggestiva, sempre e solo rituale - lavanda dei piedi.

Il nostro grazie, per loro, questa sera, diventa Eucaristia: il modo più grande che noi, che ci diciamo cristiani, abbiamo per dire grazie a Dio e all'umanità.

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