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TESTO E noi siamo entrati?

don Angelo Casati  

Ultima domenica dopo Epifania (anno A) (23/02/2020)

Vangelo: Lc 15,11-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 15,11-32

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Quel giorno, per loro, di parabole ne inventò tre, e una più tenera dell'altra, quella del pastore che di pecore ne lascia novantanove nel recinto per andare in cerca della centesima che si era perduta, perduta, ritrovata; quella della donna che di dieci monete ne perde una, accende la lampada, spazza la casa, perduta, ritrovata; e questa del padre che perde un figlio: "era morto, ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato".

Tre parabole, come tentativo, diremmo, estremo, di convertire, con un messaggio di tenerezza, quelle facce spente, da inquisizione, che gli stavano sempre alle calcagna. Ricordate l'episodio dell'adultera, la scorsa domenica. Per capire le parabole dobbiamo leggere come Luca le introduce: "Si avvicinavano - notate l'imperfetto, era un continuo! - si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori". "Tutti": forse Luca sta esagerando sul numero "tutti". Certo quel "tutti" fa pensare. Erano come attratti: era nata tra lui e loro come un'empatia inimmaginabile, quasi una complicità, imperdonabile per i custodi della legge.

L'introduzione aggiunge: "I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: 'Costui accoglie i peccatori e mangia con lorò. Ed egli disse loro questa parabola". Per chi dunque la parabola? Per loro. E per me. Se sono come loro. Morivano di rabbia quando lo vedevano avvicinare gli inavvicinabili: per loro era contagio tale da rendere chiunque impuro. "Ma come? Ma che cos'è questa sua preferenza?". Quando lo vedevano entrare nelle loro case e da fuori, per le strade, arrivava loro l'eco dell'allegria e della festa, sbiancavano in volto. Di sdegno e di irritazione. Ricordate un particolare della parabola. Che dice come Gesù l'abbia inventata proprio per loro.

Non è forse vero che il figlio maggiore, anche lui, sbiancò in volto, di sdegno e di irritazione, quando gli dissero che la festa, di cui giungeva eco straripante per le strade, l'aveva organizzata proprio suo padre per il fratello che, a suo dire "aveva divorato le sostanze del padre con le prostitute"? E' l'indignazione indispettita di chi, rimasto in casa, fa le sue rimostranze al padre, dicendogli: "Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disubbidito a un tuo comando". Per questo - dobbiamo pur dirlo - erano, e sono, riduttivi, e soffrono di grave amputazione molti commenti che si fermano a parlare - ed è pure uno squarcio di una tenerezza inimmaginabile - del figlio che ritorna, ma perdono per strada l'altro figlio - i fratelli sono due! - quello per cui Gesù ha detto la parabola. Perdono per strada il cuore della parabola che era stata raccontata per lui.

Non so se di noi si può dire "quelli rimasti in casa, quelli che da anni servono Dio e ubbidiscono ai suoi comandi". Una cosa però è certa, che, se mi rimane l'aria del fratello maggiore, è un bel guaio. La parabola infatti è rivolta in particolare a quelli di casa, quelli che faticano a sopportare che Dio stia a banchetto con pubblicani e peccatori senza aver chiesto in anticipo un segno di conversione. E mormorano. E la grande mormorazione continua oggi nella chiesa. E si dice: "Là non dovrebbe andare. E i piedi a quelli non li dovrebbe lavare. E quelli non li dovrebbe ricevere. E tanto meno abbracciare". E ci si meraviglia. E la si considera un'offesa per quelli di casa.

Ecco, perdonate se io, pur potendo fermarmi su un'infinità di altri suggestivi dettagli di questa parabola, mi lascio sorprendere da una domanda forse un po' impertinente, sul clima che si respirava in quella casa e se, dopo i fatti, cambiò il clima. Com'era prima che quel figlio se ne andasse? Parlo di clima percepito. Ebbene non vorrei forzare il testo, ma da alcuni particolari mi sembra di poter intuire che il clima percepito dai figli nella casa fosse un po' quello delle prestazioni, a tanto tanto.

Non è forse vero che il figlio minore rivendica il suo: "dammi la parte di patrimonio che mi spetta"? E poi "Raccolte tutte le cose partì". Le cose... ma la relazione? E il maggiore dei figli: ""Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso". Avete sentito: "ecco io ti servo", un rapporto di servizio, e dunque a prestazione prestazione.

E, in assenza di prestazioni, diventa naturale cancellare ogni rapporto di affetto, è scomparso il nome "fratello". Con il padre il figlio maggiore si esprime così: "Questo 'tuo' figlio, che ha divorato le 'tue' sostanze..." 'Tuo', io non ho più niente da spartire. E quel padre, pensate, che richiama nomi, richiama un clima. Sentite la bellezza delle parole, un clima: "Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato". Ci chiediamo: "E' riuscito quel padre?".

E' riuscito con il figlio minore: ritornato, chiedeva di essere trattato come un servo, e si sente avvolto da un affetto debordante, figlio superamato. A volte mi chiedo se non sia proprio la fuga, il peccato, a farci intuire fin dove arriva Dio con la sua tenerezza, quasi fosse luogo e fessura da cui intravedere il miracolo della misericordia. Ci è riuscito, quel padre, con il figlio maggiore? Rimane la domanda: è entrato o no? Sono entrati quegli scribi e quei farisei o no?

Ha vinto la misericordia o l'intransigenza? Siamo entrati noi? Il pericolo di rimanere fuori si ripropone nei secoli ogni volta che tra noi prevale il giudizio spietato, l'intransigenza, la condanna senza 'sé e senza 'ma'. Ricordo alcune parole, in eccesso di severità - un eccesso che però viene da una delusione sofferta - di Albert Camus, che in un suo libro "La caduta" scrive: "Nella storia dell'umanità c'è stato un momento in cui si è parlato di perdono e di misericordia, ma è durato poco tempo, più o meno due o tre anni, e la storia è finita male". Tocca a noi far sì che quel tempo duri.

Entrando. Entrando nella casa del perdono e della misericordia.

 

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