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TESTO Il triplice dono

padre Gian Franco Scarpitta  

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Giovedì Santo (Messa in Cena Domini) (09/04/2020)

Vangelo: Gv 13,1-15 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. 2Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, 3Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. 5Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. 6Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». 7Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». 8Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». 9Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». 10Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». 11Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».

12Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? 13Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. 14Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. 15Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi.

Le cene e i conviti non di rado, anche nella Bibbia, sono occasioni di incontro per concludere delle alleanze o stipulare dei patti. In questo convito del tutto speciale, che i Sinottici collocano alla vigilia della Pasqua Ebraica e Giovanni invece nella sua antivigilia ( Per il quarto evangelista infatti Gesù muore quando nei tempio vengono immolati gli agnelli pasquali, quindi nella vigilia di Pasqua.) si realizza un'alleanza definitiva, che ha i suoi presupposti nelle vecchie alleanze che sanciscono più volte la stabilità dei rapporti fra Dio e l'uomo. In questo nuovo patto il distintivo sarà quello del sangue e non si fonderà più su elementi giuridici o normative scritte, ma sarà determinato dalla persona stessa che decide il loro realizzarsi. In altre parole l'alleanza nuova e definitiva che si svolge in questa cena è data dall'autoconsegna di Gesù, dall'oblazione spontanea che egli fa di se sulla croce. E' Gesù stesso l'elemento decisivo della nuova alleanza, che dona se stesso risolutamente affinché si realizzi la riconciliazione e la comunione definitiva fra Dio e gli uomini. A Scrive Ratzinger che questa è la circostanza in cui Gesù realizza quanto aveva detto di sé nel discorso sul Buon Pastore: “«Io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio» (Gv 10,17-18). A dire il vero, Gesù darà la sua vita al momento dell'arresto e della crocifissione, ovvero quando il suo sangue espiativo sgorgherà dal legno per il riscatto di tutti e quella sarà la massima espressione dell'amore in quanto massimo e ineccepibile dono che egli farà di sé. L'alleanza sarà definitiva al momento della croce e sarà contrassegnata dallo sgorgare di sangue e acqua che inaugurano la Chiesa con i Sacramenti. Tuttavia di questo dono della sua vita vi è un anticipo in questo tristissimo convivio nel quale Gesù fa una triplice donazione di se stesso ai suoi: 1) si china a lavare i piedi ai suoi commensali, realizzando un gesto unico e “assurdo” anche per la mentalità egocentrica dei nostri tempi. E' vero che Paolo accennerà che le vedove “lavano i piedi ai santi”(1Tm 5, 10) ma il gesto lì il gesto riguarderà una formalità tipica dell'accoglienza dei forestieri a casa propria; Gesù invece in quel gesto si fa egli stesso artefice e promotore di una pedagogia di amore e di umiltà, per la quale chiunque voglia rendersi grande è chiamato a disporsi come colui che serve disinteressatamente e senza retorica. Il gesto scaturisce infatti da una discussione dei discepoli su chi di loro fosse il primo e il più autorevole, ma quale autorità e padronanza non comporta l'abnegazione del servizio e la promozione del bene dei sudditi? Nella logica di Gesù il servizio dev'essere espressivo dell'amore inesorabile fino a consumarsi, il cui segno è l'eroismo della lavanda dei piedi. Si tratta della donazione estrema che Gesù fa di se stesso nel servizio umile e disinteressato, che non cerca ricompensa alcuna ma si preoccupa solo di donare e di servire e al quale Gesù vuole educare i suoi discepoli e tutti noi. 3) spezza il pane e lo distribuisce ai suoi, come farebbe un comune padre di famiglia che con questo gesto indica la donazione di se stesso. Quando però Gesù spezza il pane dicendo “Questo è il mio corpo” indica che il dono di se stesso è completo, esistenziale e duraturo. In quel momento Gesù infatti non dice “questo pane è il mio corpo”, come se il pane in quel momento restasse elemento di farina, lievito e acqua; dice invece “questo” è il mio Corpo, lasciando intendere l'identità fra quell'elemento e lui stesso: “Questo sono io che mi do per voi”. Il donarsi di Gesù in questo caso realizza anche la seconda promessa che egli aveva fatto di essere per noi “pane vivo disceso dal cielo” che dona la vita per sempre. Diventerà farmaco di immortalità e alimento di vita nella reiterazione perpetua di questo gesto voluto da Gesù 3) Gesù infine versa il vino e lo distribuisce dicendo: “questo è il mio sangue dell'alleanza che è versato per molti per il perdono dei peccati (Mt 26, 28). Associato al pane che diventa il suo corpo, anche il vino (calice) che diventa il sangue offre un saggio di quella che sarà l'estrema umiliazione di amore di Gesù sul patibolo e dimostra che solo donando se stesso Dio nel Figlio può risollevare le sorti dell'uomo. Il sangue dell'alleanza che espia il peccato una volta per tutte, molto più efficace del sangue delle vittime animali che aveva carattere espiativo solo esteriore.

Solo diventando alimento di vita può appagare la fame insaziabile di verità di cui l'uomo soffre per tutta la vita, e solamente facendo in modo che ciascuno mangi di lui può garantire la sua presenza di Dio e di Uomo Corpo, Sangue e Anima e Divinità in perpetuo. Con questo gesto accompagnato da esplicite espressioni Gesù anticipa quello che avverrà di sé di li a poco, ma soprattutto nelle parole “Fate questo in memoria di me” invita a perpetuare il memoriale della sua morte e della Pasqua nuova e innovativa per ripresentare ogni volta il sacrificio di se stesso e per rendersi costantemente nostro cibo. Un modo di presenziare che sarà un assumere di lui, per poterne vivere per sempre e per comunicare di lui anche ai fratelli.

Il triplice dono che Gesù fa di se stesso non va disperso e non deve trovare aridità di terreno nello spirito umano; esso va accolto con fede, assimilato e vissuto ma soprattutto non può non tradursi nel dono dell'amore vicendevole fra di noi attraverso la concretezza del donare noi stessi agli altri con franchezza e generosità e nel coraggio eroico di opere che attestino l'attualità dello stesso Cristo che ama. “Come ho fatto io, così fate anche voi” dice infatti Gesù invitandoci tutti ad amarci gli uni gli altri e a fare dell'amore il distintivo del nostro discepolato. L'amore e la condivisione realizzano la comunione di cui è capace il Corpo di Cristo di cui ci nutriamo, che, essendo egli stesso Uno e irripetibile realizza nella Chiesa comunione un solo corpo di tante membra.

L'Eucarestia è luogo di ringraziamento e di lode a Dio, di assimilazione dell'attualità salvifica che essa comporta in ogni celebrazione e in ogni Esposizione, nutrimento alimentare di vita e anche comunione con tutti nella vita della Chiesa. La quale non è tale se è priva di questo Sacramento.

L'Eucarestia è quindi l'attualizzarsi e il protrarsi ai nostri giorni del dono che Gesù fa di se stesso ai discepoli nella Cena perché non ne siano soltanto loro i beneficiari, ma perché i suoi frutti possano essere proficui per chiunque vorrà accettarne nella fede la portata e l'efficacia, cioè per chiunque crede (per molti).

E' quindi la vita stessa di Gesù che è data per noi.

 

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