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TESTO Il tuo bicchiere di acqua fresca

don Angelo Casati  

VI domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore (Anno C) (06/10/2019)

Vangelo: Mt 10,40-42 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 10,40-42

40Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. 41Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. 42Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

Accogliere, accoglienza, ospitalità sono parole che ardono come brace nelle letture di questa domenica. Sono anche parole che ardono con tutta la loro intensità nei nostri giorni. Il richiamo, oggi nella lettera agli ebrei, ci rimormora dentro: "Non dimenticatevi l'ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno ospitato gli angeli". La lettera fa certamente riferimento ad Abramo, che, ospitando nella sua tenda pellegrini nell'ora calda del giorno, finì per ospitare angeli. E chi di noi non vedrebbe come un'occasione prodigiosa di rara bellezza aver ospitato angeli? L'occasione dunque non è così lontana. E se perdessi questa occasione? Di ospitare angeli?

E vorrei iniziare il mio commento da un fatto concreto, un fatto di accoglienza, che ci è stato raccontato dal libro dei Re: il racconto è di una bellezza incancellabile. Oseri dire per la figura della donna senza nome. Inizia la storia di Elia e inizia - oserei dire - al femminile: la vera protagonista è una donna, una donna straniera. Con il suo gesto luminoso di accoglienza. Era una stagione di siccità. Anche il torrente cui beveva il profeta, dopo alcuni giorni, si era seccato. Un dramma la siccità. E lo stiamo ancora vivendo: oggi per siccità stanno migrando popoli. E vedi andare donne, uomini e bambini, come pecore che brucano il nulla. Come povera pecora che bruca il nulla, anche la vedova di Sarepta. Dall'avara sua terra poteva brucare niente più che un pugno di farina, un orcio di olio, due pezzetti di legna. Siccità e miseria, come per tanta umanità di oggi, una umanità dolente.

E quando sei alla vigilia del nulla, alla vigilia del morire, ecco un profeta, che ti chiede quel poco che hai, quello che ti resta, quel poco che ti serve per cuocere una focaccia per te e tuo figlio e poi morire. Ed è sconcertante leggere come la donna, dopo un primo sussulto, dia ascolto alla richiesta del profeta, che chiedeva che prima cocesse per lui. Desse dunque una precedenza a lui: prima lui. Per un momento - poi mi sono un po' ricreduto - nelle richiesta del profeta mi è sembrato di scorgere una traccia del dominio maschile: "Prima pensa a me, prima prepara per me, prima servi me".

Poi un po', ma forse non del tutto, mi sono ricreduto, perché legata alla richiesta stava una promessa, la promessa di ciò che non si vedeva: "La farina della giara non si esaurirà e l'orcio dell'olio non diminuirà, fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia". E la donna, luminosa nella sua povertà, mette prima - prima non solo di sé, ma addirittura prima del figlio - il profeta, uno straniero. Avrebbe avuto tutto il diritto di dire: "Prima noi". Quella donna con il suo gesto è una sorpresa, un inedito. Perché i pensieri che noi facciamo e le parole che spesso sentiamo vanno in tutt'altra direzione. Pensiamo e diciamo: "Prima noi". La stagione del "prima noi".

E leggendo mi è ritornato un sospetto: "Se oggi viviamo una stagione in cui la farina sembra esaurirsi e l'orcio dell'olio sembra diminuire, non sarà perché abbiamo cancellato dagli occhi il gesto luminoso della vedova di Sarepta? Vorrei raccogliere dai testi un'altra suggestione circa l'accoglienza. Il vangelo invita ad accogliere il profeta perché è un profeta, ad accogliere il giusto perché è un giusto, ad accogliere i piccoli perché sono piccoli. Permettete, come se lo sguardo andasse dentro, quasi a sfiorare un segreto che abita l'altro, non l'apparenza, non la grandezza, il segreto che abita ogni piccolezza. Vedere dentro.

E al cuore mi ritorna un pensiero, che non finisce di colpirmi, di Christian Bobin, nel suo piccolo libro "Il Cristo dei papaveri". Dove scrive: "Quando ero invitato da qualche parte, io non entravo in una casa: entravo negli occhi delle persone. Non vedevo il resto". Entravo negli occhi delle persone, non vedevo il resto". Questo è accogliere ed essere accolti. Purtroppo non sempre lo faccio, non sono sempre fedele a questo entrare. Negli occhi. Dove ospito e dove sono ospitato. E da ultimo vorrei raccogliere la suggestione del bicchiere di acqua fresca dato a uno dei piccoli cui è riservata, con assoluta certezza secondo il vangelo, una ricompensa. Piccolo gesto, gesto da nulla, quello di offrire un bicchiere d'acqua. Cos'è per la sete del mondo? Irrilevante! Pensate che nel linguaggio comune è entrata l'espressione "acqua fresca", "è acqua fresca", per dire l'irrilevanza delle cose. Togliere rilevanza o dare rilevanza alle piccole cose?

L'arte di Gesù, la pedagogia del vangelo, vanno nel senso di dare valore e non di togliere valore. Mi sono detto che in agguato, anche in me, c'è sempre un alibi, quello che mi fa dire: "Troppo grande il problema! E che cosa è mai il tuo bicchiere di acqua?". E che cosa mai erano i cinque pani e i due pesci di un ragazzino, a fronte dei cinquemila, sul prato del monte? Gesù con l'immagine del bicchiere d'acqua fresca sembra aprire i nostri occhi su gesti quotidiani, spesso ritenuti insignificanti dentro una cultura, come la nostra, che l'efficacia e l'importanza la attribuisce a ben altro. E noi ne siamo contagiati.

L'elenco delle piccole cose, bicchiere di acqua fresca, è a non finire, sempre aperto ad aggiunte, la tua aggiunta, l'aggiunta che la vita, la tua sensibilità ti ispira: può essere un brivido di commozione nei tuoi occhi, una tenerezza del viso, una mano sulla spalla, una banconota quasi invisibile, un bonifico di cui sai solo tu, un incoraggiamento, l'accorgersi di un dolore, di una fatica, di una stanchezza, il chinarsi al gioco di un bimbo, il sedere alla panchina con un anziano, un alzare la tua piccola voce a difesa dell'altro, il tempo per chi non ha tempo, una stretta di mano, una carezza, un abbraccio, un bacio, un dire grazie per un minimo, un fiore, un verbo ricordato, un messaggio inoltrato, una telefonata, il ritessere un filo, un brivido di amore, una luce nella notte, il bussare di una amica, di un amico, una finestra che qualcuno ha illimpidito per te, una tavola che porta in segreto il tuo nome, una complicità nel fare il bene di tutti, un dare il passo, un pensare in grande che allontana pettegolezzi e pregiudizi, il gesto di chi ti indica silenziosamente le case intiepidite dalla luce il mattino o il corvo che attraversa la strada, uno che ha l'arte di ascoltare il silenzio dei singhiozzi o l'esplosione delle urla verso il cielo dei ragazzi...

E tu aggiungi. All'infinito.

Il mio bicchiere di acqua fresca. Il tuo bicchiere di acqua fresca.

 

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