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TESTO Commento su Luca 18,9-14

fr. Massimo Rossi  

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (27/10/2019)

Vangelo: Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Un giorno, il Cardinal Basil Hume, già primate della chiesa d'Inghilterra e Galles, una delle figure più autorevoli e più amate tra i pastori anglosassoni del secolo scorso, ebbe a dire in un'intervista che, se non si era mai macchiato di crimini particolarmente esecrabili, non era stato per una particolare santità di vita, ma, molto più semplicemente, perché non ne aveva avuto l'occasione... Un'affermazione provocatoria, certo, ma realista.

Che la responsabilità del peccato sia personale, è fuori discussione; tuttavia, è altrettanto innegabile che vi siano realtà sociali, situazioni familiari, povertà, ignoranza,... che favoriscono, o, in qualche modo, inducono a comportamenti eversivi.

Già nel Medio Evo, i teologi consideravano il grave stato di indigenza un'attenuante in caso di furto: l'esempio classico è quello di un padre di famiglia, sorpreso a rubare della frutta per dar da mangiare ai figli... la responsabilità resta, ma la pena sarà meno severa.

Il Vangelo di questa XXX Domenica affronta il tema delicato della corrispondenza tra delitto e peccato: ci sono peccati che non sono delitti, in quanto non infrangono necessariamente le leggi dello Stato e, in generale, le norme sociali. Non si può affermare il contrario: ogni trasgressione della legge pesa sulla coscienza - dovrebbe pesare! -, dunque costituisce materia necessaria, deve cioè essere confessata al ministro ordinato.

Il caso del pubblicano è un esempio chiaro di delinquenza organizzata e, peggio ancora, legalizzata: i pubblicani riscuotevano le tasse per conto dell'Impero, erano dei traditori del Paese, opprimevano e angariavano il popolo ben al di là dei poteri che la professione riconosceva loro; erano corrotti, ladri, e al sicuro da indagini di Polizia e controlli degli Affari Interni; all'Impero interessava incrementare il gettito tributario; inoltre la Palestina era lontana dai palazzi del potere... Che i pubblicani facessero la cresta su ciò che entrava nelle casse dell'erario, lo sapevano tutti, lo sapeva anche Roma... ma c'erano problemi ben più gravi,... come la presenza di popoli stranieri armati fino a denti, che premevano ai confini dell'Impero, mantenendo gli eserciti di Cesare in perenne assetto di guerra.

Colpisce l'atteggiamento contrito ed umiliato del pubblicano: la coscienza del suo peccato lo scoraggiava addirittura dall'alzare lo sguardo per incontrare la misericordia di Dio...

A differenza del fariseo, il quale non resiste alla tentazione di sottolineare la propria osservanza della legge di Mosè, ma non mostra la stessa obbiettività e lo stesso scrupolo nel cogliere o propri errori. “Chi si loda si imbroda!” dice il proverbio...

Inoltre, e questo è il lato peggiore, non si limita a vantarsi dei suoi meriti, ma denigra il pubblicano, dal quale prende rigorosamente le distanze, in senso morale e anche fisico.

Veniamo a noi: ascoltando le confessioni dei fedeli, non è così frequente, anzi, è abbastanza raro, cogliere il senso del peccato, al di là di una generica, e sostanzialmente inutile ammissione di colpevolezza, con battute del tipo: “chissà quanti peccati faccio, tutti i giorni!”..., salvo poi non essere in grado di identificarne neanche uno, quando entrano in un confessionale.

Per dovere di correttezza, la prescrizione canonica, inserita addirittura nel Catechismo della Chiesa cattolica, di specificare genere e numero dei peccati, è tuttora in vigore.

Questa prescrizione, tutt'al più, viene osservata in materia di sesto comandamento; non spendo parole in questa sede, perché sappiamo tutti di cosa si tratta...

L'epilogo del Vangelo è a dir poco spiazzante: il pubblicano ladro e corrotto torna a casa giustificato, cioè perdonato; mentre il pio fariseo no.

Beh, ci saremmo stupiti del contrario: perché, chiediamoci, il fariseo avrebbe dovuto portarsi a casa il perdono di Dio? per quale peccato, dal momento che di peccati non ne aveva confessati neppure uno? Voi non immaginate l'imbarazzo - per non dire la frustrazione - del prete, quando deve pronunciare la formula di assoluzione sacramentale nei confronti di un fedele che ha praticamente fatto scena muta... In casi del genere, il ministro non dovrebbe assolvere, per il motivo che tutti possiamo intuire e che ho richiamato sopra... “Non sin, no pardon!”, direbbe George Clooney... Ma il rifiuto del sacerdote (di assolvere) provocherebbe nel fedele un imbarazzo e una delusione peggiori di quelli che patisce il prete assolvendo in assenza di materia...

E allora finisce che, a denti stretti, assolviamo e...avanti un altro!

Quante cose senza senso si fanno nella nostra amata Chiesa, per amor del quieto vivere, per paura di perdere quei pochi fedeli che ancora rimangono a bordo della navicella di Pietro...!

“C'è più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.”, dice il Signore (Lc 15,7). Domanda: chi sono quei novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione? C'è forse qualcuno al mondo che non abbia bisogno di convertirsi? Certo che no! diremmo tutti... Senonché la sfida è trovare quell'atteggiamento, quel peccato, più in generale, quell'errore, dal quale, in nome di Cristo, dobbiamo convertirci.

Ecco l'ultimo aspetto del sacramento che molti fedeli ignorano, o conoscono solo in teoria: il proponimento.

Il riconciliazione sacramentale non richiama solo il passato - i peccati commessi -, ma coinvolge soprattutto il futuro. Non è sufficiente chiedere perdono per il male commesso; è necessario applicarsi per non commetterlo più in futuro, o almeno, diminuirne la frequenza.
Insomma, un cristiano può sempre diventare migliore!

“Chi si esalta sarà umiliato, chi si umilia sarà esaltato.”: la sentenza richiama il Magnificat, e le beatitudini: “Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati: (...) hanno già ricevuto la loro ricompensa.” (6,1-2).
Parola del Signore!

 

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