TESTO Commento su Is 66,18-21; Sal 116; Eb 12,5-7.11-13; Lc 13,22-30
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie) Home Page
XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (25/08/2019)
Vangelo: Is 66,18-21; Sal 116; Eb 12,5-7.11-13; Lc 13,22-30
In quel tempo, Gesù 22passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. 26Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. 27Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».
Le letture di questa domenica ci stimolano a riflettere sulla domanda posta a Gesù, che era in cammino verso Gerusalemme, verso la sua meta finale: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Forse almeno una volta nel corso della nostra vita, in modi autonomi o sollecitati da qualche riflessione, ci siamo posti questa domanda.
La prima lettura è tratta dall'ultimo capitolo del libro del profeta Isaia, il popolo di Israele, al ritorno dall'esilio si trova nella situazione in cui le differenze di razza, ceto e lingua erano scomparsi e gradualmente ridimensionavano il concetto di popolo eletto cui era riservata la salvezza, negata agli altri. Isaia usa il verbo “radunare”, che era stato usato per i giudei dopo la diaspora e che ora si allarga a tutti i popoli: è l'intera umanità che ha intrapreso il cammino verso Gerusalemme.
La seconda lettura, tratta dalla lettera agli Ebrei, ci pone davanti al grande problema della sofferenza che da sempre interroga l'uomo in rapporto a Dio. Questo brano ci lascia un po' interdetti: come può Dio che è misericordia far soffrire le persone anche solo per motivi di correzione? Possiamo allora dare una giustificazione ai casi di sofferenza per malattia o morte degli innocenti? Può essere questa la “medicina” come strumento in vista bei beni futuri? Forse è più opportuno, come ci insegnano gli esegeti, inquadrare storicamente il testo e capire cosa realmente voleva trasmettere l'autore della lettera. Gli ebrei convertiti al cristianesimo erano sottoposti, dai loro connazionali, a numerose persecuzioni che indebolivano la comunità: era necessario lanciare un appello alla perseveranza come virtù necessaria per sostenere le prove della vita e crescere in una fede robusta e matura. Naturalmente questo invito vale anche per noi oggi, cioè quello di saper affrontare i momenti difficili senza lasciarci travolgere dalla disperazione, dalla tentazione di allontanarci da Dio, ma con un maggior atteggiamento di fede e di fiducia, nella certezza che il Padre è comunque vicino e ci da la forza per superarli.
Nel vangelo Gesù ci parla di una “porta stretta”, in Giovanni è Gesù stesso che si definisce porta: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato” (Gv. 10,9). Anche Lui ha dovuto passare da quella “porta stretta” con il sacrificio della croce che ci ha sollevato dal peccato e aperto la strada verso la salvezza.
Questo brano si presenta descrivendoci tre momenti diversi: inizia con il dirci che molti cercheranno di entrare attraverso la “porta stretta”, ma non ci riusciranno; poi ci parla di un padrone di casa che addirittura chiuderà quella porta e non lascerà più entrare nessuno, infine ci annuncia un banchetto che ci sarà nel regno di Dio al quale parteciperanno persone che vengono da ogni parte del mondo. Cosa vuole dirci Gesù con tutto questo? Forse c'è un richiamo al fatto che la salvezza esige un impegno di coerenza al suo messaggio, cioè occorre vivere in pienezza quanto ci ha detto, ad esempio, nell'annuncio delle beatitudini. Il Vangelo è la via stretta, difficile, ma capace di cambiare la nostra vita e di offrire una grande speranza per il futuro dell'uomo. Se il Vangelo ha un senso, è proprio quello di offrirci la possibilità di un'altra logica, rispetto a quella comunemente accettata.
Nella porta potrà entrare solo chi si fa piccolo, che si fa ultimo, che apre il suo cuore agli altri. Sforzarsi vuol dire combattere, lottare, rimanere fermi su ciò che ci si è prefissati. Non basta essere andati a messa, aver partecipato a ritiri, pellegrinaggi, processioni. Non è sufficiente aver riflettuto sulla Parola di Dio, senza poi averla calata nella vita, senza aver abbandonato il nostro quieto vivere, senza aver rinunciato a mettere al primo posto i nostri interessi, le nostre sicurezze. La porta sarà aperta se siamo stati capaci di aprire il nostro cuore agli altri ed essere operatori di giustizia nella carità e nella misericordia. Non basta mangiare Gesù, che è pane, occorre farsi pane per gli altri. Non basta essere credenti, dobbiamo essere credibili.
La porta stretta non è quindi una porta per pochi, per i più bravi, ma tutti possono passare perché al di là Gesù stesso ci dice che c'è una festa cui partecipano molti che vengono da ogni parte del mondo. Alla mensa del Padre ci saranno certamente quelle persone che noi non abbiamo mai preso in considerazione come nostri amici, tutti quelli che non abbiamo voluto vedere per restare tranquilli, tutti quelli che non conosciamo, ma che con la loro vita hanno reso possibile il nostro cammino verso il Signore, tutti quelli che noi abbiamo considerato scarti perché, come ci ricorda Gesù, “vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi”.
Per la riflessione di coppia e di famiglia:
- Progetto di Dio sull'umanità: quale idea ne abbiamo? Come riusciamo a coniugarlo con i nostri progetti?
-La sofferenza come “progetto educativo”: cosa ne pensiamo? Come la affrontiamo?
Don Oreste, Anna e Carlo - CPM Torino