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TESTO Una Chiesa libera, nelle mani di Dio

don Mario Simula  

XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (04/08/2019)

Vangelo: Lc 12,13-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 13uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

16Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. 20Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Fortunato e saggio è, per la mentalità corrente, chi accumula divorato dalla nevrosi del possesso e del consumo. Una persona strutturata in questo modo trova la sua felicità nell'avere e nell'avere sempre di più. Per alcuni questo modo di vivere è normale; per altri, anche se poveri, un modo di pensare così, incide ugualmente nella vita, togliendo la serenità, tanta è la bramosia di avere. Posso essere nullatenente e morire di desiderio, e sognare l'illusione.
La Parola di Dio è spietata nel metterci davanti all'insensatezza di questa mentalità. Tutto è vanità, ci ricorda Qoèlet. Anche chi ha messo da parte, con la fatica del suo lavoro, sa che altri ne godranno, magari dilapidando.
Allora, che senso ha tutta la fatica per avere di più, se poi smarriamo la bellezza delle relazioni, la dolcezza dell'amore, la tenerezza e l'ascolto nei confronti dei figli?
Presentare agli altri un cuore sempre preoccupato e affannato, significa dare il peggio di noi stessi. Ci affatichiamo e soffriamo, trascorriamo notti insonni, bruciamo i tempi dell'amicizia, della vita familiare: per che cosa? Per accumulare vanità.
Il Vangelo di Luca ci fa partecipare ad una scena che conoscono bene le aule dei tribunali: “Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità”. Possiamo subito immaginare inimicizie inguaribili, famiglie divise, genitori relegati in una casa di riposo, conseguenze di un litigio per i beni. Tutto diventa secondario per avere di più. E intanto trascuriamo “l'essere” di più.
Gesù non ha a che fare con le beghe materiali; piuttosto coglie l'occasione per dirci: “Tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno fa parte della schiera dei benestanti, deve ricordarsi che la sua vita non dipende da ciò che possiede”.
Non diamo per scontato questo invito di Gesù. La cupidigia, a volte, ci corrode, ci porta fuori strada, corrompe la nostra onestà, ci fa sprecare i beni di tutti. Gesù, allora, non si accontenta di quello che ha già detto. Racconta una delle parabole più sarcastiche, più sferzanti, più amare del vangelo.
Un uomo ricco, sommerso dall'abbondanza dei suoi raccolti, decide di rinnovare i magazzini, per custodire a lungo le sue risorse. E' appagato e può dire a se stesso: “Riposati, mangia e divertiti!”. Ma Dio, conclude Gesù, gli dice: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. E' infinitamente meglio arricchire presso Dio. Tutto ciò che rimane prezioso agli occhi di Dio è ciò che avremo saputo donare gioiosamente.
Forse è il caso di ascoltare il Salmo 89 che, dopo averci ricordato come mille anni sono come un soffio davanti a Dio, ci suggerisce una meravigliosa preghiera: “Insegnaci Signore a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio”.
Ogni attimo della nostra vita deve essere contato perché da quell'attimo può dipendere la nostra felicità definitiva. Non si può vivere da incoscienti smarrendo la sapienza del cuore per un pugno di monete che si corrompono.
Nessuno di noi dica: “E' un problema dei ricchi”. Dio ci dice: “E' un problema del cuore, di ogni cuore che può essere generoso o avido”. Anche se abbiamo pochi spiccioli, anche se abbiamo un angolo di marciapiede che non riusciamo a condividere con nessuno.
Io stesso, prete, devo mettermi sotto esame davanti al Signore e chiedermi se cerco davvero le cose di Dio e non quelle della terra. Mi devo chiedere se il mio ministero è un dono o un tornaconto. Dio e Gesù il Maestro, non mi risparmiano questa domanda. Allora non devo sfuggirla.

Gesù, davanti al Tuo stile di vita provo una vergogna umiliante.
Tu non hai casa.
Tu non hai un cuscino e usi una pietra da mettere sotto il capo.
Tu ti affidi alla bontà di chi incontri.
Tu ci hai detto: “C'è più gioia nel dare che nel ricevere”.
Gesù, spero che non Ti sia accorto delle molte situazioni nelle quali ho chiuso il cuore a chi aveva bisogno fino alla disperazione. Non so con quali occhi mi avresti guardato. Eppure, tante volte, sono così miserabile, come se, condividendo anche una piccola parte della mia piccola sovrabbondanza, dovessi rimanere immiserito.
Gesù, spero che Ti siano sfuggite tutte quelle occasioni nelle quali ho sprecato il bene che mettevi nelle mie mani. Mi sono inventato esigenze fasulle. Addirittura, in certi momenti, ho giustificato la mia idolatria del cuore, che è l'avarizia, con la scusa dell'apostolato.
Gesù, spero che Tu non abbia letto nel mio cuore i momenti di scontentezza e di insoddisfazione perché desideravo di più, volevo avere di più, mercanteggiavo con le cose sante, gratuitamente messe da Te nelle mie mani, perché io gratuitamente le donassi.
Se, però, Gesù hai visto tutta questa mia ingordigia interiore ed esteriore, aiutami a non avere soltanto vergogna, ma a decidere per una generosità più grande, per un dono fatto con gioia, per una sensibilità che scopre, nel dividere, un atteggiamento di semplice giustizia.
Gesù, aiutami a comprendere che tutto ciò che possiedo, ma non è indispensabile per me, appartiene agli altri.
Gesù, aiutami a capire che l'estrema povertà riduce al rango di sottouomini, di creature annientate e scartate, perché scomode.
Non per scappare dal mio problema, ma per dire a me stesso la verità fino in fondo, Gesù, voglio confessarti che anche all'interno delle nostre comunità, delle nostre chiese prevale la ricerca ostentata del lusso e del superfluo, cercati “a lode del Tuo nome”.
Dove è la semplicità dei gigli dei campi, vestiti sempre a nuovo dall'amore del Padre?
Dov'è la fiducia incondizionata degli uccelli del cielo che sanno, per istinto, che il Padre li nutrirà sempre?
Gesù, tanto spesso, ho taciuto a me stesso questo peccato, come se fosse una cosa di poco conto. Eppure Tu mi metti ogni giorno sull'avviso: “Ricordati che dove è il tuo tesoro, quel tesoro che tieni strettamente legato alla tua persona, là è anche il tuo cuore”.
Gesù, sono sicuro che parlavi a me, parlavi alla mia Chiesa, parlavi ai devoti che fanno di tutto per vivere nella “sicurezza”.
Gesù, vorrei poterti dire che sei Tu l'unica mia Ricchezza, l'unica mia Certezza, l'unica mia Eredità. Tutto il resto è zavorra che appesantisce le spalle e il cuore nel cammino verso di TE.
Don Mario Simula

 

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