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TESTO La preghiera vera e sincera del pubblicano, la preghiera falsa e inautentica del fariseo

padre Antonio Rungi

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XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (27/10/2019)

Vangelo: Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

La parola di Dio di questa XXX domenica del tempo ordinario si pone sulla stessa scia di quello di domenica scorsa, quando Gesù parla della necessità di pregare.
E di preghiera si parla nel brano del vangelo di Luca, in cui ci viene presentato la parabola del fariseo e del pubblicano. Alla preghiera vera del pubblicano che si batte il petto, in fondo al tempio e chiede misericordia a Dio per i peccati commessi, fa riscontro, e si pone in netta opposizione la preghiera falsa ed autoesaltante, fatta dal fariseo davanti all'altare del tempio. Preghiera esposta con alterigia, presunzione ed arroganza di essere la persona più esatta e perfetta di questo mondo.
Farisei e pubblicani sono l'esatta fotografia del nostro tempo, basata sulle apparenze e sull'esaltazione della propria personalità, di fonte alla condizione misera di tante persone umili, semplici e capaci di riconoscere i propri limiti, come il pubblicano che si batte sinceramente il petto in segno di pentimento e di volontà di conversione.
Gesù chiude la sua riflessione su questa parabola affermando una cosa molto importante ed è quella della giustificazione davanti a Dio: il fariseo è condannato, in quanto si esalta e osanna se stesso, esce dal tempio in pessime condizioni spirituali ed interiori, perché non ha pregato con cuore sincero e puro, ma ha esaltato se stesso davanti a Dio, dimenticandosi della pochezza del suo essere, del suo pensare e soprattutto del suo agire, fatto di formalismi ed osservanza esteriore della legge, incapace come è di andare oltre quello che è la sola componente dell'apparire.
Dall'altro lato Gesù comprende, perdona e pone come esempio da imitare, per una sincera conversione, quello del pubblicano che in fondo al tempio si batte il petto e chiede perdono per ricominciare una vita nuova, una vita diversa, una vita alternativa a quella menata fino a quel momento, riscuotendo tasse a nome dell'impero romano e vessando i contribuenti, suoi connazionali.

Mi sembra lo scenario di tanti governi dei nostri tempi che impongono e riscuotono dalla povera gente, mentre chi sta al potere è accorta a non tassare quanto è nell'orizzonte dei propri guadagni ed utili.
C'è legittimamente da chiedersi: quando i sistemi monetari si convertiranno alla giustizia sociale?
Per capire bene il testo del vangelo di questa domenica, noto a chi frequenta o non frequenta la chiesa, bisogna esaminare i personaggi messi in scena da Gesù in questo racconto di vita quotidiana o di vita vissuta che Egli stesso ha osservato e potuto poi fissare in questa lezione di vera religiosità.
Il fariṡèo chi era e chi è? Il termine indica propriamente «separato». Costui era un Membro di una setta religiosa e politica ebraica, sorta nel 2° sec. a. C. e dominante fra i partiti del giudaismo negli ultimi tempi dell'età precristiana, contraria ad ogni influsso straniero sulla legge, di cui predicava una rigorosa osservanza; la setta fu condannata da Gesù e dal cristianesimo primitivo per il suo eccessivo formalismo, ma bisogna riconoscere il merito ch'essa ebbe nell'aver affrontato lo studio dei testi e della tradizione biblica e di aver così trasmesso all'umanità un grande patrimonio culturale, che nella Bibbia ha il suo fondamento.
Nella opinione comune con il termine fariseo si indica un uomo falso, ipocrita, che guarda più alla forma che alla sostanza delle azioni. Questo significato acquista valore in seguito alle invettive di Gesù contro i farisei, di cui parlano gli evangelisti, particolarmente Matteo.
Chi era e chi è invece il pubblicano? Il termine pubblicano indicava nell'antica Roma, l'appaltatore delle imposte che pagava allo stato una certa somma come introito di una tassa, che poi esigeva per proprio conto.
La parola è soprattutto nota per la frequenza con cui ricorre la menzione di questi funzionari nei Vangeli e in particolare per la «parabola del fariseo e del pubblicano» che è parte essenziale della parola di Dio di questa domenica.
Per cui, per estensione il termine indica in senso dispregiativo l'esoso esattore di imposte.
Chiaramente stando a contatto con i soldi, si corrompevano e corrompevano. Erano più esposti al peccato alle fragilità umane.
E' la storia di tutti i tempi e particolarmente dei nostri giorni. E nessun ambiente è escluso dalla tentazione di utilizzare i soldi pubblici o degli offerenti per interessi personali.
I pubblicani erano quindi considerati dei pubblici peccatori. Quindi la conversione doveva essere evidente e irreversibile, come avvenne per San Matteo, apostolo ed evangelista.

