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TESTO La fede è squilibrio d'amore

don Luca Garbinetto  

XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (06/10/2019)

Vangelo: Lc 17,5-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 5gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.

7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? 8Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Sembra che il primo frutto che riceve chi ha in dono la fede sia una capacità di discernimento, per cui si comprende che non vale la pena di spendere tempo ed energie a... sradicare un gelso, o addirittura una montagna (secondo il paradosso ancor più drastico di Matteo), per trapiantarlo in mare! Fuor di metafora, la fede autentica ha poco a che fare con gli effetti speciali, con i miracoli ‘contro natura', con gli eventi altisonanti e appariscenti. O, almeno, non è il modo abituale in cui l'esperienza del credente si intravede dentro le pieghe della storia.

Chi riceve in dono la fede, magari dopo averla invocata con ardore e perseveranza - il che è in sé già atto di fede -, entra più profondamente nel dinamismo della vita e della storia. E si rende conto che tale dinamismo è questione di piccoli passi, di silenziosi processi, di avanzamenti nascosti e forse inaspettatamente dolorosi. Spesso si tratta solo (!) di imparare ad accogliere. La logica del seme, insomma, del granello di senape che deve essere piantato e morire, per poter generare vita. La quale, poi, porterà a un espandersi di relazioni, poiché sui rami dell'arbusto o dell'albero dell'uomo beato, che segue le vie di Dio (cfr. Sal 1) trovano dimora e ristoro uccellini e fratelli bisognosi di pace.

La fede, dunque, è esperienza di immersione nella profondità dell'esistenza, e allo stesso tempo luce che orienta la persona a diventare autenticamente se stessa. Il tutto, perché la fede ha un effetto decentrante da sé. Al centro, sempre di più, vengono posti gli altri. E non un altro preferenziale, ricercato a proprio compiacimento, ma semplicemente colui che in questo momento mi si trova davanti. Che sia una pecorella da accudire, oppure un padrone da servire, in ogni caso si tratta di stare qui e ora con tutto me stesso, proteso sul bisogno di amore dell'altro.

Dunque, guai a pensare una fede che sia roccaforte di difesa e garanzia di sicurezze contro le intemperie del mondo. Piuttosto, la fede squilibra le prospettive, definendo ormai i tempi e le energie della giornata a disposizione delle esigenze del Regno, che implicano sempre un coinvolgimento relazionale. Anche quando questa relazione ha a che fare con il Signore, autore e perfezionatore della fede. L'uomo di fede si ritrova così sbilanciato nell'esercizio quotidiano della carità, che non è tanto o soprattutto una questione di progetti e programmi, quanto piuttosto una apertura incondizionata agli imprevisti.

Si potrebbe, infatti, desiderare a volte di adagiarsi sereni tra le braccia del Signore, per godere della bellezza di averlo riconosciuto tale nella propria vita. Ma può darsi che proprio in questa nostalgia di riposo trovi spazio l'ulteriore chiamata ad accorgersi - nuovamente, instancabilmente - di un fratello o una sorella che richiede attenzione, occhi e cuore da donare. Il tutto nella più totale gratuità, giacché il salario è racchiuso nel mistero stesso di imparare progressivamente ad amare.

Niente, quindi, rimane estraneo all'uomo e alla donna di fede. Le sue viscere, gravide come un seme che vuole spaccare il guscio per generare ancora vita, si riconoscono vere nell'accogliere i gemiti dei poveri con appassionata e sofferente misericordia. Anche quando poveri sono proprio coloro che rimangono restii a riconoscere la bellezza del dono ricevuto. Anche quando i gemiti salgono da profonde ferite di offerta non riconosciuta.

Chissà se gli apostoli avrebbero continuato a invocare il dono della fede, se avessero compreso davvero l'intimo dolore dell'amore che si consegna. Ma forse per questo, anche per vivere l'amore, si tratta di sperimentare prima e sempre la fede indicibile che il Signore stesso ha riposto in noi, suoi umili servi. Eppure meravigliosamente figli.

 

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