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TESTO Gesù porta stretta, per evitare la porta chiusa della nostra vita senza giustizia del Regno

diac. Vito Calella

XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (25/08/2019)

Vangelo: Lc 13,22-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 13,22-30

In quel tempo, Gesù 22passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. 26Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. 27Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

Uno sguardo d'insieme al racconto del Vangelo

Il racconto del Vangelo di oggi sembra essere l'inizio di una nuova tappa del cammino di Gesù verso Gerusalemme perché questa meta finale viene esplicitamente ricordata dall'evangelista Luca: «Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme» (Lc 13,22).

All'inizio di questa nuova tappa un personaggio anonimo della folla pone il problema: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?» (Lc 13,23). Colpisce la risposta di Gesù usando lo strano esempio della porta stretta, che poi si associa al duro monito della porta chiusa, per continuare con la visione della moltitudine di gente proveniente da tutti i quattro punti cardinali, presente ad un banchetto nel quale appaiono i patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe insieme a tutti i profeti dell'Antico Testamento. Sconcerta la severità del padrone di casa, che non lascia passare i rimasti fuori della porta chiusa. Egli pronuncia una sentenza dura ai rimasti fuori, i quali sembrano essere persone familiari e conosciute, avendo mangiato e bevuto in sua presenza e avendo ascoltato il suo insegnamento nelle piazze: «Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!» (Lc 13,27). E per concludere segue una sentenza: «Vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi» (Lc 13,30).

Il collegamento con il testo di Isaia 66,18-21 e confronto con il Vangelo

L'ascolto dalla Parola di Dio per mezzo del profeta Isaia ha amplificato quest'ultima visione di un raduno generale di tutte le genti provenienti da regioni lontane, non appartenenti al popolo eletto di Israele: «Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria» (Is 66,18). Da un ascolto attento, sembra che tutti questi popoli, di tutte le lingue, saranno radunati a Gerusalemme grazie all'opera missionaria di annuncio della gloria del Signore fatta dai superstiti del popolo di Israele, quelli dell'esilio di Babilonia. «Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle popolazioni di Tarsis, Put, Lud, Mesec, Ros, Tubal e Iavan, alle isole lontane che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunceranno la mia gloria alle genti» (Is 66, 19). Il raduno generale al tempio di Gerusalemme sarà dunque fatto da una mescolanza di figli di Israele e di pagani, grazie a un annuncio missionario dei figli di Israele liberati dall'esilio. Tornando al Vangelo, questa adunanza promessa, che accomuna i figli di Israele con tutti gli altri popoli sembra essere storpiata da Gesù, perché c'è una netta separazione tra quelli di dentro e quelli di fuori. La porta chiusa prevede che quei «cacciati fuori» (Lc 13,28b) davanti alla porta chiusa, che sperimenteranno «pianto e stridore di denti» (Lc 13, 28a), facciano addirittura parte di un gruppo di apparenti discepoli del padrone di casa.

La porta stretta è Gesù che ha scelto il cammino dell'umiltà!

La porta stretta è Gesù stesso in cammino verso Gerusalemme, è Gesù che ha fatto la scelta chiara e responsabile del cammino dell'umiltà da lui insegnato nell'annuncio delle beatitudini.

La porta stretta è Gesù, il quale, «pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2,6-9).

La porta stretta è Gesù che sceglie il cammino dell'umiltà. Questo cammino è fatto di accettazione del limite e della fragilità della condizione umana e Gesù l'ha vissuto nel mistero dell'incarnazione. Richiede la libertà del cuore a spossessarsi del proprio libero arbitrio per consegnarsi fiduciosamente alla volontà del Padre in ogni istante della vita, e Gesù ha vissuto questa opzione fondamentale giorno dopo giorno, fino alla prova più stretta e dolorosa dell'obbedienza nell'esperienza della morte di croce.
La porta stretta è soprattutto Gesù crocifisso.

Se ciascuno di noi vuole salvarsi, oggi è chiamato a scegliere liberamente di passare per la porta stretta: scegliere, come Gesù, lo stesso cammino dell'umiltà, cioè il cammino spirituale di accettazione delle perdite della propria storia esistenziale, il cammino spirituale di liberazione del proprio cuore da ogni forma di sicurezza umana di prestigio, di denaro, di beni materiali per vivere la mitezza del cuore basata sulla fiducia incondizionata nella volontà del Padre, infine il cammino spirituale di fedeltà e resa fiduciosa anche nell'ora della prova, quando sperimenteremo l'apparente annullamento dei valori del Regno di Dio e avremo veramente fame e sete di giustizia, come Gesù, appeso sulla croce.

Non è facile assumere il cammino dell'umiltà. Gesù ci avverte: «molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno» (Lc 13,24b).
La scelta del cammino dell'umiltà è una lotta.

