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TESTO Commento su Ab 1,2-3;2,2-4; Sal 94; 2Tm 1,6-8.13-14; Lc 17,5-10

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XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (06/10/2019)

Vangelo: Lc 17,5-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 17,5-10

In quel tempo, 5gli apostoli dissero al Signore: 6«Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.

7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? 8Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? 9Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

La fede è il leitmotiv che domina le letture di questa 27a Domenica del tempo ordinario. La prima lettura, quella di Abacuc, ci dice che la pazienza è necessaria se vogliamo aver la fede necessaria per superare la crudeltà e il male che proviene dalla violenza dei potenti ( specialmente quando manca il lavoro ).
La fine di di queste tribolazioni avverrà nel periodo che YHWH a stabilito e che Abacuc è incaricato di “ incidere nelle tavolette” e quindi a lui noto. A noi, poiché non e fatto di leggere la data scritta nella tavoletta, e consigliata la pazienza, nell'attesa della fede di ciò che per “ certo avverrà”: perché “il giusto vivrà per la fede”.
L'attesa fatta di pazienza da: calma, pace; ma implica soprattutto la capacità di resistere quando si manifestano sconforto e delusione.
Nella seconda lettura Timoteo è sollecitato da Paolo ad avere una fede perseverante si da respingere ogni atteggiamento di paura e così far fronte, con coraggio, alle prove legate alla causa del Vangelo.
Timoteo, per “ ravvivare il dono di Dio” è invitato a prendere come esempio colui che gli ha imposto le mani, per diventare ministro del Vangelo e che or si trova in carcere a causa della sua predicazione. L'annuncio evangelico e la testimonianza cristiana resiste nella fedeltà e perseveranza, grazie all'azione dello Spirito “ che abita in noi”, come dimostra la vita vissuta dall'apostolo delle genti.Nel Vangelo odierno Gesù ricorre a una immagine paradossale per esprimere l'incredibile vitalità della fede. Come una leva che solleva più del proprio peso, così un pizzico di fede è in grado di sradicare un grande albero e trapiantarlo nel mare. Per convincersi di questo basta vedere che cosa può diventare l'esistenza umana più banale di un autentico credente.
Il “piccolo gregge” degli apostoli ha compreso subito che la fede è, prima di tutto, un dono, una grazia, che si può soltanto chiedere, implorare, dal Signore a ui la fede stessa si rivolge. Ma cosa è la fede? Essa è l'ascolto della Parola, è la verità in espansione, è il tentativo di far rifiorirei vangelo in ogni epoca della storia umana.
Riconoscendo l'azione stessa del Signore nei frutti della propria fatica, il credente sa di non potersi vantare della propria fedeltà poiché riconoscono, che è Cristo che suscita dentro di loro la fede, e, se vuole, la premia.
La prima lettura, della odierna 27a Domenica del tempo ordinario, è tratta dal libro del profeta Abacuc, discepolo di Geremia, anch'egli profeta. L'oppressione degli Assiri prima e quella dei Babilonesi in seguito, pesa fortemente sugli Israeliti, perché violenta, e la violenza è dura da sopportare, in quanto popolo di YHWH. Il profeta si lamenta di ciò con Dio domandandogli se si comporta da spettatore dell'oppressore. Il Signore risponde al profeta mandandogli una visione lo ingiunge a scriverla sulle tavolette: occorreranno molte generazioni perché i credenti si abituino a dialogare con i non credenti, avendo rispetto l'uno dell'altro, senza sincretismi di sorta. Abacuc si dimostra, attraverso questa lettura, che il il fine può essere riassunto con la frase finale del brano: “ soccombe colui che non ha l'animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede”.
Il Salmista, con buona parte del salmo 94, ci invita ad ascoltare la voce del Signore, rendergli grazie, acclamarlo, adorarlo inginocchiandosi davanti a lui.
Questo salmo i giudei lo cantavano durante le cerimonie del tempio, allorché veniva rinnovata l'Alleanza. Sappiamo anche che i leviti, a due riprese invitavano l'assemblea a partecipare in maniera attiva alla celebrazione. La folla rispondeva ad ogni invito con una formula rituale di adesione: “ Si, il gran Dio è il Signore...”; “ Si, egli è il nostro Dio...”.
Alla fine del salmo Dio prende la parola per richiamare, che l'Alleanza è una cosa seria sia allora che oggi. L'Alleanza è espressa con dei segni. Uno di questi è l'anello sponsale, segno corporale di mutua appartenenza, audacia dell'uomo religioso, che pensa la sua relazione con Dio, il Totalmente Altro, in termini di nozze.
Si sta colpiti dal tono di rimprovero che ha nel finale il salmo. È il tono di un amore ferito, uno degli elementi della relazione con Dio, poiché il male è contrario al piano di Dio. Infatti egli è il primo, mi si passi la parola, a soffrirne.
Nella seconda lettura, l'apostolo Paolo dice a Timoteo, suo discepolo, che è normale “ soffrire per il vangelo”.
Gesù, che è segno di contraddizione, “ ci ha fatto uno spirito...di forza, di amore e di saggezza” per sopportare le avversità che ne derivano e ne deriveranno nei secoli, a quanti si dedicano alla sua predicazione. Compito, questo, difficilmente realizzabile, se Cristo, come aveva promesso, non fosse presente in mezzo ai suoi e non trasmettesse loro lo Spirito che l'ha fatto risorgere dai morti.
Nel testo evangelico lucano della liturgia di questa domenica, Gesù ci presenta Dio come un padrone esigente e poco riguardoso della fatica dei suoi servi. Ma Gesù non intende, in questo brano evangelico, parlarci del Padre, quanto piuttosto denunciare il fariseismo, che ancora abita nel cuore degli apostoli e nostro. È da farisei fare il calcolo di tutto, anche dei diritti e dei meriti che si ha dinanzi a Dio per le buone e rare azioni di bene che facciamo. Pertanto quando avremmo fatto tutto quanto Dio pretende da noi, consideriamoci, molto semplicemente dei “servi inutili”.

REVISIONE DI VITA
Nelle nostre azioni desideriamo fare in modo, più perfetto possibile, ciò che è la volontà di Dio?
Abbiamo fede in Dio, oppure nei potenti o in noi stessi?
Siamo in grado di fare della nostra vita un servizio senza ricompensa?

Marinella ed Efisio Murgia - CPM Cagliari

 

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