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TESTO Il rischio di andare da “nessuna parte”

don Mario Simula  

XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (25/08/2019)

Vangelo: Lc 13,22-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 13,22-30

In quel tempo, Gesù 22passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. 26Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. 27Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

Ci può sembrare molto esigente il nostro Maestro quando ci dice che dobbiamo sforzarci di entrare per la porta stretta, ci sembra troppo esigente. Ci viene da chiederci: “Perché passare per una porta stretta? Ne esistono anche di larghe”.
Riflettendo ho capito che, passare per la porta stretta non è una durezza da parte di Dio, ma è un'esigenza dell'amore.
L'amore è grande quanto l'universo, non si lascia sconfiggere dall'oceano e nemmeno dai grandi incendi. Quando però dobbiamo viverlo, domanda inesorabilmente di passare per la porta stretta. Per una via, cioè, di lavoro su se stessi.
Amare è sempre rinunciare a parte di se stessi per poi ritrovarci realizzati nell'amore che abbiamo cercato.
Amare non è dire: “Signore, Signore” dando per scontato che il nostro cuore sia aperto; come se bastasse vivere dentro il chiuso di una chiesa rachitica, per credere che amiamo Dio e che conosciamo Gesù.
Dio non lo si trova perché qualcuno ci ha fatto percorrere la scorciatoia. Dio lo si trova mettendo, passo dopo passo, tutti i tempi che sono necessari per costruire una cosa nuova come Lui la vuole.
A volte, noi che abbiamo familiarità con gli ambienti di chiesa, chiediamo di entrare in una corsia di preferenza, dentro un privilegio dovuto, saltando la fatica, gli ostacoli, il lavoro su noi stessi.
Se ci presentiamo a Gesù dicendo: “Ma abbiamo mangiato con te, abbiamo bevuto in tua presenza, ti abbiamo ascoltato quando parlavi nelle piazze”, Gesù non ci mette i tappeti sotto i piedi. Gesù forse ci dirà: “Non so di dove siete. Perché mentre elevavate le vostre preghiere impeccabili da un punto di vista rituale, la vostra vita parlava un altro linguaggio che non mi era familiare”.
E' proprio vero che il Vangelo è oltre gli steccati, è oltre i recinti. Il Vangelo attrae, tante volte, più i lontani che i vicini, perché i vicini lo danno per scontato.
E' questo il grido del profeta nel quale appare la visione del regno di Dio, invaso dalle popolazioni più impensate. Il profeta vuole farci comprendere che saranno esse ad annunciare la gloria di Dio, mentre Israele si attarda nell'offrire sacrifici di tori e di capri con profumi di incenso che non scaturiscono dalla fede del cuore.
L'emergenza della nostra Chiesa, oggi, consiste nelle chiusure, nelle correnti, nei partiti: Io sono di Pietro, io sono di Apollo, come se Cristo fosse diviso. E mentre noi perdiamo giorni e giorni attorno a queste discussioni vuote, e spesso distruttive, il mondo bussa alle nostre porte.
Come si supera l'emergenza? Con l'atteggiamento dell'amore che passa per la porta stretta. Ciascuno di noi con il suo sacrificio, ciascuno di noi con la sua prova, tutti insieme con lo stesso amore.
La lettera agli Ebrei ha un modo efficace e nuovo per parlarci della porta stretta. La chiama: correzione del Signore.
Occorre che la correzione del Signore venga accolta da tutti noi. Lui è un Padre. Come può un padre amare il figlio se, vedendo i suoi sbagli, non lo corregge? A costo di vederlo soffrire. Il Padre sa che quella correzione dolorosa porta un frutto di pace e di giustizia. Il Signore corregge colui che egli ama e percuote chiunque riconosce come figlio. E' duro da comprendere. E' duro da accettare. Questa è la strada. Questa è la porta stretta che ci fa entrare nel Regno.
Ci viene da scoraggiarci? La Parola di Dio, intrisa della tenerezza del Padre, ci dice: “Rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate dritti con i vostri piedi”.
Se ci fidiamo di Dio, il nostro terapeuta interiore, il medico delle nostre anime deboli, anche la stanchezza guarisce e diventa forza, energia, decisione, amore.
La famiglia di Dio si costruisce così: Davanti a noi una porta stretta. Dio non accetta che ci schiacciamo per arrivare primi.
Vuole che, ad uno ad uno, andiamo oltre, dove c'è Lui. Nella sua Casa: “Vi sono ultimi che saranno primi e vi sono primi che saranno ultimi”.
Gesù, non è da oggi che ho capito che devo passare per la porta stretta. Mi è capitato tante volte da quando esisto. In certi momenti volevo proprio lasciarti cantare, come se tu mi volessi imporre un giogo inutile e severo. Eppure quante volte sono passato per la porta stretta.
Oggi, Gesù, quando penso che la mia parte l'ho fatta tutta e che merito la giusta pensione, mi accorgo che le porte strette rimangono tutte. Sembra, anzi, che si moltiplichino. Mi devo piegare per entrare? Posso tornare indietro e trovare una strada più agevole? E se io facessi di testa mia? Tu mi guardi, Gesù, e mi dici: “E' stretta la porta o ti rimane stretto l'amore verso di me? Prova a guardarti dentro e chiediti dove hai smarrito il primo amore. Se non avrai paura a darti una risposta non avrai nemmeno paura di passare per la porta stretta”.
Gesù, ti stai accorgendo che ti sfido con i miei occhi? Ti stai accorgendo che davanti a te assumo un atteggiamento risentito? Come se tu non avessi la sapienza di chi mi indica la strada giusta.
Il mio sguardo non ti mette paura, non fa abbassare il tuo. Non teme la sfida. E' dritto come una lama tagliente, e mentre io resisto a voler insistere, tutto il tuo volto diventa, lentamente, dolce, accogliente, comprensivo, tenero. Mi accorgo che vorresti abbracciarmi. Però non osi ancora farlo perché sai che io non sono pronto a fare spazio ai tuoi gesti d'amore. E' così semplice allora pensare che la tua correzione (perché questa è la porta stretta!) mi risulta così amara che tengo la bocca stretta stretta, e il cuore chiuso e le orecchie sorde, pur di non sentire la verità che vuoi dirmi. Così passo tanti giorni. Poi il fuoco del tuo spirito mi aiuta, lentamente, a comprendere che solo l'amore corregge, che solo l'amore ha il coraggio di far soffrire buttando il mio amore inquinato dentro la fornace ardente che brucia mentre purifica.
Inizio a capire, Gesù, che tu mi correggi perché mi ami. E se non mi correggessi significherebbe che ti sei stancato di amarmi per la durezza del mio cuore.
Gesù, mi sento una sagrestia ammuffita e non una casa profumata di luce. Se sto con le mie inutili certezze, rischio di sentirmi dire: “Io non so più chi tu sia: sei irriconoscibile! Non sei più quello di una volta”.
Le mie gambe vacillanti e i miei piedi stanchi rischiano di rimanere azzoppati, senza direzione.
Gesù, ho bisogno di iniziare una terapia del cuore con Te. Non so dove trovo il coraggio. Sento, però, di doverti dire: “Non badare alla mia sofferenza. Lascia lavorare soltanto il Tuo amore”.
Don Mario Simula

 

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