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TESTO Lo sguardo penetrante e delicato del perdono

don Mario Simula  

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (27/10/2019)

Vangelo: Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Dio ama la preghiera. La ama talmente da sentirsi proteso sempre verso colui che, nella sua povertà e nella sua persecuzione, lo invoca. Dio ama la preghiera quando rivela la semplicità di cuore, l'umiltà della vita, la freschezza della confidenza di chi si rivolge a lui. Dio ama la preghiera. Non fa preferenza di persone e non gira la faccia dall'altra parte davanti al povero, all'orfano, alla vedova che si lamentano, chiedendo giustizia, con l'unica arma che è tra le loro mani.
Dio, amando la nostra preghiera, ama teneramente coloro che gliela rivolgono.
Chi lo prega deve, tuttavia, essere se stesso davanti a Lui: con la sua vita, con le sue prove, con i suoi peccati, con le sue incoerenze, con le sue infedeltà.
Dio ama chi prega. Chi prega con animo umile e si sente spinto a corrergli in aiuto.
L'invocazione semplice arriva fino alle nubi, le oltrepassa fino ad arrivare a ferire il cuore di Dio.
Chi prega con il cuore spezzato e da povero, sa rivolgere a Dio una preghiera instancabile. Sa che l'Altissimo interviene per dare gioia e consolazione ai giusti che possono contare soltanto sulla preghiera, per rendere visibile la loro dignità agli occhi di chi sistematicamente la calpesta.
Dio ama la mia preghiera. Sa da quale cuore scaturisce. Sa che può essere, a volte, inquinata. Sa che, in certi momenti, è un grido di disperazione, una pretesa arrogante. Eppure Dio la ama. Lui scruta e conosce in profondità fin nelle viscere il mio cuore. Dio sa bene quale è il sapore delle mie grida verso di Lui.
Non può certo pretendere di essere ascoltato da Dio chi ha la presunzione di essere giusto e disprezza gli altri.
Gesù lo dice ponendo davanti ai nostri occhi uno squarcio di verità: i tratti e gli atteggiamenti del cuore dell'uomo che si rivolge a Dio.
Il fariseo sale al tempio per pregare. Si accorge solo di se stesso. Sta in piedi, impettito, con l'occhio altero. Dal suo cuore distilla una preghiera assurda che non è un'implorazione, ma un'ostentazione di sé: “Ti ringrazio Dio perché non sono come gli altri uomini: ladri, ingiusti, adulteri”. La sua preghiera è una maschera buffa e orribile. Ha la pretesa assurda di pregare Dio, ritenendosi migliore di Dio.
Le nostre comunità, hanno bisogno di essere purificate da questo tipo di preghiera. Erige un ostacolo insormontabile davanti al cuore di Dio.
Il fariseo ha anche con chi paragonarsi: con un povero pubblicano, anche lui salito al tempio per pregare. Cosa può dire di buono un pubblicano? Il fariseo digiuna due volte alla settimana e paga le decime. Un pubblicano cosa può pretendere, cosa può vantare davanti a Dio?
Il pubblicano è fermo, a distanza, in fondo al tempio, non riesce nemmeno ad alzare gli occhi verso il cielo, sa battersi il petto con dolore e pentimento: “O Dio abbi pietà di me peccatore”.
Se queste due figure di oranti non dicessero nulla, parlerebbe l'atteggiamento del loro corpo.
Dicono però qualcosa: il fariseo prega esaltando, scioccamente se stesso. Il pubblicano prega riconoscendo, come un povero mendicante, la sua miseria e implora la misericordia di Dio che lo ascolta.
E' triste salire al tempio, illudersi di pregare Dio e ritornare a casa con un peccato in più.
E' gioioso, commovente, incoraggiante, salire al tempio e prostrarsi con la propria indegnità davanti a Dio per dirgli: “Guardami Signore, sono un peccatore. Sono un nulla se Tu non mi abbracci e non mi perdoni. Resto un miserabile se Tu, Dio, non ti pieghi per raccogliermi, nonostante la zavorra dei miei peccati”.
Gesù, quando ci parla è, a volte, lapidario. E' deciso. E' tagliente.
Queste sono le sue parole chiare: “Chiunque si esalta sarà umiliato. Chiunque si umilia sarà esaltato”. Senza commenti. Senza distinguo. Spetta a ciascuno di noi scegliere la qualità della preghiera, che non è solo una forma, ma un atteggiamento dell'anima. Spetta a ciascuno di noi decidere quale preghiera vuole essere davanti a Dio.

Gesù, ho letto con commozione quanto Paolo scrive al suo amico-figlio Timoteo. Nelle sue parole, ho visto uno sfondo: la storia di un uomo che ti aveva perseguitato. Oggi lo scopro, avanti negli anni, consumato dalla prova, stanco dalle tante battaglie, ma saldo nella fede. Ha la certezza che, per tua grazia, la sua vita è stata così intensa da non dubitare, nemmeno oggi, che tu lo libererai da ogni male e lo porterai in salvo nel tuo Regno.
Gesù, pensando a Paolo, comprendo il tuo insegnamento sulla preghiera.
Mi sento vergognosamente ipocrita. Mi sento, non una maschera, ma mille maschere studiate per occultare quale è la qualità del mio cuore.
Gesù, strappa, ad una ad una, queste maschere. Conducimi per mano attraverso i meandri dei miei peccati. Come tu mi scruti e mi conosci, dammi la grazia di scrutarmi e di conoscermi.
Gesù, questa è la grazia che imploro, piegato per terra, battendomi il petto. Cosa posso pretendere da te se non la grazia più sublime: conoscermi senza deprimermi, conoscermi senza fuggire, conoscermi senza nascondermi la verità, conoscermi come tu mi conosci.
Gesù, il giorno nel quale avrò maturato, per grazia tua, questo atteggiamento nel mio cuore, scoprirò il tuo amore. Capisco che non è vero che ti ama chi non pecca. E' vero che ti ama chi, anche se pecca, crede pazzamente nel tuo amore.
Gesù, se me ne dai il dono, scelgo di essere il pubblicano. Peccatore. Titubante. Incerto se possa parlare o meno con Te.
Se me lo permetti scelgo di essere il pubblicano ostinatamente fiducioso. Non si perde d'animo. Ti grida la sua miseria. E tu lo ami.
Gesù, ho consapevolezza di tutte quelle esperienze che ti nascondo come un bambino che crede di scomparire perché si copre gli occhi con le mani. Tu sai tutto di me. Io non voglio sapere.
Gesù, la mia è una strada che non porta all'amore, finché non mi arrendo al tuo amore.
Gesù sono peccatore. Non è una novità per Te. Posso permettermi di andare oltre? Voglio dirti: “Io Gesù, sono peccatore: è vero. Tu abbi pietà di me, abbi pietà di me. Infinite volte: abbi pietà di me. Sono peccatore.
Mi accorgo che mi guardi intensamente. Io mi trovo davanti a te a scrutare i tuoi occhi e a decifrarne le parole e a coglierne i sentimenti. I tuoi bagliori mi dicono: fidati, amami, non fuggire dall'amore del mio sguardo”.


Don Mario Simula

 

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