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TESTO Vince chi non molla

don Marco Pozza   Sulla strada di Emmaus

XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (20/10/2019)

Vangelo: Lc 18,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 1diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 2«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. 4Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, 5dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». 6E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Praticamente ha detto d'insistere ad oltranza, cioè di «pregare sempre senza stancarsi mai». Quasi l'approvazione evangelica di ciò che è stato scritto in un muro di città: “Insistere, persistere, resistere, mai desistere”. Una congiunzione di avverbi, tremendamente simili seppure estremi: “sempre” è avverbio di resistenza, materia per gente tosta, allenamento di fuoriclasse genetici. “Mai” è avverbio da pollice-in-giù, però solo in apparenza di negazione: dice piuttosto scorza dura, indole forte, carattere robusto. Sempre e mai, pregare (sempre) senza stancarsi (mai): Cristo impasta il pane con gli avverbi, getta per iscritto l'allenamento migliore per tentare la scalata al Cielo. Il risultato di sempre moltiplicato per mai è l'insistenza: «La grandezza dell'uomo - scrive Martin Heidegger - si misura in base a quel che cerca e all'insistenza con la quale cerca». Insistere senza diventare pesanti, poi, è un'arte per pochi: chi ti vuole bene sa quando è il momento di cercarti, quando non farlo, soprattutto sa quando insistere anche se gli hai urlato di lasciarti in pace. E' di tutte le storie d'amore, quelle tessute per bene: essere presenti senza asfissiare, ascoltare senza parlare, osservare senza scrutare, insistere senza essere molesti. Volere bene senza per forza incatenare.

E' tipico della fede, che è la storia d'amore con Dio: «A forza di insistere - scrive Erri De Luca - Dio è costretto a esistere, a forza di preghiere si forma il suo orecchio, a forza di allegria spunta il suo sorriso». Pregare sempre, dunque: per aiutare Dio a farsi l'orecchio, l'occhio, il sorriso. “A che serve pregare? Non vedete che non cambia niente?” sussurra quel buzzurro di Satana, l'allergia-pura a Dio. Gesù non ha detto di pregare perché cambino le cose: Lui, a differenza del Lurido, non promette cose che sa bene non essere veritiere. Nessuna preghiera può cambiare le cose rispetto a noi: però può cambiare noi rispetto alle cose. “Io prego sempre - mi ha detto una volta un amico - ma mi sembrano sempre chiamate senza risposta”. Io, invece, prego molto meno di quello che vorrei pregare. E mi accorgo, le poche volte che prego, con quante risposte-senza-chiamata Dio sta assediando la mia storia: Lui risponde, io manco gli ho chiesto qualcosa. Cosa pensare, dunque: che il mio amico è sfigato e io sono il solito raccomandato? Figurarsi! E' che pregare è un'arte davvero strana: è accorgersi di quante cose Dio faccia per noi. Il brutto è che a noi, per poter dire d'aver pregato senza mentire, ci hanno detto che servono delle frasi, meglio se s'imparano a memoria certe preghiere. Di entrare in chiesa per farlo. E' bello ma non è tutto, per fortuna: è il sei-meno-meno della preghiera. La preghiera, sotto sotto questo dice Gesù, è fare tutto quello che dobbiamo fare senza mai zittire quella voce che, da dentro noi, continua a ripetere il Suo mantra: “Ho scritto il nome tuo sul palmo della mia mano. Mi sei prezioso. Teniamoci la mano mentre attraversiamo la strada". Pregare, questo lo sanno tutti, è parlare a Dio. E' anche ascoltare Dio quando parla: perché, allora, quando parliamo con Dio si dice che stiamo pregando e quando confidiamo a qualcuno che Dio ci ha parlato veniamo considerati schizofrenici? Mi è sempre piaciuto il suggerimento che Ignazio di Loyola dava per insegnare l'arte di pregare: «Prega come se tutto dipendesse da Dio, lavora come se tutto dipendesse da te». Mi piace assai: io prego lavorando, Dio lavora parlandomi.
Se, poi, dalla preghiera si alza un Marco migliore, è stata esaudita.

Quant'è bella quella vedova: quante chiamate-senza-risposta sono partite dal suo cuore in affanno. “E' così, punto e basta: si è sempre fatto così” le avranno rinfacciato tanti. Lei, insistente, ha continuato. Fino a far cedere il giudice: «Le farò giustizia perché non venga continuamente ad importunarmi». Non è convinto, lo fa per comodità: chissenefrega, lei ha vinto la sua guerra, è stata ascoltata. Dio, da parte sua, la elogia a modo suo: “Che donna, signori! Che razza di fede!” E' guardando a lei che sente fiorire un dubbi: «Il Figlio dell'Uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» ll dubbio del Dio-amante: “Ci sarà ancora qualcuno disposto ad aspettarmi sveglio? Oppure, a casa, rimarrò solo come un cane?”

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