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TESTO Ti vuole vivo

don Angelo Casati  

III domenica dopo il martirio di San Giovanni il Precursore (Anno C) (15/09/2019)

Vangelo: Gv 5,25-36 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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25In verità, in verità io vi dico: viene l’ora – ed è questa – in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno. 26Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso, 27e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo. 28Non meravigliatevi di questo: viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce 29e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna. 30Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.

31Se fossi io a testimoniare di me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera. 32C’è un altro che dà testimonianza di me, e so che la testimonianza che egli dà di me è vera. 33Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. 34Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. 35Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce.

36Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato.

Perché tutto questo dibattito serrato tra Gesù e i suoi oppositori? E siamo ai primi capitoli nel vangelo di Giovanni, all'inizio della missione di Gesù. Un brano di non facile lettura per noi. Immagino che invece le allusioni di Gesù fossero chiare e stringenti, senza alibi, per i rappresentanti del potere religioso del tempo.

Come mai questo inizio di ostilità? Da che cosa nasceva? Che cosa mai era successo?

Quello era un giorno di festa e Gesù, salendo a Gerusalemme, non va direttamente al tempio - e questo già dice tanto! - ma si ferma ai portici di una piscina, chiamata in ebraico Betzatà. Vi era radunata una umanità dolente: ciechi, zoppi, paralici, gli esclusi dal tempio. E lo sguardo di Gesù va a un uomo, che era da trentotto anni infermo. La piscina era considerata miracolosa, e chi vi si gettava per primo, al ribollire delle acque, guariva. Alla domanda di Gesù, il paralitico risponde: “Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me”. Gli disse: “Alzati, prendi la tua barella e cammina”.

Pensate, basta questo per accendere ostilità. Gesù, diremmo, fin dalle prime battute, viene sospettato come un personaggio pericoloso, non sta alle regole, quasi mettesse in questione un sistema religioso. Non è nella categoria degli ossequiente: gli contestano il fatto che lui dica di dare testimonianza a Dio, di farsi passare per suo figlio.

E Gesù a dire che lui dà testimonianza a Dio, al Padre. La dà proprio con gesti come quello che ha compiuto alla piscins. Come se quel gesto alla piscina parlasse di Dio, di un Dio che ama e dona la vita, un Dio che rigenera, risuscita. Un Padre che non ti vuole né arreso né spento. A ben pensarci, quella piscina - quella religione - chiedeva di rassegnarsi: ci sarà un momento per te, magari non ci sarà, aspetta il tuo turno, chissà che prima o poi capiti, magari non capiterà. Gesù rompe questo immobilismo che rimanda, che chiede tempi biblici. Scusate il verbo: è come se “accelerasse” davanti a tanta umanità dolente.

“Alzati, prendi la barella e cammina”. Tre verbi luminosi. Contro la rassegnazione. Non glielo perdonano: era sabato! E' un trasgressore, va contro Dio. Di cui si dice figlio

E lui a dire che il Padre non solo vuole, ma fa questo: suo padre rialza, libera da ciò che trattiene, fa camminare. E così facendo, facendo le cose che ha visto fare da suo padre, lui gli dà testimonianza e il Padre la dà a lui. Mettendo un sigillo su quelle sue opere: rialzare, liberare dai pesi, far camminare.

Se ci pensate bene, è come se Gesù disegnasse una priorità circa il testimoniare, l'evangelizzare. Oggi a volte ci prende un attimo di smarrimento pensando a un contesto in cui la fede sembra non fare più problema. E - ve ne siete accorti - mi è scappata una brutta espressione: la fede che fa problema! O la fede che rialza, che libera, che fa camminare?

Ebbene Gesù con la sua vita richiama una precedenza: prima i gesti che rialzano, liberano, fanno camminare. Lì sta il primo annuncio. Le parole dopo. Vale anche per noi oggi. Ecco dunque che cosa viene prima. Proprio in questi giorni, nel suo viaggio nelle isole Mauritius, papa Francesco è ritornato, ancora una volta - gli deve proprio stare a cuore! - su un un'esortazione di san Francesco di Assisi. Si è chiesto: “Che cosa significa per te, Papa, evangelizzare?”. Risposta: “C'è una frase di san Francesco di Assisi che mi ha illuminato tanto: "Portate il Vangelo, e se fosse necessario anche con le parole". Cioè evangelizzare è quello che noi leggiamo nel libro degli Atti degli apostoli, è testimonianza. È la testimonianza che provoca la domanda: ma tu perché vivi così? Perché fai questo? E lì spiego: per il Vangelo. L'annuncio viene dopo la testimonianza. La testimonianza è il primo passo dell'evangelizzazione".

Alcuni vanno dicendo che viviamo ormai in una società “post-cristiana” e che i giovani - guardiamoci intorno - sono come orfani delle fede. Possiamo in parte anche convenire. Ma da dove partire? Dai lamenti, dalle condanne, in fondo dalle parole? O dalla testimonianza?

Un articolo di Avvenire in questi giorni a conclusione di una riflessione su “giovani e fede oggi” scriveva: ”Il tempo che stiamo vivendo è affascinante e dobbiamo riconoscere che i giovani ci stanno abituando alla possibilità di un cristianesimo più genuino, con meno sovrastrutture. Non prevalgono contestazione o rifiuto dell'esperienza religiosa, ma si fa sentire un grande desiderio di coerenza, freschezza e semplicità: di testimoni. Quando, infatti, si prova a uscire dagli schemi e si incontrano le persone là dove sono, senza nessuna propensione al proselitismo, molti pregiudizi sul cristianesimo e sulla Chiesa si smontano nel giro di una tazza di caffè bevuta in compagnia. Si sta parlando da poco, e subito arriva una domanda sul sacramento della Riconciliazione, che trovando una risposta libera, coerente e con un po' di coinvolgimento personale, fa dire: 'Ah, ma così non l'avevo mai vista!' (...) Quando ci si riesce anche a mettere in gioco - rispondendo alle domande con sincerità e calore, raccontando di sé e anche dei propri errori, non nascondendo che si è persone normali, che sanno divertirsi, stare in compagnia e godere delle cose buone della vita - si contribuisce a scardinare l'idea di un cristianesimo triste, fatto di doveri, di morale, di giudizi e pregiudizi.” (Annuncio a portata di giovani nella società «post-cristiana» di Alessandra Smerilli e Sergio Massironi in “Avvenire” del 7 settembre 2019).

Il vangelo scardina questa mentalità. Ecco le parole: “Alzati, liberati dai fardelli, cammina”. Sono gesti di Gesù che fanno sognare. Penso all'incipit bellissimo della esortazione Apostolica di papa Francesco, rivolta ai giovani, ma non solo, “Christus vivit”. Ecco l'incipit: ”Cristo vive. Egli è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che Lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita. Perciò, le prime parole che voglio rivolgere a ciascun giovane cristiano sono: Lui vive e ti vuole vivo!”.

 

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