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TESTO Senza pretese

don Alberto Brignoli  

XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (06/10/2019)

Vangelo: Lc 17,5-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 17,5-10

In quel tempo, 5gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.

7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? 8Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Un carissimo amico mi raccontava del giorno in cui discusse la tesi e si laureò in una disciplina particolarmente ostica, che comportò per lui e per la sua famiglia anni di sacrifici e di rinunce: sacrifici e rinunce che furono ricompensati da un esito finale straordinario. Si laureò, infatti, con il massimo dei voti, con tanto di lode e - come si usava allora - di bacio accademico. Erano gli anni in cui, alla discussione della tesi, non partecipava nessuno, al di fuori del candidato e di un amico o due che servivano ufficialmente da testimoni: per cui - siamo ovviamente nell'epoca del telefono a gettoni - la più grossa preoccupazione era di correre a casa a dare la bella notizia ai familiari, in particolare a mamma e papà che con i loro sacrifici avevano reso possibile quello che allora era considerato un lusso per pochi. Sta di fatto che, mentre la mamma pianse di commozione nell'apprendere la notizia, il papà venne a saperlo solo in tarda serata quando, rientrando da una dura giornata di lavoro da magazziniere, si sedette per la cena, rigorosamente a base di minestrone di verdure. “Papà - disse il neodottore - 110 e lode con bacio accademico! Sei contento?”. Il papà terminò le ultime due cucchiaiate di minestrone senza proferire parola, e dopo aver passato il tondo alla mamma (lei pure in trepidante attesa della reazione paterna) pronunciò queste poche e testuali parole: “E quindi? Non hai fatto altro che il tuo dovere”. Nessuno dubita della soddisfazione interiore del burbero genitore, il quale, dalla mattina dopo, iniziò ad avvisare (senza eccessivo clamore) tutti quanti gli abitanti del paese, dal sindaco al becchino, che suo figlio si era laureato “a Milano” (quindi, non un cosa qualsiasi) con il massimo dei voti, e che da allora in poi bisognava chiamarlo “dottore”, “suo figlio dottore”. Sta di fatto, però, che quella reazione rimase impressa nella mente del “figlio dottore”, che ancor oggi ricorda l'episodio con simpatia, cosa che purtroppo l'anziano genitore non riesce più a fare perché la memoria lo ha tradito definitivamente.

Perché questo aneddoto? Perché quando ricordo quell'episodio, anche dopo anni, richiamo alla mente le parole finali del brano di vangelo di questa domenica: “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Servi “inutili”, ovvero che non danno un utile, che non danno utilità all'economia del padrone, perché ciò che fanno rientra nello specifico delle loro mansioni, quelle retribuite, per cui non sono fonte di guadagno. Tradotto nella nostra vita di fede, potrebbe suonare così: Dio non ci guadagna nulla dal nostro servizio nei suoi confronti. Le nostre buone azioni non accrescono la sua grandezza, il nostro lavoro non rende la sua grazia più efficace: la gloria di Dio non è di certo condizionata, nel suo splendore, dalla bontà o meno di noi, che ci diciamo al suo servizio.

Beh, però almeno una piccola soddisfazione ce la dovrebbe dare, ogni tanto...o no? Ci piacerebbe che Dio ogni tanto ci gratificasse per quello che facciamo per lui, per le nostre preghiere, per i nostri sacrifici, per la nostra devozione verso di lui, verso sua Madre, verso i suoi Santi. Sarebbe bello se, sulla scorta di come ci comportiamo con lui, ne avessimo qualche beneficio evidente: insomma, una gratificazione ogni tanto per la nostra fede ci vorrebbe! E invece no: siamo servi inutili, abbiamo fatto solo il nostro dovere. Ma che dovere abbiamo, nei confronti di Dio? In cosa consiste “servire Dio”? Che cosa vuole dire “eseguire tutti gli ordini da lui ricevuti”, come dice ancora il brano ascoltato oggi?

Facciamo un passo indietro, e riportiamo alla memoria i brani di vangelo che abbiamo ascoltato in queste ultime tre domeniche: una serie di parabole ci ha messi di fronte a un'immagine di Dio che ci ha certamente sconvolto. Un Dio che non considera più la ricchezza come segno della sua benedizione, ma come un pericolo da cui guardarsi; un Dio che loda la scaltrezza di chi approfitta dei beni materiali (rubando, tra l'altro) per creare relazioni significative; soprattutto, un Dio che gioisce per un figlio degenere che torna a lui dopo aver sperperato ogni bene, preferendolo a un figlio che, invece, non si è mai allontanato dalla casa paterna, lavorando sodo per il bene dell'azienda di famiglia. E quest'ultimo figlio, il maggiore dei due, non lo manda a dire, al padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici”. Sembra di sentire pari passo le parole del Vangelo di oggi, quando si parla di “eseguire tutti gli ordini ricevuti”. Ed è quello che spesso facciamo con Dio, quando pretendiamo da lui un riconoscimento per ciò che facciamo, per il nostro buon comportamento, per le nostre buone opere, soprattutto perché non siamo così cattivi come altri. Ma Dio non ragiona come noi, e non solo non si sottomette alle nostre richieste, premiandoci per ciò che “dovevamo fare”, ma addirittura fa preferenze per quelli che ai nostri occhi sono dei peccatori incalliti; e ci ricorda che anche quei beni che possediamo, frutto del nostro lavoro e dei nostri sacrifici, non sono segno della sua benedizione, per cui non possiamo fidarci di essi come ciò su cui basare la nostra esistenza.

Credere in un Dio così, non è facile: forse l'avevano capito pure gli apostoli, che all'inizio di questo brano di Vangelo chiedono a Gesù di “aumentare la loro fede”. La sua risposta, non si fa attendere: non è questione di “quantità” di fede, perché basta una fede grande quanto un granello di polvere, per fare cose grandi. Il Signore non vuole una fede enorme da parte nostra, e neppure vuole che facciamo cose grandi e straordinarie, con le quali, magari, avanzare delle pretese nei suoi confronti. Senza troppi giri di parole, come il papà del mio amico dottore, ci chiede la cosa più semplice di questo mondo: fare il nostro dovere. E il dovere dei cristiani si riassume nell'unico comandamento che Gesù ci ha lasciato, quello dell'amore, che si rende concreto mettendoci al servizio suo e dei fratelli, e che altro non è se non quello che Gesù stesso ha fatto, facendosi servo dell'umanità.

 

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