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TESTO Nella nube, Dio c'è.

don Alberto Brignoli  

II Domenica di Quaresima (Anno A) (08/03/2020)

Vangelo: Mt 17,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 17,1-9

In quel tempo, 1Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.

9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Da due giorni, il sole brilla, qui sul nostro altopiano: e la sua lucentezza, resa ancor più intensa dai cumuli di neve rimasti, provoca un forte contrasto con le nubi che, giorni fa, ci hanno portato la prima vera nevicata della stagione. Proprio ora, che la primavera è alle porte.

Ma il contrasto più forte viene dal raffronto con un'altra nube, molto meno visibile ma non per questo meno vera, che come una massa nera degna delle migliori tempeste, si fa sempre più incombente sulle nostre teste, sul capo dell'umanità intera. Una nube spessa e paurosa che, dove arriva, non sai mai come si comporta. Potrebbe scaricare una quantità eccezionale di grandine, fulmini e acqua, così come potrebbe portare solo un forte vento tempestoso, o rimanere per diversi giorni come una sorta di cappa fumosa che non porta a nulla, ma che sai può scatenare il putiferio da un momento all'altro. L'incertezza di ciò che avverrà e di ciò che potrebbe avvenire, proprio questo fa paura, di quella nube: la violenza del suo temporale colpisce, colpirà perché ha già colpito, ma non sai quando, dove e come lo farà. E vivere immersi in questa nube crea un'ansia senza precedenti.

Ci siamo scoperti tutti ansiosi, tutti fragili, tutti incerti, tutti vulnerabili: tutti, anche i soliti gradessi che minimizzano la pericolosità degli eventi, i disfattisti che ritengono che il Medioevo ha affrontato cose peggiori senza che il mondo si fermasse o si isolasse (poco importa a loro se per la peste del XIV secolo morirono decine di milioni di vittime), gli scienziati improvvisati che sanno già che tutto passerà (su quello non ci piove...) e pure i lugubri profeti di morte che hanno già previsto che moriremo tutti (anche su quello, non mi pare ci voglia una laurea per affermarlo...). Di fatto, sono tutte modalità e forme più o meno plausibili e più o meno giustificabili, che dicono solo una cosa: il nostro tentativo di esorcizzare la paura che ci attanaglia tutti, all'entrare in questa nube. E la nube della pandemia ci fa paura perché è uno schiaffo alla nostra efficienza, alla nostra superficialità, alla nostra tracotanza, alla nostra delirante onnipotenza che in queste situazioni ci abbandonano e ci fanno sentire spaventosamente fragili. In fondo, perché noi, nella nube, non siamo capaci di starci. E, ovviamente, neppure lo vogliamo. Ma che lo vogliamo o no, la nube c'è, e ci ha avvolti.

Come ha avvolto i tre discepoli sul Tabor, che per via di una luce sfolgorante entrata nei loro occhi si sentivano talmente forti da poter sfidare la nube, continuando a fare qualcosa perché tutto potesse continuare luminoso come prima, perché quel momento di gloria, di luce e di gioia non finisse mai. E così, un entusiasmo incapace di essere gestito fa nascere le idee più bislacche, come pensare di costruire tre tende per immagazzinare il sole... E allora, arriva la nube ad avvolgerli, e a ricordare loro che se il sole brilla non è per inebriarsene, ma perché possano rallegrarsi della sua luce e accumulare calore per i giorni tristi, bui e freddi, in cui la nube avvolge tutti e fa, ovviamente, paura.

Resilienza: è la parola che risuona di più, in questo periodo. “Starci dentro” senza fuggirvi e senza opporre resistenza, ma anche senza farsi schiacciare. E soprattutto, ascoltando. Perché è proprio in momenti come questi, in cui la nube ci impedisce di usare il senso più prezioso che abbiamo - la vista - che siamo chiamati a sviluppare il senso che, forse, amiamo di meno: quello dell'udito. Non tanto dal punto di vista puramente fonetico (penso al dramma dell'isolamento nelle persone audiolese), quanto dal punto di vista simbolico e sociale: ascoltare ci costa e, spesso, ci dà fastidio. Innanzitutto, perché ci costringe a fare silenzio e a pensare (cosa a cui non siamo affatto abituati): e poi perché una voce ascoltata, all'interno di una nube spessa che ti impedisce di vedere, diventa l'unico punto di riferimento che hai, e ti obbliga alla fiducia e all'abbandono. Per noi che ci diciamo credenti, ti obbliga ad avere fede.

E la voce che esce dalla nube è profondamente rassicurante: non solo perché ci dice che in tutta questa storia è presente lui, il Figlio Amato, che è tutto questo, è anche tutto questo (non nel senso farneticante di chi dice che è Dio che ha mandato il Coronavirus, ma nel senso consolante di un Dio che anche in questo momento non ci abbandona e c'è, lui c'è).

C'è un'altra parola che rende rassicurante quella voce: “Alzatevi e non temete”. Tiratevi in piedi e abbiate coraggio. Non fatevi buttare a terra e abbiate fiducia e forza.
Coraggio, umanità: alzati e non temere. Dio c'è.

 

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