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TESTO Non ti conosco ancora, Padre!

don Mario Simula  

XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (15/09/2019)

Vangelo: Lc 15,1-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Forma breve (Lc 15, 1-10):

In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Mi chiedo se Dio, davanti ai nostri frequenti voltafaccia, provi delusione o ira. Mi sono convinto intimamente che la sua reazione profonda, quella del cuore, sia di grande delusione. “I miei figli, tanto amati, tanto curati, tanto cercati, sempre mi girano le spalle”. La giustizia di Dio chiederebbe, immediatamente, una punizione. Basta poi l'intercessione umile del suo servo Mosè per suscitare in Dio il pentimento. “Dio si pente del male che ha minacciato di fare al suo popolo, e ancora una volta usa verso di lui misericordia”. E' proprio vero, l'amore di Dio non riesce mai a mettere a tacere la sua forza amorosa, la sua pazienza, la sua misericordia.
Quando Dio ci sceglie lo fa perché ci ama. E se ci ama non permette che ci perdiamo; ma va alla ricerca delle nostre persone finché non le ritrova lungo i sentieri della sua tenerezza.
D'altra parte, perché Gesù è venuto nel mondo? Per salvare i peccatori. Paolo lo dice di se stesso: “Gesù, Signore, mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia e ho sperimentato l'amore di Cristo Signore nella mia vita. L'ho capito, guardando la mia esperienza umana, che Cristo è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Per questo ho ottenuto misericordia. E Gesù vuole che la mia esperienza sia di esempio a tutti quelli che crederanno in Lui”.
L'amore di Dio è davvero strabiliante, incontenibile, forte più di ogni energia dell'universo; l'amore di Dio è misericordia e perdono. Gesù lo ribadisce con grande forza. Lo dice con tutti i linguaggi, perché noi lo comprendiamo. Si serve, anche, dell'ipocrisia degli scribi e dei farisei, scandalizzati perché Gesù sta con i peccatori e ci manifesta continuamente la misura ineguagliabile dell'amore.
C'è una parabola che è come un vangelo nel vangelo.
Parla di un giovane perduto e ritrovato. Parla dell'attesa e della gioia di un padre che lo ritrova. Parla di una felicità da condividere. Questo vangelo del Padre misericordioso, sconfigge la visione di un Dio a modo nostro. Dio è sempre presente nella nostra vita per patire in silenzio la ribellione di un figlio e la non accoglienza del figlio “fedele”.
Un giovane, spinto dal suo desiderio sfrenato di autonomia, vuole provare l'ebbrezza della libertà. Inizia per lui una vita senza riferimenti. Come avviene a noi ogni volta che abbandoniamo Dio. Quel figlio si butta in una vita esagerata sotto tutti i punti di vista: sperpera, vive da dissoluto, in un paese lontano, consumando una rottura profonda col padre. E' così lontano che il padre non può arrivare a lui.
Tanti momenti della nostra vita sono così: smarriti, sbandati, disorientati, senza senso.
Viene il momento nel quale, nel giovane, inizia a farsi strada un barlume di conversione. E' una conversione confusa, ambigua. Come facciamo noi quando ritorniamo a Dio non si sa perché: se per paura, se per recuperare una condizione migliore, se perché abbiamo riscoperto il suo amore. Molte volte noi ritorniamo a Dio non per un pentimento sincero, ma perché ci spinge la fame, perché lontano da lui troviamo solo amarezza, solitudine, sconforto; perché lontano da lui sentiamo gridare i nostri bisogni.
E' strano questo giovane che vuole ritornare a casa, non perché lo attrae il pensiero del padre, ma perché ricorda che i salariati di suo padre stanno meglio di lui. Almeno hanno lo stomaco pieno. Non lo sfiora il pensiero di aver fatto soffrire il padre. Lo spinge il desiderio dei beni del padre. Ancora una volta la stessa bramosia.
Il padre è un altro mondo di amore. Lo vide da lontano, perché lui è sempre vissuto nell'attesa, guardando verso l'orizzonte dal quale poteva comparire da un momento all'altro.
Come contrasta la mia meschinità, a confronto con l'amore instancabile di un padre che attende. Nel suo cuore “freme tutto”, per amore. Sono le viscere materne che “lo costringono” a vivere gli atteggiamenti dell'amore. Per quel padre, per Dio nostro Padre, il figlio deve essere visto e trattato sempre come figlio. E non solo sul piano degli affetti ma anche sul piano della riabilitazione, agli occhi di tutti.
Capisco perché Dio rincontrandomi, sporco e lurido, riesce a riabbracciarmi. Capisco perché Dio, nonostante il mio volto irriconoscibile, riesce a baciarmi. La distanza non c'è più. C'è soltanto un'unica circolazione d'amore che quell'abbraccio e quel bacio rendono visibile, commovente, definitiva.
Occorre gioire, occorre fare festa: questo figlio era morto ed è tornato alla vita. La gioia del padre è talmente incontenibile da diventare eccessiva nelle sue manifestazioni.
Rimane un'ombra in questa festa dell'amore ed è la rabbia che corrode il figlio maggiore. Non vuole entrare! Ancora una volta è il padre ad uscire. Questo padre sempre in uscita. Questo padre vagabondo, dove c'è la sofferenza dei figli perduti. Il contrasto tra la gioia che il padre prova e la distanza che prende il figlio maggiore, stridono duramente fino a farci star male.
Credevamo che la sua fedeltà, restando a casa, fosse amore e invece era un rapporto servile col padre, un rapporto senza gratuità.
Tra il padre e questo figlio nasce un dialogo stretto, incalzante, brevissimo. “Vedi come tratti questo tuo figlio perduto e ingrato”. Il padre: “Prova a guardare con occhi buoni, questo tuo fratello; non hai altra strada per scoprire la mia paternità”.
Sbaglio ogni volta che guardo il padre come un padrone, o per paura o per interesse. Ma sempre un padrone. Il nostro Dio è Padre. Soltanto Padre. Sempre Padre, pronto a perdersi lungo le strade pur di ritrovare i suoi figli, pur di ritrovare me suo figlio e poterlo riamare come figlio.

