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TESTO Ne caldo ne freddo, ma luce

padre Gian Franco Scarpitta  

V Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (09/02/2020)

Vangelo: Mt 5,13-16 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 13Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.

14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, 15né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. 16Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.

Mi fanno un po' rabbrividire le parole severe che Cristo rivolge nel libro dell'Apocalisse alla chiesa di Laodicea, degna di rimproveri per la sua apatia e abulia, lontana dal fervore e dallo zelo degli esordi: “Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo! Oh fossi almeno tu freddo o caldo. Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né caldo io ti vomiterò dalla mia bocca. Tu dici: “Sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di niente!” Tu non sai, invece, che sei infelice fra tutti, miserabile, povero, cieco e nudo.”(Ap 3, 15 - 17)

Le parole severe dell'Amen (così si proclama Gesù nel testo) condannano severamente la mediocrità di una chiesa che ha abbandonato umiltà e buona volontà nell'orientarsi verso la Parola di Dio, che si compiace di se stessa e che si ritiene autosufficiente. Una comunità ecclesiale tronfia e vanitosa, che si fa forte di presunte certezze ma che in realtà è in se stessa misera, insignificante... tiepida. Non è “né carne né pesce”, “né calda, né fredda”, quindi inutile a se stessa, al mondo e inane e insignificante anche al cospetto di Dio. Si trova nelle condizioni di “tiepidezza”, ossia di mediocrità vana e melense. E' incapace di produttività e di ricchezza evangelica e si accontenta di sopravvivere e di reggersi anziché edificarsi giorno per giorno. Chi vive nella mediocrità vive nell'apatia e nell'indifferenza: non fa del male a nessuno ma neppure si prodiga nel bene. Non arreca fastidio a chi gli sta intorno, ma neppure offre agli altri le risorse che possiede in sé. Non contribuisce con i suoi talenti ad edificare gli altri e non offre alcun contributo. Che utilità può avere agli occhi di Dio una persona o una comunità tiepida e amorfa? Che testimonianza può dare nell'ottica del Regno di Dio chi si contenta della propria autosufficienza e banalità? E' paragonabile per l'appunto a una bevanda non calda né fredda, tiepida. Cioè non piacevole anche se a suo modo dissetante perché una bavanda piace quando è fredda in estate o quando è calda in inverno. Secondo le parole evangeliche di oggi, un soggetto vacuo e banale è paragonabile al sale che ha perso il suo sapore e che a nulla serve se non ad essere gettato: se è collocato a tavola non avvelenerà nessuno dei commensali ma neppure serve ad insaporite i cibi. Meglio buttarlo nella pattumiera.

Dicevo, queste parole mi fanno rabbrividire al pensiero che non poche comunità cristiane al giorno d'oggi si trovano nella medesima situazione di Laodicea, cioè degne di “essere vomitate”, ossia condannate e riprovate perché ormai racchiuse nel guscio della propria sicurezza e del proprio orgoglio, nella presunzione di superiorità e sugli altri e di prevaricazione e soprattutto perché indolenti nell'apportare frutti di testimonianza. Non sono rari i cristiani (e i sacerdoti) che si servono della Chiesa piuttosto che servire la Chiesa e che non danno frutti ciascuno secondo i propri carismi e le proprie possibilità, accontentandosi di restare appunto “tiepidi” e distaccati e per ciò stesso presuntuosi.

L'esempio di Gesù unitamente al suo insegnamento e alla testimonianza di molti testimoni della fede è invece categorico e lapidario: chi dice di dimorare in Cristo de e comportarsi come lui si è comportato (1Gv 2, 6) perché lui ci ha lasciato un esempio affinché noi ne seguiamo le orme (1Pt 2, 21) passo dopo passo, nella coerenza della vita di fede, di speranza e di carità convinte e radicali affinché quanto egli ha vissuto e incarnato venga da noi protratto in tutti i tempi. In parole povere, il cristiano coerente e seguace del suo maestro non si limita a non fare il male, a vivere per conto proprio e a trattenere per se i talenti e i carismi che ha ricevuto in dono, ma è chiamato in ogni circostanza a distinguersi in modo più significativo nel mondo, essendo riflesso di rettitudine, di onestà e di giustizia, testimoniando i valori senza lasciarsi compromettere in senso opposto. Appartenere a Cristo è non conformarsi alla mentalità di questo secolo per comodità o per compromesso (Rm 12, 2), ma procedere controcorrente e battersi per ciò che è giusto e obiettivo. Ma soprattutto, essere discepoli del Figlio di Dio è adoperarsi senza riserve nello zelo dell'amore e nelle opere di edificazione e di carità concreta, anche a livello di eroica abnegazione; non accontentarsi di non nuocere a nessuno, ma piuttosto essere orgogliosi di recare fastidio a qualcuno quando questo comporti la messa in pratica della carità operosa e il procacciamento del bene altrui. Il cristiano ideale è colui che si batte fino allo stremo per la fedeltà, la coerenza e la radicalità, adoperandosi per fare ciò che altri solitamente omettono di fare. Si rileva spesso invece che altri (non credenti) fanno esattamente tutto ciò che dovremmo fare noi.

Come denuncia peraltro il profeta Isaia (I lettura) molto spesso ci si limita a uno sterile ritualismo di formalità liturgiche e di devozioni popolari sterili e a volte degeneranti nel fanatismo e nell'illogico devozionismo.

Per grazia dello stesso Signore non sono mancati tuttavia araldi della vera fede cristiana che hanno protratto le ragioni della credibilità della Chiesa rispolverandone il volto autentico per mezzo di una costante testimonianza di radicalità evangelica e di eroismo edificante che oltrepassa l'accidia, la mediocrità e la presunzione: stiamo parlando di coloro che definiamo i Santi, solerti testimoni del Cristo in tutti gli aspetti della loro vita, anche se ciascuno secondo un particolare dono carismatico. La loro presenza costituisce il riverbero del fondamentale monito di Gesù ad essere riflesso della luce che è Cristo, la quale non può restare occultata o circoscritta, ma necessariamente dev'essere irradiata in ogni luogo per mezzo della nostra testimonianza radicale e convinta.

La luce trova in se stessa la ragione della sua esistenza e della sua funzione e ha tutte le prerogative per esternare la propria utilità: essa stessa è cioè sufficiente a rischiarare. Quando tuttavia la si nasconde o si limita il suo spazio di luminosità se ne banalizza l'efficacia e in essa si spreca un dono inestimabile. Così il cristiano ha già in se stesso, in forza del Cristo a cui è innestato, le ragioni sufficienti della sua utilità di rischiarare il mondo attraverso la testimonianza costante di coerenza e di radicalità.

La tiepidezza non può che essere causa invece della nostra stessa condanna poiché tutti i talenti non messi a frutto possono costituire motivo di severo giudizio per noi.

 

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