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TESTO Perdonare per l'amor di Dio

padre Gian Franco Scarpitta  

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XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (11/09/2005)

Vangelo: Mt 18,21-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 18,21-35

In quel tempo, 21Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». 22E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

23Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. 27Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.

28Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. 29Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. 30Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.

31Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. 32Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. 34Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Proprio oggi facciamo memoria di un evento tristissimo avvenuto anni or sono e che non è necessario neppure menzionare, visto che la sua eco negativa si è protratta in tutti i continenti, turbando tutti i popoli e lasciandoci tutti a dir poco perplessi e sbigottiti in merito all'inverosimile di cui è capace la ferocia dell'uomo.

Se si rivedono le immagini sconvolgenti di quell'avvenimento ormai destinato a passare alla storia e si considerano le disastrose conseguenze che esso suscita tuttora soprattutto nella psicologia di tutte le masse, giunge spontaneo pensare alla vendetta e tale sentimento suscita – come di fatto ha suscitato in tutti questi anni – uno stato di inquietitudine generale, poiché si vorrebbero colpire inesorabilmente i colpevoli e gustare la soddisfazione della loro disfatta, possibilmente anche in senso fisico o materiale. Si nutrono sentimenti di rivalsa e a volte di odio nei confronti di chi ha operato tutto quell'orrore e non di rado si è sgomenti finché tali sentimenti non avranno effettiva realizzazione...

Ma è proprio questo l'atteggiamento più consono e conveniente? E' davvero attraverso la vendetta, l'astio, l'acredine che si giungerà da parte nostra a ristabilire il giusto equilibrio di serenità interiore e collettiva?

Certamente, chi è colpevole di simili scempi umani non può dormire tranquillo ed è legittimo pensare che debba essergli inflitta adeguata punizione e, qualora se ne pongano le necessità non si esclude che siffatte persone vengano poste in stato di non nuocere, mentre si tenta di procacciare tutte le soluzioni possibili affinché determinati atti non debbano più ripetersi, vale a dire (stiamo parlando in linea generale) il riconoscimento degli altrui diritti e della dignità umana, il giusto equilibrio fra ricchezza e povertà, la lotta contro l'indigenza economica in cui versano paesi in via di sviluppo e contro il pauroso divario fra nazioni ricche e nazioni povere.

Sottolineiamo ancora che chi ha sbagliato merita di essere penalizzato. Ciò tuttavia affinché si realizzi la giustizia e si ripristini l'ordine che è stato infranto, e tuttavia il senso di giustizia non va' mai confuso con la vendetta e la soddisfazione di personali bramosie, poiché determinati sentimenti non possono far altro che accrescere il malessere interiore, acquendo sempre più il clima di reciproco sospetto per il quale altri conflitti potrebbero esplodere; qualsiasi sensazione di odio e di violenza non sarà mai risolutiva del problema quanto la pena medicinale del reo.

In altri termini, quello che ci si deve prefiggere è la punizione in vista del recupero e del reinserimento di chi pecca nel contesto sociale, nonché la pena finalizzata all'emendazione e alla conversione di chi ha sbagliato, affinché anch'egli, convinto del proprio errore, possa recuperare fiducia e accettazione da parte degli altri. E' appunto questo il concetto di "pena medicinale".

Esso allude alla tematica della liturgia della scorsa domenica, cioè appunto alla volontà divina di riammettere nella comunione della chiesa tutti coloro che hanno sbagliato e per ciò stesso al concetto di correzione fraterna; oggi tali tematiche vengono rafforzate con il tema del perdono incondizionato e disinvolto, da esercitarsi anche nelle situazioni del tipo appena descritto.

Come abbiamo notato, il perdono non può eludere la giustizia né riprovazione; e neppure può escludere, in determinati casi, l'inflizione di pene severe e proporzionate. Ma in tutti i casi, per essere cosa reale, non può non escludere ogni sentimento di rancore, odio, vendetta, e qualsivoglia cattiveria nei confronti di chi ha sbagliato: anche nel punire si deve procacciare il bene del reo, la sua emendazione e il suo rientro presso la comunità dei fratelli e deve essere premura di chiunque evitare che si confonda la giustizia con la vendetta non omettendo amore e considerazione nei confronti di chi ha sbagliato.

Perdonare vuol dire accettare pazientemente il fratello anche nei suoi limiti e nelle sue mancanze, e aspettare che prenda coscienza della sua negatività, offrire a chi ci ha recato danno tutte le possibilità di potersi ravvedere, essere disposti alla riconciliazione con lui tutte le volte che lo si veda ben disposto e gioire con lui quando finalmente lo si è recuperato, non importa quali siano state le sue mancanze. Da osservare ancora una cosa: il perdono è una grossa opportunità per incoraggiare il fratello alla conversione, giacché infonde fiducia ed è di sprone verso la scelta del bene e l'omissione del male; e ancora: ci si sente risollevati interiormente quando si è capaci di rispondere ai torti altrui attraverso concreti gesti di bene (facciamoci caso) piuttosto che con assurde e inconcludenti ritorsioni e atti di disprezzo.

Ma una volta che ci siamo convinti di tutto questo, rimane ancora il problema non indifferente della "difficoltà" del perdono: è inutile negare infatti che perdonare a chi ci fa' del male è tutt' altro che facile, specialmente considerando la rilevanza di determinate situazioni in cui altri ci hanno lesi. Come poter perdonare colui che ha ucciso mio figlio? Come perdonare chi mi usa rancore e odio, rendendomi oggetto di scherno e di continue angherie e cattiverie? Come perdonare quelli che mi hanno tolto il lavoro, la casa, la vita...? Come perdonare gli artefici di siffatte stragi e di eccidi di massa che seminano il terrore in tutte le strade?

L'unica risposta possibile risiede non già nelle congetture o nelle digressioni, bensì osservando l'atteggiamento dello stesso Dio e ancor di più del Dio fatto uomo Gesù Cristo: come afferma la Prima Lettura "egli non ci ripaga secondo le nostre colpe e non ci tratta secondo i nostri peccati", cioè è ben lungi dal reagire secondo l'abitudine dell'uomo perché è un Dio che AMA e nutre misericordia nei confronti di tutti, essendo Padre di ogni uomo che ha creato; la volontà con cui Egli perdona ogni colpa soprassedendo ad ogni mancanza e affermando la sua rinnovata fedeltà agli uomini è determinata dal suo stesso amore di Padre e (in Cristo) di fratello nostro, che avverte premura per la salvezza di tutti.

Ma se Dio perdona i nostri debiti (= i nostri peccati) nel suo Figlio Gesù Cristo Egli ci si pone anche quale emblema di concreto e possibile perdono al prossimo da parte nostra avendo lui perdonato mentre era sottoposto alla persecuzione, al flagello, alla corona di spine, allo sputo e soprattutto mentre sfioriva sulla croce; e da tali attitudini non potrà esentarsi l'uomo, essendo egli oggetto diretto e immediato dell'amore di Dio vincolato con i suoi simili dall'unione dello stesso amore di Dio, e pertanto non può fare a meno di amare il suo prossimo anche nella logica del perdono, tanto più che di fronte a Dio l'uomo stesso è come un debitore insolvente che non potrà mai estinguere il suo debito: un peccatore che si salva soltanto grazie all'intervento esaustivo e riconciliante dello stesso Signore.

Come potrà allora omettere di perdonare agli altri?

 

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