Una considerazione finale sul testo del vangelo di oggi, la prendiamo dal testo dell'Udienza generale di Papa Francesco, pronunciato in piazza san Pietro mercoledì 1 giugno 2016. “Non basta dunque domandarci quanto preghiamo, dobbiamo anche chiederci come preghiamo, o meglio, com'è il nostro cuore: è importante esaminarlo per valutare i pensieri, i sentimenti, ed estirpare arroganza e ipocrisia.
Dobbiamo pregare ponendoci davanti a Dio così come siamo. È necessario imparare a ritrovare il cammino verso il nostro cuore, recuperare il valore dell'intimità e del silenzio, perché è lì che Dio ci incontra e ci parla. Soltanto a partire da lì possiamo a nostra volta incontrare gli altri e parlare con loro. Il fariseo si è incamminato verso il tempio, è sicuro di sé, ma non si accorge di aver smarrito la strada del suo cuore.
Il pubblicano invece - l'altro - si presenta nel tempio con animo umile e pentito: «fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto» (v. 13). La sua preghiera è brevissima, non è così lunga come quella del fariseo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». Niente di più. Bella preghiera!
Una preghiera che ci porta in questi prossimi giorni a ricordare un modo particolare i nostri cari, dal momento che siamo nei giorni che precedono la solennità di Tutti i santi e la Commemorazione dei fedeli defunti, nel ricordo dei quali cerchiamo di amarci e perdonarci.

In questo contesto di invito alla preghiera, leggiamo con un profondo significato orante gli altri testi della parola di Dio di questa domenica di fine ottobre 2019.
Dal libro del Siràcide capiamo perfettamente che “il Signore è giudice e per lui non c'è preferenza di persone. Non è parziale a danno del povero e ascolta la preghiera dell'oppresso”. Come si vede la preghiera ha un potere enorme per muovere a compassione il Dio che è Padre e guarda con benevolenza tutti i suoi figli. Infatti “non trascura la supplica dell'orfano, né la vedova, quando si sfoga nel lamento”. E' un Dio che ascolta e aiuta, perché la preghiera del cuore e guarda con compassione chi è nel dolore, ha maggiore probabilità di successo nel cielo e sulla terra. Ci ricorda il brano del Siracide che chi soccorre il fratello in necessità è accolto con benevolenza dal Dio della bontà. La preghiera fatta così e finalizzata ad un aiuto per gli altri arriva fino alle nubi. E' evidente la consapevolezza che “la preghiera del povero attraversa le nubi né si quieta finché non sia arrivata; non desiste finché l'Altissimo non sia intervenuto e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l'equità”. Qualcuno potrebbe non essere d'accordo su quanto leggiamo in questo testo sacro, perché sono sempre i poveri a soffrire maggiormente e non essere ascoltati nel consesso delle sedi dove si prendono decisioni importanti. Ma solo Dio conosce la verità. Un fatto è certo che il grido del povero non resta inascoltato e Dio interviene quando meno uno se lo aspetta.

E su questo stesso argomento che si configura il brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo, nella quale è ribadito il concetto della fedeltà alla missione affidatagli da Cristo e portata a compimento con il sacrificio e il martirio per la fede. Scrive, infatti, Paolo rivolgendosi all'amico fraterno Timoteo: “Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione”.
Nel guardare avanti, Paolo non dimentica le sofferenze e le gioie del passato e ci ricorda che nella sua “prima difesa in tribunale nessuno lo ha assistito; tutti lo avevano abbandonato, rimanendo di fatto solo. Cose che capitano spesso anche oggi, quando si è in difficoltà. Nonostante ciò, nei loro confronti l'Apostolo non è affatto risentito e non ne tiene conto e raccomanda di non considerarlo nella valutazione dei suoi amici. Però un dato è sicuro e Paolo lo vuole evidenziare a caratteri cubitali: “Il Signore gli è stato vicino e gli ha dato forza, perché lui potesse portare a compimento l'annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fu liberato dalla bocca del leone”. Conclude con una profonda speranza che nutriva nel cuore: “Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno”. Infine l'inno di lode al Signore, e “a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.”

Chiudiamo la nostra riflessione con la preghiera della colletta di questa domenica finale del mese di ottobre, dedicato alle missioni: “O Dio, tu non fai preferenze di persone e ci dai la certezza che la preghiera dell'umile penetra le nubi; guarda anche a noi come al pubblicano pentito, e fa' che ci apriamo alla confidenza nella tua misericordia per essere giustificati nel tuo nome”. Amen.

 

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