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TESTO Commento su Luca 20,27-38

fr. Massimo Rossi  

XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (10/11/2019)

Vangelo: Lc 20,27-38 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 27si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: 28«Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. 29C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30Allora la prese il secondo 31e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. 32Da ultimo morì anche la donna. 33La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». 34Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Forma breve (Lc 20, 27.34-38):

In quel tempo, disse Gesù ad alcuni8 sadducèi, 27i quali dicono che non c’è risurrezione: 34«I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Sui morti non si scherza! I Sadducei ci scherzano eccome!...

Nell'ormai lontano 1954 il regista americano Stanley Donen diresse un film musicale diventato famosissimo, dal titolo: “Sette spose per sette fratelli”; si sarà forse ispirato al Vangelo di oggi?

Questa storiella dell'unica sposa che si unisce in matrimonio a sette fratelli e li seppellisce tutti e sette, è un vero affronto alla dignità e alla delicatezza del tema cosiddetto di “finevita”; sappiamo già che il termine (finevita) può essere inteso come “la fine della vita”, o “il fine della vita”: entrambi alludono alla morte. La prima interpretazione - “fine” di genere femminile - corrisponde alla visione laica della morte; la seconda rappresenta invece la visione cristiana della morte.

Non ci vuole una laurea per intuire quale profonda differenza intercorra tra i due modi di intendere la parola “fine”, puramente temporale, fuori da un discorso di fede, o sostanziale, secondo la visione cristiana della vita, della quale, la morte è parte integrante.

Qualche parola sul motivo per il quale i sadducei costruiscono ad arte questa caricatura del matrimonio, in ossequio alla Legge di Mosè: la questione dei figli che la moglie del primo marito “deve” dargli, a costo di sposare uno dopo l'altro tutti i cognati, risponde ad un principio antropologico, prima che religioso: un figlio costituisce l'unica soluzione di ordine naturale per assicurare una posterità, un seguito, un avvenire alla vita fisica, segnata dalla morte, destinata cioè a tornare cenere e polvere, per citare ancora la Bibbia (cfr. Gn 3,19).
Non si tratta di egoismo!...non soltanto.

Si sente dire spesso, in occasione dei funerali, che un figlio riceve dalle mani del genitore defunto, un pegno, un testimonio d'amore, e lo porterà fino a quando, lui stesso lo consegnerà al figlio in punto di morte... e così, fino alla fine; similmente alla corsa a staffetta, nella quale ogni atleta non corre solo per sé ma per l'intera squadra; e colui che materialmente taglia il traguardo, lo taglia a nome suo e dei compagni di squadra. È la squadra intera che vince!

Mi sembra una immagine bella e significativa del vincolo di amore che lega le generazioni e che alimenta il desiderio di paternità e di maternità dei coniugi. Al tempo stesso, con tutto il rispetto per questo desiderio sacrosanto, bisogna ricordare e riaffermare con altrettanta decisione che un figlio non è un diritto, dunque non si può pretendere, ricorrendo, nel caso, ai metodi che la scienza mette a disposizione...

Il rapporto tra natura e tecnica è assai delicato; non tutto è lecito, solo perché oggi è possibile.

Ma questo discorso ci porterebbe lontano dal significato del Vangelo, il quale parla sì di figli e di posterità, ma è sostanzialmente centrato sul tema della risurrezione dei morti.

Gesù vuole sfatare la convinzione che la risurrezione sia (soltanto) l'annullamento degli effetti della morte, e consenta alla vita di riprendere, secondo le condizioni tipiche della vicenda terrena, nella quale, lo sappiamo le relazioni intraumane - vincoli di sangue, legami familiari, rapporti di amicizia,... - costituiscono l'aspetto più importante; quasi che la risurrezione fosse una proiezione, un prolungamento della vita terrena. Non mi sentirei di censurare del tutto il rifiuto dei sadducei del dogma in oggetto, a motivo delle immagini sull'aldilà presenti nella tradizione dei farisei; e forse presenti anche in certa cultura cristiana. E tanto per essere chiaro, la risurrezione di Lazzaro e quella di Cristo non sono la stessa cosa. Mi sembra quasi banale ricordarlo... ma, ascoltando che cosa pensano e dicono molti cristiani al riguardo... non fa male mettere i puntini sulle ‘i'...

Rispondendo all'obbiezione dei sadducei, Gesù si serve del linguaggio apocalittico, e distingue il mondo presente da quello futuro, sottolineando la radicale diversità, rispetto al presente, del futuro che Dio ha preparato per i giusti.

I giusti partecipano della vita di Dio, senza più la minaccia della sofferenza e della morte.

La meta finale della speranza cristiana è l'esplosione della vita di figli, i quali, in forza dell'intima comunione con Dio, sono per sempre strappati alla morte.

Per questa vittoria sulla morte, trionfa la libertà dalla preoccupazione di attenuare, se non addirittura vincere, la paura della morte mediante il matrimonio e la generazione (dei figli).

Non si può escludere che san Luca vedesse nell'insegnamento di Gesù un invito a scegliere lo stato di verginità per il regno di Dio; anche san Paolo, sappiamo, riteneva che la verginità fosse una condizione migliore del matrimonio... E forse è per questo che nei “primi” 19 secoli della Chiesa, i Santi erano quasi tutti preti e suore...

L'accenno che Gesù fa sull'episodio del roveto ardenteepisodio del roveto ardenteepisodio del roveto ardente è volto a ribadire, con tutta la Sua autorità di Messia, che il Dio dei Padri è il “vivente”, e mantiene con i giusti una relazione più forte della morte.

In forza della fede ricevuta nel Battesimo e alimentata dai sacramenti, noi credenti partecipiamo a questa comunione vitale con Dio, che niente e nessuno può interrompere, neppure la morte.

È su questa certezza che Gesù, anche Lui, affronta la Passione, e la morte.

Un'affermazione del genere potrebbe sembrare blasfema, una smentita della natura divina di Gesù. Ma non è così!

La speranza che il Signore nutrì sulla croce e che lo salvò dalla tentazione della disperazione - “Eloì, Eloì, lema sabactani!” - è la stessa speranza che nutriamo noi sul letto di morte - che Dio ci assista...e pure Maria Sua Madre! -.

In forza di questa speranza, il Crocifisso pronunciò le sue ultime parole: “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito”. Detto questo, emise lo Spirito, cioè mandò lo Spirito Santo nel mondo, sacramento reale ed efficace della Sua completa riconciliazione con gli uomini e con tutto ciò che viveva, vive e vivrà.

 

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