Gesù, solo Tu ci riveli un Padre che vede i figli come figli. Un Padre che è sempre Padre e che verso di noi si manifesta come Padre.
Gesù, questa scuola di paternità costa sudore e sangue. Non vedi che mi aspetto sempre da Dio la retribuzione? Non vedi che io “amo” Dio da salariato? Non “vedi” che io lo amo sempre con ansia, come se da un momento all'altro dovesse rifiutarmi? Gesù, Tu solo conosci il Padre. Tu solo hai la familiarità indescrivibile di chi ama il Padre ed è riamato dal Padre, da sempre.
Gesù, mettiti accanto alle mie paure. Stana dal mio cuore l'amore interessato che provo per Te e per il Padre. Gesù, lavami da tutte le menzogne del mio amore.
Gesù, sii coraggioso con me. Devi avere la forza di farmi soffrire, se necessario, quando intervieni con la tua limpidezza e con la tua verità.
Gesù, d'altra parte, che senso avrebbe amare il Padre in maniera meschina, piccina, ingrata, sempre preoccupata del ritorno di un beneficio?
Gesù, preferisco piuttosto non amarlo il Padre che amarlo così. Se lo ignoro, sarebbe Lui a venirmi a cercare come ha fatto tante volte. Mi troverebbe buttato sotto un ponte, irriconoscibile e senza dignità; tuttavia nella condizione di chi può essere gratuitamente riabilitato con il suo bacio e il suo abbraccio.
Gesù, Tu non immagini quanta paura provo in certi momenti nei confronti tuoi e di tuo Padre.
La paura della punizione, la paura del suo sguardo penetrante, la paura di essere messo a nudo.
Gesù, in questi casi, mi dimentico che per tuo Padre io sono sempre un figlio.
Dimentico che Dio, mio Padre, non vuole fare i conti con me per farmela pagare. Il Padre vuole soltanto potermi amare perché non può farne a meno.
Gesù, quando mi arrenderò a un amore così viscerale, totale, sconvolgente? O continuerò a chiedermi, fino alla noia: mi ama? non mi ama?
Gesù, aiutami a gridare: “Padre sono un figlio insignificante, ma ti sento Padre e ti voglio amare come figlio. Tu per accogliere il mio amore non mi misur, ma ti metti vicino; quel calore e quel contatto mi fanno crescere nella fiducia piena”.
Gesù, quando riuscirò a dirti, senza esitazione, mi fido di Te? In te ho posto la mia fiducia perché sono sicuro del tuo amore? Me ne hai dato ormai tante prove.
Gesù, aiutami a gridare: “Padre come sono tenere le tue viscere materne, come mi sento caldo nel tuo grembo, come mi sento amato tra le tue braccia. Starei sempre così. Mi basta tuttavia che, se dovessi allontanarmi, sperimenti subito la nostalgia irresistibile della tua tenerezza”.
Don Mario Simula

 

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