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TESTO Commento su Giovanni 20,19-31

fr. Massimo Rossi  

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II Domenica di Pasqua (Anno A) (19/04/2020)

Vangelo: Gv 20,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Le letture di questa seconda domenica di Pasqua, “domenica in albis”, per ben due volte evocano la Pasqua del Signore come evento domestico: “ogni giorno (...) spezzavano il pane nelle case...”; “Venne Gesù, stette in mezzo a loro e disse: Pace a voi!”.

È vero, dai giorni gloriosi in cui quella che oggi chiamiamo Messa era vissuta in famiglia, sono passati duemila anni e più; non si tratta solo di distanza in ordine di tempo: la riflessione plurisecolare sul sacramento ha messo via via in luce aspetti intrinseci al mistero, che non erano ancora chiari ai tempi di Gesù e negli anni che seguirono.

La liturgia eucaristica - lo dice l'espressione stessa - è un fatto pubblico, è un fatto di popolo. E se la famiglia è chiamata piccola chiesa domestica, è per un'estensione analogica del significato di Chiesa locale e universale, non viceversa.

Avrete certo intuito che il taglio dato alla presente riflessione - un taglio che attinge immediatamente alle letture di oggi, sia ben chiaro! - trova il suo senso, la sua motivazione nell'attuale congiuntura, nello stato di emergenza sanitaria che ancora ci tiene reclusi in casa, e chissà per quanto ancora...

È vero, il Signore risorto entra nel cenacolo a porte chiuse, e lo farà più volte, a scadenza settimanale, come abbiamo sentito dal racconto di Giovanni. Ma questo, Gesù lo fa non solo per gratificare i suoi con il privilegio della sua presenza reale; il Cristo appare agli Undici per mandarli fuori, nel mondo, a tutti gli uomini, estendendo per così dire il privilegio di godere della Sua presenza reale, e abbattendo i muri di separazione tra la Sua Persona e l'umanità intera.

Ma, se il libro di Qoelet ci può dare un aiuto a mantenere lo sguardo lucido e realista sulla realtà, come Qoelet, anche noi dobbiamo riconoscere che c'è un tempo per vivere la fede nelle nostre (piccole) chiese domestiche, e un tempo per uscire ad annunciare la risurrezione di Cristo al mondo. Questo è il tempo in cui la dimensione privata della fede assume una valenza ancora più intima e profonda!

Ed ecco la sfida, ecco la domanda, alla quale nessuno di noi può sfuggire: nel frattempo, mentre aspettiamo che la situazione evolva e si possano nuovamente spalancare le porte all'annuncio missionario, che cosa possiamo fare?

La domanda sottende la questione di senso dell'attesa cristiana; la parola (attesa) deriva dal latino ad-tendere, tendere a: è sorprendente constatare come certe parole che in origine possedevano un preciso significato, col tempo ne hanno acquisito un'altra, talora, come in questo caso, diametralmente opposto...

Attesa, attendere,... suggeriscono comportamenti tutt'altro che attivi, tutt'altro che fattivi,...

Si attende nella sala d'aspetto di uno studio medico; si attende sulla piattaforma del binario di una stazione ferroviaria, o in aeroporto,... tutti con il proprio smartphone, a fare un solitario, o curiosare su internet,...
È questa l'attesa cristiana?

Vi confido un segreto: nei giorni in cui lavoravo a queste riflessioni postpasquali, e non sapevo se e quando le avrei potute esporre a voi, fedeli e amici, pensavo a come trovare un antidoto contro l'ansia da coronavirus, contro la tentazione di cedere al panico...

Ebbene, l'antidoto spirituale e mentale l'ho trovato: pensare alla Pasqua! immergermi nei Vangeli che la liturgia di queste domeniche ci propone, per concepire e scrivere pensieri di sapore pasquale, pensieri di vita, pensieri di speranza, pensieri di rinascita, pensieri fondati sulla certezza di un futuro nuovo, migliore di oggi, e anche di ieri, perché fecondato dal sangue dei martiri, di tanti innocenti stroncati dal male. Lo scriveva Tertulliano: “Sangue dei martiri, sementi di nuovi cristiani”.
Noi siamo responsabili anche delle loro vite!

Noi che crediamo nella vita oltre la morte, vita di Cristo e dunque anche vita nostra, dobbiamo continuare a crederci, per noi e per loro! A che cosa serve essere vivi, se non a credere nella vita?

Certo, anche noi vorremmo avere conferme, come Tommaso apostolo: conferme in anteprima, se possibile... Ma non è possibile! Una fede come quella dell'apostolo chiamato Didimo è invero incredulità bell'e buona! la stessa che manifestavano i sommi sacerdoti e i capi del popolo ai piedi della croce di Cristo: “Se costui è il figlio di Dio, scenda dalla croce e gli crederemo!” (cfr. Mc 15,31-32). La fede è fede solo quando è senza ‘sé e senza ‘ma'.

La conclusione del Vangelo è fondamentale! Per avere la vita, è necessario credere che Gesù è il Cristo. Venti secoli di storia della Chiesa ci hanno insegnato - prove alla mano! - che la fede in Cristo è stata in grado di smuovere montagne, scoprendo nuove vie di promozione umana, scongiurando guerre, abbattendo totalitarismi, e ponendo fine - sissignore! - a pandemie.

Non sono fideista, lo sapete, e non penso che la fede possa in qualche modo sostituirsi alla ricerca scientifica e alla medicina. La fede può invece sostenere la scienza e la medicina, può camminare insieme, può addirittura precederle, nella convinzione che “tutto andrà bene!”.

A proposito: queste parole - tutto andrà bene! -, che sentiamo pronunciare così spesso, negli ultimi mesi, le pronunciò per la prima volta Giuliana di Norwich (Norfolk, Regno Unito, 1342-1416), la più famosa mistica tardomedievale; più precisamente, gliele confidò Gesù in persona, manifestatosi (a lei) in visione.

Credere che Gesù è il Cristo significa credere che l'uomo può e deve fare fino in fondo la sua parte, fiducioso che anche Dio farà la sua. Nel cenacolo, gli Apostoli si sentivano perduti, paralizzati dalla paura. Entrò Gesù a porte chiuse, lo riconobbero, credettero in Lui, e la paura svanì.

Attenzione: il Signore non disse loro: “Coraggio, ora ci sono io e ci penso io...”; il Risorto diede agli Undici i poteri necessari, ma soprattutto la consapevolezza che, da ora in poi, i loro sforzi, le loro fatiche, le energie profuse,... non sarebbero state inutili.

Il Risorto non opera al posto nostro. Senza di noi, Lui non può nulla! Insieme con Lui, noi possiamo tutto! É il principio dell'incarnazione. O per dirla con le parole di sant'Agostino: “Colui che ti ha creato senza di te, non ti salverà senza di te”! E così sia.

 

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