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TESTO Commento su Matteo 16,13-20

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XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (21/08/2005)

Vangelo: Mt 16,13-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 13Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». 14Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 15Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». 16Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». 20Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

"...o qualcuno dei profeti"

Alla domanda di Gesù su ciò che si dice in giro di lui i discepoli rispondono che nel sentore della gente c'è un riferimento agli antichi profeti redivivi, tornati per la seconda volta sulla terra. Del resto c'era, nelle tradizioni del popolo di Gesù, qualcosa del genere: si credeva che nei tempi del Messia sarebbero tornati sulla terra anche Mosè ed Elia. Sempre le donne e gli uomini hanno sentito il bisogno di volgersi verso qualcuno inteso come autorevole, hanno cercato maestri, persone capaci di parole orientanti, nelle quali fosse possibile rispecchiarsi, sentir pulsare la vita stessa e il suo segreto. Forse tante persone andavano dietro a Gesù perché percepivano che egli era sulla stessa scia degli antichi profeti, era uno di loro. Di nuovo Dio stava parlando, si stava rivolgendo al suo Israele. E' un bisogno, questo, che viviamo tutti: cerchiamo un punto di orientamento, abbiamo i nostri riferimenti, c'è sempre qualcosa di fondamentale che ci ritorna in mente, più o meno consapevolmente, quando dobbiamo prendere una decisione, plasmare una situazione, impostare un periodo di vita o un rapporto interpersonale. Abbiamo tutti i nostri "profeti". Oggi possiamo chiederci verso chi ci volgiamo, veramente. Chi sono i miei maestri? Da chi vado quando devo chiedere aiuto, o consiglio? Quali saperi attivo, quali idee metto in gioco? Che cosa mi torna in mente nei momenti fondamentali della vita? Insomma: di chi sono, veramente, discepolo?

In questa ricerca di maestri, una ricerca umana, che tutti ci accomuna, alligna però un pericolo: quello cioè che queste persone, invece che aiutarci a vivere, ad essere noi stessi, a farci stare in piedi, ci allontanino dalla vita e dalla nostra individualità, ci leghino a loro in maniera distorta e alienante. Che insomma vivano loro dentro di noi, e non noi stessi. E' la differenza, eterna differenza, tra un buon maestro e un cattivo maestro. Chi davvero sa aiutare un altro, lo aiuta ad essere se stesso, non altro. Lo fa avvicinare alla propria individualità, irripetibilità, perché possa abitare il centro della propria vita.

"Voi chi dite che io sia?"

La domanda di Gesù si fa precisa, chiede ai suoi di venir fuori, di prendersi la responsabilità di una risposta personale, che non si accontenti di ciò che si dice o di ciò che tutti dicono. E' una domanda da vero maestro, che aiuta le persone a rimettersi davanti a se stesse, e non nell'indistinto delle opinioni altrui. Il vangelo ha nei confronti di ciascuno proprio questa capacità: ci aiuta a venir fuori con la nostra precisa individualità, ci rende soggetti attivi, ci fa vivere. La vita cristiana comincia quando io sento la Parola del Signore, contenuta nelle Scritture, rivolta proprio a me, in termini personali, intimi, specifici. Ma ascoltare una parola rivolta alla mia individualità, in qualche modo mi aiuta a percepire che io sono appunto un individuo preciso. Se il Signore parla proprio a me, allora io sono qualcuno!

