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TESTO Immettersi nel futuro vivendo il presente

padre Gian Franco Scarpitta  

II Domenica di Quaresima (Anno A) (08/03/2020)

Vangelo: Mt 17,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.

9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Guardare in avanti tante volte è di incoraggiamento alla perseveranza nella fatica; concentrarsi sull'ideale da raggiungere e considerare la meta eludendo gli ostacoli nei nostri passi, non di rado ci incoraggia e ci sprona nella fatica. A condizione che questo ideale non ci distolga dalla fatica stessa e dall'impegno presente. Guardare la meta ci incoraggia, ma non ci esime dal camminare verso di essa. E così il cammino spirituale che attualmente viviamo ci viene dispiegato nel duplice aspetto della gloria futura messa a rapporto con le ansie e le fatiche del presente. Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni per mostrare la sua gloria al monte Tabor, nel fulgore delle sue vesti e nella magnificenza del divino che si dispiega ai loro occhi. Essi, nel monte che da sempre nel linguaggio biblico rappresenta il luogo per eccellenza della manifestazione divina, vedono un altro aspetto del Gesù che poco prima aveva annunciato di dover andare a Gerusalemme e che aveva redarguito Pietro con parole forti: “Vai dietro a me Satana.” In quella circostanza infatti Pietro aveva meritato un simile rimprovero, perché aveva mostrato un amore certamente filantropico e premuroso, ma non compatibile con la fede nel progetto divino di salvezza per il quale Gesù era destinato inesorabilmente al luogo della croce. Senza volerlo Pietro si era reso strumento della perversione del maligno che voleva agire sotto apparenza di bene in senso opposto: non condurre Gesù verso il luogo del supplizio in modo che non affrontasse la croce, omettendo così di realizzare il programma d'amore con cui il Padre doveva risollevare in lui le sorti dell'umanità. La croce era la via indispensabile perché si pagasse il prezzo del nostro riscatto; non aderirvi avrebbe avuto significato di disfatta, di mancata corrispondenza alla volontà divina di redimere tutti noi versando il sangue del Cristo; avrebbe contrassegnato il diniego di Gesù all'amore del Padre per noi e avrebbe anche smentito o contraddetto qualsiasi opera d'amore finora compiuta da Gesù stesso per gli uomini del suo tempo e di tutti i tempi. Ecco perché in quel momento si manifestava l'opera del maligno nelle parole di Pietro. Ed ecco anche il motivo per cui Gesù rispondeva perentoriamente ripristinando il primato della volontà di Dio Padre sugli artefatti insinuosi del maligno. Era necessario che andasse a Gerusalemme.

Proprio Pietro però è adesso uno dei astanti privilegiati che sono in grado di capire il vero obiettivo dell'approssimarsi di Gesù sulla croce e lo capisce guardandone l'antitesi, o meglio la concretizzazione di quello che sarà il traguardo finale della croce, ossia la gloria. Nelle vesti candide di Gesù che richiamano del resto l'uomo vestito di lino in Daniele, nella nube che avvolge Gesù sul monte, nella voce teofanica che commenta gli eventi e insieme nelle due figure di Gesù e di Elia, Pietro, Giacomo e Giovanni vedono in Gesù non il viandante verso il patibolo o l'uomo percosso e sofferente, ma il re di Gloria, il Dio grande e indomito Signore prefigurato dalla Legge e dai profeti. Allora soprattutto Pietro comprende che è necessario che Gesù percorra le tappe amare e deprimenti del patimento e della croce, perché quelle sole sono necessarie indubbiamente per il conseguimento della gloria futura. Guardare in prolessi un evento ogni tanto ci è di sprone verso l'evento stesso; avere un preludio della ricompensa ci incoraggia a sostenere la lotta; aver anticipato l'obiettivo ci è di monito a non considerare gli ostacoli. E questa è la pedagogia che ci si offre nel presente itinerario di quaresima: saper cogliere di questa gli aspetti positivi, le garanzie, i buoni risvolti e soprattutto saper valutate con attenzione la sua ricchezza negli obiettivi di gloria che essa contiene, avendo di questi un presagio e un'anticipazione. Tutto questo certamente non ci dispensa dagli impegni e dal peso che inevitabilmente comporta il nostro proposito di spiritualità piena quaresimale, ma ci incoraggia ad assumerne tutte le tappe con maggiore fiducia, coraggio e disponibilità. Avere un'anticipazione di quello a cui aspiriamo, poterne saggiare la bellezza già mentre siamo in cammino, è di ausilio affinché questo cammino sia maggiormente spedito e motivato, incrementa in noi la fiducia e alimenta la speranza e seppure l'obiettivo è ancora lontano ci offre ogni motivazione e ogni conforto perché sappiamo vincere tutte le resistenze e tutti gli ostacoli. Dovremmo sempre guardare all'ideale quando i cattivi esempi o le devianze ci inducono ad abbandonare; dovremmo guardare alla meta quando gli impedimenti e gli ostacoli ci fanno incespicare nel cammino; esattamente come quando non bisogna mai guardare al di sotto quando si cammina su una corsa in bilico su un precipizio. Il futuro del resto si costruisce vivendo il presente e guardando all'orizzonte.

Accettare con fiducia nuovi progetti di vita nella consapevolezza che questi saranno compiuti e che condurranno comunque verso una dimensione certa e ben definita è ciò che anima Abramo a partire dalla sua terra per recarsi in un posto a lui ignoto, ma nel quale è ben consapevole di trovare se stesso e di individuare la sua vocazione e il suo vero orientamento. Dio gli ha fatto una promessa e anche se non conosce i tempi e le modalità in cui essa si realizza, il bravo capostipite della nostra fede si mette in cammino; esce dalla sua terra animato e fiducioso anche se ignaro di dove va. Ciò che lo incoraggia è la compagnia del suo Signore, l'appoggio ineludibile che Questi gli offre e finalmente anche la promessa di benedizione perpetua. Dio non lascia senza ricompensa chi lo serve con sacrificio e senza riserve, così anche Abramo avrà un premio proporzionato alla sua rinuncia in quanto diventerà padre di una grandissima, incalcolabile, generazione.

In ogni circostanza è sempre la fede che anima i nostri propositi, cioè quella virtù per cui si crede, ci si apre e ci si affida al Mistero che si fa per noi e che ci accompagna pur restando Se stesso, cioè mistero. La fede è l'apertura di cuore che si trasforma in affidamento vitale e partecipativo, per il quale non temiamo quando sappiamo di agire secondo il volere di Dio, una volta fatta esperienza personale della sua vicinanza e della sua misericordia. Dio stesso è l'obiettivo della nostra fede e nella comunione con lui si realizza ogni ambito di vocazione e il suo stesso manifestarsi è preludio della gioia e della salvezza che ci si prospettano come dato certo nel futuro e nell'oggi presente.

L'obiettivo della fede e per ciò stesso anche del nostro tempo quaresimale.

 

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