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TESTO Vita nella resurrezione

don Luca Garbinetto  

XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (10/11/2019)

Vangelo: Lc 20,27-38 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 20,27-38

In quel tempo, 27si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: 28«Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. 29C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30Allora la prese il secondo 31e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. 32Da ultimo morì anche la donna. 33La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». 34Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Forma breve (Lc 20, 27.34-38):

In quel tempo, disse Gesù ad alcuni8 sadducèi, 27i quali dicono che non c’è risurrezione: 34«I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

La resurrezione esiste! Va detto, con forza. È l'assoluta novità del cristianesimo, è la rivelazione sconvolgente di Dio in Gesù. Annacquare questa verità significa ridurre il Vangelo a insensatezza o vanità, come aveva ben capito Paolo. E chissà che l'insignificanza dei cristiani nel mondo secolarizzato non sia direttamente connessa proprio con la perduta coscienza di questa realtà travolgente.

In altri termini, la vita non finisce qui. Ma nemmeno trova qui, su questa amatissima ma fragilissima terra, il suo senso più profondo. Vi è una promessa, insita nel cuore di ogni uomo e ogni donna che viene al mondo, che invoca eternità e totalità. La resurrezione dei morti ne è il compimento!

Abbiamo urgente bisogno di riscoprire tale potenza di salvezza, perché l'umanità non è assetata di una felicità passeggera, fatta di un certo benessere in più, pur condiviso e distribuito fra tutti, né tanto meno di una pacifica serenità, forse in qualche modo artificialmente costruita. L'umanità vuole vivere, ogni creatura umana vuole vivere! E vuole vivere per sempre!

Gesù annuncia a tutti che questo desiderio, intriso di nostalgia e intrecciato con una agguerrita speranza racchiusa nell'anima, viene realizzato da una fedeltà: quella di Dio, che è alleato affidabile.

Ma perché è così duro crederci? Perché, scettiche come i sadducei, artisti della religiosità materialista e ideologica, molte persone, anche semplici, cadono in una sorta di fatalismo malinconico o si rifugiano in pratiche e pensieri pseudocristiani, che anestetizzano l'ansia di Paradiso che portano dentro?

Probabilmente, la questione sta proprio lì. Nella capacità di abitare la sete di acqua zampillante, non ancora conosciuta e goduta appieno, fintantoché il nostro fragile vaso di argilla naviga ancora fra le onde del mare terreno. Abbiamo sete, ma abbiamo paura di cercare e non tolleriamo la sofferenza dell'assetato. Chissà, sarà che l'abitudine di non parlare più della Fonte ha spento anche la tensione entusiasmante e il coraggio fiducioso di chi vorrebbe, ma non si sente capace.

Gesù restituisce con decisione alla Promessa dell'Antica Alleanza tutta la sua carica di annuncio e preparazione della rivelazione definitiva. Ai patriarchi si è rivelato il Dio vivente, e così li ha resi vivi. Ed essi in questa Vita permangono, perché in fondo di questo si tratta: la risurrezione è vita, Vita con la V maiuscola. Vita per sempre. Vita totale.

Ma se è così, ciò significa accettare di essere sempre debitori, poiché nemmeno Gesù ha potuto dare a se stesso questa Vita. È il Padre che lo ha risuscitato. E per partecipare del dono, c'è da accettare di essere figli debitori. L'eredità non si conquista, si riceve per grazia.

I sadducei, come tutti i cinici o gli sfiduciati di questo mondo, in realtà temono il rischio di perdere il controllo della propria vita. Preferiscono tenerla in mano, o farsene l'illusione: così trattano le donne, la moglie, come merce da scambio; trattano la prole, il dono dei figli, come diritto e proprietà da garantire; trattano le relazioni affettive, l'amore, come una questione di contabilità e di precedenze. Come se, nel donarsi all'altro, vincesse chi viene prima. O come se il dono si potesse programmare, a mio gusto e piacimento.

La resurrezione scardina un sistema di rapporti, una dinamica famigliare, una struttura sociale, un pensiero religioso degni soltanto degli schiavi, che si camuffano da padroni, ma che in realtà hanno paura della Vita. E vivacchiano, sopravvivono, dietro maschere di teorie sottili e apparentemente ragionevoli, ma in realtà vuote e meschine. Il materialismo, che abbassa l'uomo alla stregua degli animali, è offesa alla bellezza insita nel cuore di ciascuno di noi.

La resurrezione, invece, afferma ciò che siamo: creature limitate, ma pro-iettate (gettate in avanti) verso l'eternità. In Dio, noi non moriremo mai. Ma non dipende dai nostri guadagni, da una meritocrazia affettiva o legalista. La resurrezione è il modo di vivere del Cielo. E in Cielo i rapporti non sono tolti, ma aumentati. L'amore non è spezzato, ma portato a compimento. Il cuore non viene ridotto, ma dilatato. Infatti, non ci saranno più né moglie né marito, ma non per privazione, bensì per eccedenza: in Cielo sapremo amare tutti alla maniera di Dio, come Lui ama noi, cioè in pienezza.

Quel desiderio intimissimo di sapersi dare tutto e per sempre a una donna, o tutta e per sempre a un uomo, condizione essenziale perché il matrimonio sia sacramento che genera vita nei figli e nella società che si relaziona con la coppia, si compie in pienezza solo dentro l'abbraccio definitivo della Trinità. Qui, l'esperienza della bramosia d'amore, inseparabilmente gratuito ed erotico, si manifesta dentro i confini di una relazione esclusiva e totalizzante, sperimentando, proprio nei limiti ed anche negli errori, la tensione di incompiutezza. Là, l'incontentabile ardore di chi ama troverà ristoro perché sarà abilitato a lasciarsi colmare oltre ogni misura dalla Fonte stessa e di consegnarsi senza più ostacoli quale sorgente di acqua che zampilla.

La vita, dunque, è sacramento di tanta bellezza. Ma lo è perché esiste una Vita che ne è compimento. In corpo, anima e spirito. Di questo la resurrezione ci restituisce tutta la bellezza!

 

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