Se non arriva fino a questo punto, il cristianesimo rimane una tradizione, una consuetudine sociale, un fenomeno culturale, un rito religioso. Prima di giungere a quel punto - anzi - il cristianesimo può diventare anche una anestesia, un tranquillante che mette tutto a posto, più o meno ci fa sentire a posto con la coscienza, e ci chiede di avere una vita tranquilla, senza scossoni, senza che sia coinvolto il mio vero centro esistenziale. Ma dopo quella parola intesa come capace di venire verso di me, cambia tutto. E' a me che il Signore pensa, guarda, parla. E' in me che questa presenza risuona, vibra, respira. Ogni fibra del cuore e del corpo comincia a sentirla, e se ne lascia attirare. E io comincio a vivere la mia fede con una tonalità speciale, che non è quella degli altri, perché io sono una persona particolare, e il Signore mi vuole in un rapporto particolare con sé. Gli insegnamenti di Gesù mi aiutano a pensare, risvegliano la capacità di riflettere e di portarmi dentro delle domande, di cercare le risposte. Il suo esempio chiede dentro di me di rivivere nelle situazioni della mia vita, nelle quali provo a ripetere creativamente il suo modo di esistere. Le sue parole diventano un orientamento aperto ad infinite modulazioni e declinazioni, radicate in lui ma capaci di portarmi lontano, dove mai sono stato. Certo, una condizione è necessaria perché tutto ciò avvenga. Nel vangelo infatti si dice che questa seconda domanda Gesù la rivolge ai suoi discepoli, a gente cioè che si era mossa, aveva preso delle decisioni, gli era andata dietro, aveva camminato. Insomma a gente viva, libera, che non aveva rinunciato a decidere la direzione del proprio cammino esistenziale facendo cose nuove, aveva saputo mettere delle distanze da qualcosa e delle vicinanze verso altro. Anche per noi è così: il vangelo può risuonare come parola personale se siamo vivi, se abbiamo orecchi allenati ad essere tesi, occhi sgranati sulla realtà, un cuore sensibile e pronto a lasciarsi toccare dagli avvenimenti, una coscienza nella quale accorgersi delle vibrazioni e dei sentimenti, che non si accontenta di aver trovato un profeta esterno, fossero anche Elia, o Geremia, o il battista, a cui demandare il gusto e le responsabilità della vita, rinunciando ad averne di propri. Il vangelo di Gesù deve trovare una persona viva, per poter diventare una parola viva. Chiediamoci, oggi, se è così. Se siamo ancora vivi. Se abbiamo un rapporto vivo con Gesù Cristo.

"E le porte degli inferi non prevarranno contro di essa"

Questa espressione, che sembra avere una tonalità quasi cupa, che lascia intravedere scenari di guerre e contrapposizioni, è in realtà una grande parola di speranza. Oggi ci ricorda che non c'è nulla di più potente, nell'universo, dell'amore di Gesù Cristo per l'umanità. Nella mia vita possono succedere tante cose, e di fatto succedono, ma il regno dei cieli ormai iniziato con la vita di Gesù non può più essere fermato, neanche all'interno dei miei giorni. E se il regno dei cieli è quello in cui ognuno può essere se stesso, aiutato dal vero maestro che è Gesù, questa realtà non può essere vinta da nessuna alienazione. Certo, ci sono nell'esistenza di ciascuno condizionamenti, ma con l'aiuto del Signore essi possono essere infranti. Ci sono libertà a metà, ma pian piano seguendo il vangelo possono essere riattivate; maestri falsi, che però alla luce degli insegnamenti evangelici possono essere smascherati ed abbandonati. Del resto, chi di noi vive libero senza portare le conseguenze di ciò che gli è capitato? Di ciò che gli hanno fatto? Egli errori che ha commesso? Eppure in mezzo a questa intricata trama di nuovo può infilarsi vita, e vita vera. Persino io posso essermi stancato di me stesso, e non avere più nessuna voglia di affrontare l'avventura bella e difficile di essere me stesso. Ma anche questa ultima, pesante stanchezza può essere vinta dal regno di Dio presente in me, dal Signore presente in me. Colui che mi parla, rivolgendosi a me personalmente, è capace sempre di risvegliare la mia individualità, la mia voglia di vivere, la mia libertà. Davvero Cristo può orientare il senso della nostra vita. Davvero Cristo può umanizzare la nostra vita, può aiutarci ad esserne i soggetti, può renderla sempre più libera. Niente e nessuno è più forte della sua volontà amante di venirci incontro. Questa è la fede che nasce dall'ascolto di questo versetto di Matteo, in questa domenica, che può illuminare il nostro cammino ridandogli slancio e speranza. Non c'è inferno che sia l'ultima parola, né fuori né dentro di noi. Mai.

Commento a cura di don Gianni Caliandro

 

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