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TESTO Con pupille dilatate

don Angelo Casati  

I domenica dopo la Dedicazione (Anno C) (27/10/2019)

Vangelo: Mt 28,16-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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16Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Oggi, giornata missionaria mondiale, è giorno in cui dilatare occhi e cuore. Al mondo. Mi risuona dentro l'invito del profeta: "Allarga lo spazio della tua tenda, stendi i teli della tua dimora senza risparmio, allunga le cordicelle, rinforza i tuoi paletti, poiché ti allargherai a destra e a sinistra" (Is 54,2-3). Allarga dunque, allunga, stendi, dilata. Senza risparmio, senza accorciare. E a dilatare gli occhi e il cuore - vorrei dirvi - anche il luogo delle ultime parole di Gesù, le ultime secondo il vangelo di Matteo: un monte, il monte in Galilea, quello che le donne avevano loro indicato. Perdonate, è solo una mia suggestione: dal monte guardi lontano, non sei imprigionato, negli occhi, da pareti di case, come in città.

E voi ve li immaginate gli occhi di Gesù sul monte? Dove andavano? Dal volto dei discepoli a sconfinare lontano. Ma anche le sue parola sconfinavano. E sono giunte sino a noi questa mattina. Sconfinamento di terre e di tempi. Di terre: "Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli". E sconfinamento di tempi: "Ed ecco, io sono con voi fino alla fine del mondo". Ultime parole di Gesù secondo Matteo. Le ultime consegnate sul monte. Bellissime: "Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo". E' come se ci aprisse gli occhi a una sua diversa presenza, nuova: per lui vera, per noi da ricordare. "Ma come?" - ci verrebbe da dire - "Non lo vediamo". Parole - queste di Gesù - che a mio avviso suonano come una smentita clamorosa a un nostro detto: "Lontano dagli occhi, lontano dal cuore". Brutto proverbio.

Che trova smentite quando ci si ama: lui, lei sono lontani, ma è come se si ti sedessero vicini, come accucciati in te. Lui guardava dal monte, guardava la terra: gli occhi cancellavano distanze. E dunque tu non mettere distanze tra noi e lui. E' con noi. Come questa mattina quando ascoltavamo le sue parole o come tra poco quando prenderemo il suo pane, o come quando ci accorgeremo di qualcuno e lui a dirci: "Ti sei accorto di me. Quello che hai fatto a lui, l'hai fatto a me. Io ero presente. Sono con voi". E' in questa luce che noi oggi celebriamo la giornata missionaria: allargando le visioni dal monte. E, allargando, abbattiamo un primo pregiudizio: che i missionari, i mandati, siano solo quelli di cui un tempo dicevamo che "andavano in terra di missione".

Oggi terra di missione è ogni luogo. Terra di missione, cui sentirci mandati - perché l'amiamo - è la nostra città, è la nostra casa. E abbattiamo anche un altro pregiudizio: che evangelizzare sia indottrinare, salire sui pulpiti, fare omelie. O forse sì "fare omelie", se al verbo "fare omelie" restituiamo il suo significato originario, che è "fare racconti". Le prediche - che dovrebbero comunque essere racconti - toccano ai preti. Fare racconti invece è di tutti. E non ci vogliono pulpiti per fare racconti, non ci vuole come linguaggio l'"ecclesialese" per fare racconti. Perderebbero di freschezza, di intensità. E che grazia che la traduzione, che abbiamo tra le mani, abbia ovviato a una distorsione delle versioni antiche che traducevano "Andate e ammaestrate". No: "Andate e fate discepoli": raccontate di Gesù, della sua vita, delle sue parole. che fanno vivere, fate che altri lo seguano. Innamorate donne e uomini di lui. E dove raccontare? Dove vivete, dove le persone si fanno domande. Partite dalle domande, dalla vita. E' dalla vita che nascono domande, quelle che non hanno età.

E chi sono io? E chi è l'altro per me? E che ci sto a fare? E che cosa è avere successo? E la trasgressione? E che cosa facciamo di questa terra? E che cosa è nascere, che cosa è soffrire e morire? E perché si deve morire in trentanove in un container frigorifero? E che cosa sta all'origine dell'orrore? E perché questo ci sta a cuore o non ci sta a cuore? E dove vanno le passioni? E perché una canzone, un concerto, fanno vibrare le moltitudini? E che cosa alla fine cerchiamo? Che cosa è amare e innamorarsi? Le domande. Il vangelo ha a che fare con le domande. Il vangelo nelle domande. Le domande mettono in cammino. Le definizioni ci fanno immobili come i monumenti. Le domande della strada.

Forse ricordiamo la domanda dello sconosciuto, un pellegrino, Gesù, sulla strada avvolta dalle ombre della sera, in direzione Emmaus: "Che cosa sono questi discorsi che state avendo tra voi lungo il cammino?". O la domanda di Gesù alla sua amica, Maria di Magdala, uscita di casa quando ancora era buio, con il cuore in gola, presso la tomba vuota: "Donna, perché piangi? Chi cerchi?". Portare dunque il vangelo, scesi dal monte, nelle domande. Alla ricerca di un senso. E ora, sulla missione di "fare discepoli" vorrei aggiungere un'ultima notazione.

Raccontate il vangelo con la incrollabile convinzione che le persone che incontrerete non sono il vuoto: riconoscete - insegnava il Card. Martini - che lo Spirito vi ha preceduto. Voi mi capite, lontani da fanatismi che fanno ciechi gli occhi. Con pupille dilatate. A scoprire tracce. Un mio amico prete, don Luigi Pozzoli, era soito citare un detto bellissimo del vangelo copto di Tommaso: "Spacca il legno e io sono là, alza una pietra e lì mi troverai". Pupille dilatate.

Giorni fa, sulle pagine di un quotidiano, Massimo Granellini raccontava: di due ignoti inquisitori che, entrati in una chiesa alle porte del Vaticano, hanno rubato tre statuette degli Incas raffiguranti la fertilità e le hanno scaraventate dal ponte di Castel Sant'Angelo. Le tre donnine lignee con il pancione non facevano parte di una cospirazione demoniaca, ma di una mostra organizzata da alcuni vescovi sudamericani. E non incarnavano un idolo malefico, ma un simbolo universale, la Madre Terra. Ed ecco il commento: "Forse è colpa mia: non sono abbastanza intelligente, o arrabbiato, per scorgere dietro tre innocue statuette un attacco ai bastioni della cristianità... esistono ancora persone convinte che la verità sia la cima di un monte raggiungibile solo dalla propria cordata, anziché una piazza a cui si può accedere da strade diverse. Persone convinte che si possa avere ragione solo se tutti gli altri hanno torto".

Leggevo e pensavo al monte di Galilea. E al comando di scendere. Verso le piazze dell'umanità. Con pupille dilatate.

 

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