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TESTO Giustamente disonesti

don Alberto Brignoli  

XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (22/09/2019)

Vangelo: Lc 16,1-13 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 16,1-13

In quel tempo, 1Gesù diceva ai suoi discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. 2Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. 3L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. 4So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. 5Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. 6Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. 7Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. 8Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 9Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.

10Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?

13Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Forma breve (Lc 16, 10-13):

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli: 10«Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?

13Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Che rapporto c'è tra l'uomo credente e la ricchezza? Che cosa pensa Dio, riguardo alle ricchezze? Sono interrogativi complessi che, a mio parere, trovano una risposta efficace nell'ultima frase del Vangelo di oggi: “Non potete servire Dio e la ricchezza”. Ovvero, Dio e la ricchezza non possono stare contemporaneamente nel cuore dell'uomo; Dio e la ricchezza sono incompatibili.

Ma allora, perché l'Antico Testamento riteneva la ricchezza accumulata dall'uomo il segno della benedizione di Dio sull'opera delle sue mani, e poi di colpo, con Gesù, si cambia prospettiva, rendendo la ricchezza incompatibile con chi, prima, l'aveva benedetta? Perché Dio prima benedice la ricchezza e poi ne prende le distanze?

Sembriamo di fronte a una contraddizione, e, di fatto, è così. Ma non è colpa di Dio: è la ricchezza stessa, che, in quanto tale, è contraddittoria, controversa, ambigua, doppia, e quindi profondamente illusoria, falsa, o meglio - come ci dice Gesù oggi per ben due volte in pochi versetti - “disonesta”. Eppure il rapportarsi con essa può divenire, per l'uomo, occasione di riscatto, di salvezza. In che modo?

La parabola di oggi ci dà un tentativo d'interpretazione: non è la ricchezza in sé, a essere occasione di salvezza per l'uomo, bensì i rapporti che l'uomo instaura con e attraverso di essa. La ricchezza, in sé, non ha nulla di buono: non dà certezze e non offre - come invece vorrebbe far credere - sicurezze incrollabili: ricordiamoci della parabola del ricco stolto, che confidava nei suoi molti beni ma non poté nulla di fronte a un Dio che gli chiese, in pochi istanti, di rendere conto della propria esistenza. Confidare nella ricchezza come in qualcosa che può dare felicità e sicurezza di fronte alle cose della vita, è illusorio, perché nemmeno l'uomo più ricco sulla faccia della terra può disporre in assoluto della propria vita; e soprattutto, non può dirsi felice per via delle ricchezze che possiede. È sufficiente pensare a quante liti, discussioni e incomprensioni può portare una consistente eredità o un lascito all'interno di una famiglia.

Eppure, a un primo sguardo, sembra che Gesù in questa parabola voglia lodare chi è disonesto con la ricchezza: “Il padrone lodò quell'amministratore disonesto”. Va chiarito che il punto di vista di Dio non è quello del padrone, e ancor meno quello dell'amministratore disonesto. Gesù vuole solamente sottolineare come la ricchezza - una realtà di per sé non buona perché illusoria e falsa - abbia la possibilità di riscattarsi nella misura in cui si preoccupa delle relazioni umane, e le trasforma in giuste e oneste.

L'essere umano, così come ce lo presenta la Sacra Scrittura, vive fondamentalmente tre tipi di relazioni: con se stesso, con gli altri e con Dio. La ricchezza non può assolutamente rappresentare un bene nella relazione con noi stessi e con Dio. Non può essere un bene per noi stessi, proprio perché - come accennavo prima - ci offre solo delle illusioni riguardo alla stabilità del nostro futuro e alla qualità della nostra esistenza. In relazione a Dio, poi, i beni materiali non hanno alcun valore rispetto alla grandezza e alla preziosità di quel tesoro che è Dio stesso. Pensiamo all'episodio del giovane ricco, che cerca la perfezione e la strada verso la santità e la abbandona tristemente nel momento in cui Gesù gli fa capire che seguire Dio come unico bene, comportava per lui la rinuncia a tutti i suoi averi, considerati un nulla rispetto all'Assoluto.

Ma ciò che è interessante, è che nelle nostre relazioni con gli altri, la ricchezza - secondo quanto oggi il vangelo ci propone - ha la possibilità di riscattare la propria innata disonestà e di divenire addirittura occasione di redenzione. Come? Non certo accumulando beni per sé, e nemmeno anteponendo i beni terreni al Bene Assoluto che è Dio, ma creando rapporti profondamente umani, giusti e fiduciosi tra le persone, attraverso il corretto uso e l'onesta ridistribuzione di ciò che - per se stesso - corretto e onesto non lo è per niente.

L'amministratore disonesto, che aveva usato le ricchezze che gli erano state affidate per fondare su di esse la propria esistenza, dà una svolta al proprio atteggiamento smettendo di approfittare di quei beni (“Quanto sei stupido - diremmo noi -, finora hai rubato per te, fallo finché puoi!”), e facendo in modo non solo che gente strangolata dei debiti possa venirne alleviata, ma che in questo modo “qualcuno mi accolga nella sua casa”, ovvero creando opportunità di reciproco aiuto e di fiducia tra lui e gli altri nel momento della necessità. In una parola, ricreando relazioni.

Ecco perché il padrone loda la scaltrezza con cui ha saputo dare una svolta alla propria vita: perché il suo rapporto con la ricchezza si è trasformato in un tentativo di creare relazioni eque e significative attraverso una giusta ridistribuzione dei beni nei confronti di chi era soffocato dall'indigenza o da situazioni economiche insostenibili. Allora, la ricchezza stessa può divenire causa di riscatto e di redenzione per chi la sa ridimensionare e riesce a fare in modo che sia un bene accessibile a tutti.

Questo significa soprattutto rimettere la ricchezza al proprio posto, evitando che essa si sostituisca a Dio e al nostro rapporto di fiducia con lui. È quanto il profeta Amos sottolinea nella prima lettura, scagliandosi contro i ricchi del suo tempo che attendevano con ansia le celebrazioni e le ricorrenze religiose (e soprattutto la loro conclusione) per poter compiere i loro loschi e disonesti affari (“diminuiremo l'efa e aumenteremo il siclo usando bilance false” - cioè diminuivano la quantità di grano aumentandone il peso, e perciò truffando - “per comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali”, facendo della schiavitù addirittura un motivo di vanto). E tutto questo, spesso, nell'atrio del tempio, nella casa di Dio: anzi, forse anche in nome di Dio, come purtroppo a volte è capitato pure nella storia della Chiesa, passata e attuale. Perché al ricco credente, piace spesso usare il nome di Dio per auto-benedirsi, per giustificarsi, o per coprire le proprie disonestà magari anche con lasciti e donazioni significative: perché egli è innanzitutto ricco, e poi - forse - credente. Ma Dio - dice ancora Amos - “non dimenticherà mai tutte le loro opere” e le loro disonestà.

Per fortuna, ogni tanto, in questo mondo, qualcuno ci ricorda che le ricchezze accumulate e tenute per sé, non hanno mai fatto la felicità di nessuno.

 

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