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TESTO Commento su Luca 18,1-8

fr. Massimo Rossi  

XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (20/10/2019)

Vangelo: Lc 18,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 1diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 2«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. 4Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, 5dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». 6E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Preoccupante, la conclusione del Vangelo di questa XXIX Domenica: la “prova” della fede, possiamo dire, è la preghiera.

La fede è la relazione tra noi e Dio; già questa affermazione smentisce una convinzione ancora assai diffusa tra la gente che frequenta le nostre comunità cristiane, secondo la quale, la fede è più o meno questione di concetti apriori, i dogmi, ai quali l'intelletto si inchina, accettandoli senza discutere... Del resto, il catechismo di Pio X ha educato generazioni e generazioni a credere senza discutere i concetti su Dio e sulla Chiesa, che fin da bambini ci hanno insegnato, e che dovevamo recitare a memoria, per poter accedere ai sacramenti dell'iniziazione.

Una relazione, qualsiasi relazione, deve essere alimentata da una forma di comunicazione reale, non virtuale. Non si tratta solo di idee, di concetti; non si tratta solo di testa e di ragionamento...

Si tratta di comportamenti!...in una parola, si tratta di vita.

Nella relazione con Dio, la comunicazione avviene attraverso i canali che Dio stesso ci ha rivelato fin dagli inizi dell'umanità, e che troviamo scritti nei primi due capitoli della Genesi: la domanda che il Creatore rivolge ad Adamo - “Dove sei?” - esprime l'ansia di Lui, di Dio, nei confronti del suo amato, perché aveva interrotto il dialogo e, invece di cercarlo, era andato a nascondersi...

Mancare all'appuntamento con Dio è il sintomo di una fede che vacilla; la paura, la diffidenza, il senso di vuoto e di abbandono, prevalgono sulla fiducia e sull'affidamento, che sono le condizioni necessarie per avviare - o riavviare - la ricerca.

Non soltanto i protagonisti dell'AT hanno pregato Dio nelle diverse situazioni della vita; il grande testimone della fede, Colui che sempre invocava Dio per ringraziarlo, per chiedere aiuto, per conoscere la Sua volontà e poterla realizzare, è proprio Lui, Gesù, il Figlio di Dio.

È chiaro, la relazione con Dio si può paragonare alle relazioni umane, solo in modo analogico: gli uomini li vediamo bene, Dio invece no. Del resto, che fede sarebbe la nostra, se vedessimo Dio?

Tuttavia, la differenza assoluta tra le relazioni intraumane e la relazione con Dio non ci autorizza a mantenere con Dio un rapporto altalenante, sporadico, occasionale, in ultima analisi, scarso e poco significativo.

A modo di provocazione, ma credendoci profondamente, oso dichiarare che meno si vede, meno ci è presente il nostro interlocutore, più lo si deve cercare! Invece noi facciamo esattamente l'opposto: meno lo sentiamo presente, meno lo cerchiamo! Salvo poi lamentarci che Dio non si cura di noi... e scusarlo addirittura, perché “che cosa pretendo? con tutti i problemi che deve affrontare, Dio non ha certamente del tempo da perdere per badare anche a me...”.

E così, giorno dopo giorno, la nostra ricerca di Dio si affievolisce; riduciamo la preghiera a una serie di formule stereotipate, che non muovono neppure il nostro cuore, altro che muovere il cuore di Dio...

Mi ci metto anch'io, che sono prete, e che dovrei dare il buon esempio di come si prega, di come si annuncia il Vangelo, di come lo si vive, a cominciare, appunto, dal rapporto con Dio.

Perché non c'è carità verso il prossimo senza carità verso Dio.

E magari pretendiamo che queste formule recitate così, senza alcuna risonanza interiore, prive persino di una minima partecipazione emotiva, abbiano effetto. In verità non ci crediamo neanche noi, e forse ci stupiremmo addirittura, se Dio intervenisse... Troppo facile! infatti, non è così che si fa, non sarà così che avverrà il miracolo - ammesso che ne abbiamo davvero bisogno -.

È questo il (nostro) grande peccato: aver svilito il linguaggio con il quale comunichiamo con Dio; nel senso che la parola, il gesto, il canto, il silenzio, la stessa postura che assumiamo quando preghiamo, per esempio a Messa, sono soltanto una parola, un gesto, un canto, un silenzio,... E quella determinata postura potrebbe essere sostituita con un'altra qualsiasi; tanto, la sostanza - ne siamo convinti - non cambia...
Ma la sostanza dov'è? la sostanza qual è?

Proviamo a pensare al valore che diamo ai gesti compiuti, alle parole espresse in una relazione di amore, in un'amicizia... a meno che non parliamo tanto per parlare e non facciamo tanto per fare... E forse è proprio così! spreghiamo parole, sprechiamo gesti...

Lo ripeto, abbiamo smarrito il valore profondo della comunicazione, un valore che resta, cioè segna la vita dell'uno e dell'altro, producendo effetti duraturi che coinvolgono le persone, in qualche modo le legano; insomma, cambiano la vita,... sì che i due termini della relazione non sono più gli stessi di prima, perché hanno pronunciato quella parola, perché hanno compiuto quel gesto: valenza performativa del linguaggio, espressione tecnica, il cui significato non è difficile da intuire. In altri termini, io non posso dire “ti amo” a chiunque... e colui, colei, coloro ai quali dico “Io ti amo!” non sono persone qualsiasi. E se anche loro ce lo dicono, significa che per loro noi non siamo persone qualsiasi... Quando poi, alla parola aggiungiamo anche un gesto che esprime l'amore, acco che il legame è stabilito, la relazione definita, le conseguenze inevitabili.

Su piani diversi, avviane lo stesso nella preghiera. L'amore non è solo la somma di parole e di gesti successivi, ma un tessuto con tanto di trama e di ordito, senza cuciture, tutto d'un pezzo, come lo era la tunica del Signore, senza cuciture, tessuta tutta d'un pezzo.

Capiamo, allora, l'esortazione fatta da Gesù ai suoi discepoli, di pregare senza mai stancarsi.

Se mi stanco di pregare, significa che mi sono stancato di Dio... tantovale confessarlo e andarmene, evitando apparenze e ipocrisie.

“Quando il Figlio dell'Uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?”

Non basta sgranare gli occhi, non basta scuotere il capo, o assentire senza esitazione...

Dobbiamo rispondere come se la fede sulla terra dipendesse da noi.
Perché...dipende proprio da noi!

 

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