Questa porta, stretta da passare, la si può attraversare solo lottando, agonizzando così come fece Gesù nell'orto del Getsemani (Lc 22,44); richiede di essere disciplinati in tutto come fanno gli atleti, disposti al sacrificio per vincere la gara (1Cor 9,25). Ma non è solo uno sforzo di esclusiva volontà umana! Richiede di affaticarsi e lottare con la forza che viene da Cristo risuscitato che agisce in noi con la potenza dello Spirito Santo (Col 1,29). È un allenarsi nella vera fede (1Tm 4,7), combattendo la buona battaglia della fede (1Tm 6,12).

Scegliere il cammino dell'umiltà per ritrovarsi con la porta aperta!

Ma a cosa serve scegliere il cammino dell'umiltà, seguendo i passi di Gesù nel suo cammino verso Gerusalemme, verso la croce? È proprio necessario passare per questa porta stretta?

Si; il cammino dell'umiltà è l'unica via che permette la realizzazione della giustizia del Regno di Dio e ci libera dalla sentenza dura di essere giudicati dal Padre come operatori di ingiustizia.
In che cosa consiste questa «giustizia del Regno»?

Consiste nell'aprirsi all'altro rompendo ogni muro di separazione che tendiamo a creare tra giusti e ingiusti, santi e peccatori, cristiani e non cristiani, così come nel passato gli Ebrei si sentivano gli eletti rispetto ai pagani, i cattolici migliori rispetto ai separati e ai non cristiani.

Operare la «giustizia del Regno» consiste nel dilatare il nostro cuore all'accoglienza di tutti, provenienti dai quattro punti cardinali della terra, perché il Padre è misericordioso verso tutti, buoni e cattivi e vuole la salvezza di tutti. Non è per caso che nel Vangelo di Matteo la sentenza che dice: «gli ultimi saranno i primi e i primi saranno gli ultimi», si trova scritta dopo la parabola degli operai mandati a lavorare nella vigna del Signore in differenti ore del giorno e alla fine tutti ricevettero la stessa paga (Cf. Mt 20, 1-15). Operare la «giustizia del Regno» è sentirsi lavoratori della vigna del Signore, insieme a chi vi è entrato nell'ultima ora, conquistati dalla bontà dell'amore del Padre.

Operare la «giustizia del Regno» consiste nel liberare il cuore dall'attaccamento alle ricchezze per servire i poveri, condividere quel che siamo e che abbiamo con i sofferenti, seguire Gesù e sperimentare che, lasciando tutto, si ha il centuplo in case, fratelli, madri, figli, campi, persecuzioni e nel futuro la vita eterna. Non è per caso che nel Vangelo di Matteo e in quello di Marco la sentenza che dice «gli ultimi saranno i primi e i primi saranno gli ultimi» si trova scritta anche dopo l'episodio della difficoltà del giovane ricco a seguire Gesù e la discussione che ne seguì (Cf Mt 19,16- 30, Mc 10,17-31).

Operare la «giustizia del Regno» è dunque essere misericordiosi verso gli altri, puri di cuore e artigiani di pace, essere cioè promotori di unità nella carità in tutte le nostre relazioni umane, pur consapevoli delle persecuzioni che ne derivano a causa di questa «giustizia del Regno» (Cf. Mt 5, 7-10).

Significato della porta chiusa: mancanza di unità nella carità tra di noi.

La porta chiusa rappresenta dunque la mancanza di unità nella carità nelle nostre relazioni umane, rappresenta quella incoerenza di chi ascolta gli insegnamenti di Gesù e si ciba del suo Corpo e Sangue nella celebrazione eucaristica, e poi, fuori chiesa, non rispetta gli altri, vive l'indifferenza, diventa giudice arbitrario, agisce per separare e non per unificare e armonizzare. Alla fine della nostra vita, quando la morte fisica sancirà il giudizio finale sulla nostra esistenza terrena, la porta chiusa sarà il film della nostra vita scarsissimo di carità gratuita verso l'affamato, l'assetato, il migrante, il carcerato, l'ammalato, il sofferente e scarsissimo di unità nella carità basato sulla condivisione reciproca della nostra umiltà.

La porta aperta sarà il film di tutti quei gesti di comunione, di donazione, di perdono, di correzione fraterna (cf. l'ascolto di Eb 12,5-7.11-13), che ci hanno fatti crescere nell'unità nella carità e ci hanno resi coerenti con la Parola del Signore ascoltata e l'Eucarestia ricevuta nelle nostre celebrazioni comunitarie. La salvezza è dono del Padre ed è anche contributo della nostra responsabilità perché porta chiusa o porta aperta è il termometro della nostra carità irradiata con la nostra corporeità vivente.

 

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